ZIBALDONE - COSÌ LEOPARDI HA SCRITTO IL LIBRO INFINITO
Repubblica — 06 agosto 2009

Lo Zibaldone cominciò a muoversi a poco a poco, come una specie di immenso animale di carta e di inchiostro, che non trovò subito la sua strada. Dal luglio o agosto 1817 alla fine del 1819, Leopardi scrisse soltanto novantanove pagine. Nel 1820 fu molto più fecondo: trecentosessanta. Nel 1821, milleottocentocinquanta pagine. Nel 1822, trecentoquarantasei. Nel 1823, milletrecentoquarantatre pagine, quasi tutte negli ultimi sette mesi dell' anno. Chiuso nel carcere della sua biblioteca, Leopardi esplorava, esaminava, ricostruiva l'universo - letteratura, politica, storia, linguistica, economia, filosofia, psicologia, cosmologia, qualche capriccio fantastico - con una furia che oggi ci riesce quasi inimmaginabile. Il suo gracilissimo corpo fu più veloce di quelli di Hegel, Kierkegaard, Tolstoj e Dostoevskij. Non aveva limiti. Tutto doveva essere divorato e assimilato. La sua vita era divisa in due parti: per una parte soffriva. Appena entrato nella biblioteca, diventava quasi indifferente alla propria esistenza. Rifletteva con un ardore intellettuale che non ritrovò mai più. Pensare - anche le cose più terribili - gli dava gioia. Il titolo è avvolto da una leggenda. Giuseppe Antonio Vogel era nato ad Altkirch, nell' alta Alsazia: nel 1783 fu parroco della sua cittadina, ma quando venne costretto a prestare giuramento alla costituzione civile del clero, preferì fuggire in Italia. Nel 1794 era a Fermo: dal 1802 al 1814 a Recanati, occupandosi con fervore di storia regionale delle Marche; poi andò a Loreto. Quando nel 1814 avrebbe potuto ritornare in patria, preferì restare nella mite e avvolgente atmosfera delle Marche papaline. Era intelligente, colto, spiritoso e praticava con grazia l'arte del chiacchiericcio. Nelle numerose lettere al marchese Filippo Solari, parlava di tutto: medicina, Virgilio, archeologia, antiquariato, api e alveari, metafisica, Rousseau e Voltaire, Kant, Don Chisciotte, il testo di Dante, i raffreddori, Napoleone (insaziabilmente) , etimologia, cinesi, giapponesi, indiani, Alfieri, i camini, l'origine del volgare italiano, le calze d' inverno e d' estate, Adamo Smith; come se la cultura non fosse altro che saltabeccare senza riposo. Frequentava la biblioteca di Monaldo Leopardi, che lo invitò a seguire gli studi e gli scritti del figlio. Il 27 novembre 1807, aveva scritto una lunga e bellissima lettera a Filippo Solari su un argomento alla moda: cos' era un vero Zibaldone. Non credo che Leopardi l'abbia conosciuta. Giuseppe Vogel prese l'avvio da molto lontano: i primi versi delle Metamorfosi di Ovidio. All'origine del mondo, diceva Ovidio, stava il Caos: questa massa informe e confusa, questo torpido peso, dove si ammucchiavano i germi delle cose sconnesse. Movendo dal Caos, si formarono il Sole, la Terrae il Mare. Mentre fabbricava i suoi Zibaldoni, Vogel sostenne, non so con quanta ironia, di imitare le Metamorfosi: imbrattava i margini dei libri, e gli interstizi tra le linee e i paragrafi, e poi scriveva i suoi appunti «senza alcun metodo né indice». Questo era il suo Zibaldone, cioè il Caos Scritto. Quando Leopardi cominciò lo Zibaldone, non ne conosceva ancora il titolo. Nel 1826, in una lettera ad Antonio Fortunato Stella, parlò soltanto di un «immenso volume manoscritto, o scartafaccio». Qualche anno prima, nel gennaio o febbraio del 1820, aveva proposto Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura: titolo mediocre, e che non comprendeva tutta la materia raccolta. Il libro continuò a vivere così, per sette anni, come un anonimo scartafaccio, nel quale veniva versato ogni genere di materiale. Infine, a pagina 4295, Leopardi scrisse: «Fin qui si stende l'Indice di questo Zibaldone di Pensieri, cominciato agli 11 luglio, e finito il 14 ottobre del 1827, in Firenze». Malgrado la malattia d' occhi, Leopardi aveva lavorato faticosamente a questo Indice per tre mesi; e soltanto allora riconobbe quale era la vera natura del suo scartafaccio: la mescolanza, il miscuglio, la molteplicità e, addirittura, se avesse conosciutola lettera di Vogel, il Caos scritto.

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La vera misura dello Zibaldone era il tempo: il tempo di ogni giornata: 16-18 settembre 1823, 18 settembre 1823, 19 settembre 1823, 20 settembre 1823, 20 settembre 1823, 20 settembre 1823, 20 settembre 1823, 20 settembre 1823; e così via all'infinito, ritmando il tempo verso il futuro. Passata la metà dello Zibaldone, Leopardi ricordò anche (non sempre) la festività religiosa: 20 settembre. Vigilia della Festa di Maria Santissima Addolorata 1823; e il giorno dopo: 21 settembre. Festa di Maria Santissima Addolorata 1823; credo per registrare la doppia realtà, temporalee religiosa, delle giornate. Ogni ventiquattro ore, toccava qualsiasi argomento: per esempio, il 20 settembre 1823, sul valore di Sonito, quello di Contentus e di Frissons, Monti e Byron, Dante e Ovidio, l'egoismo, la tragedia antica e il dramma moderno. Il tempo di Leopardi era complicatissimo. Aveva aperto davanti agli occhi tutto lo Zibaldone: guardava ora in un punto ora in un altro; andava indietro, si spingeva arditamente nel pas sato, suggeriva una frase, scrivendola sui margini della pagina, o insinuava una serie di rinvii tra i diversi pensieri, che formavano una nuova struttura del libro. Non creava un sistema, ma una moltitudine di sistemi che si prolungavano in tutte le direzioni, come un libro mobile. Qualche volta considerò lo Zibaldone come un puro brogliaccio, da cui estrarre dei libri, simili ai libri che scrivevano gli altri, ognuno dei quali avesse un tema unico e coerente. Per esempio, nel marzo del 1829, quando lo Zibaldone era quasi alla fine, rivelò a Pietro Colletta che avrebbe potuto comporre il trattato Della natura degli uomini e delle cose: la Storia di un'anima: i Caratteri morali: i Paradossi: le Lezioni, o Corso, o Scienza del senso comune: il Parallelo delle cinque lingue: Colloqui dell'Io antico e dell'Io nuovo ... «Voi riderete - diceva a Colletta - di tanta quantità di titoli; e ancor io me ne rido, e veggo che due vite non basterebbero a colorire tanti disegni». Ma Leopardi sapeva benissimo che quei disegni erano castelli in aria, e che non ne avrebbe fatto nulla. Nell'estate del 1827 aveva compreso che lo Zibaldone era una molteplicità, una mostruoso coacervo di possibilità, alle quali non poteva togliere nemmeno una sillaba. Non gli restava che inseguire l'infinito, che continuava a inseguirlo. In molti aspetti, le pagine dello Zibaldone ricordano quelle del Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica. C' è il rifiuto della costruzione logica: l'onda, la scorrevolezza e la qualità del parlato, che va avanti, ritorna indietro, si ferma, ondeggia, si riposa: la mente che scopre le cose via via che scrive: la velocità del pensiero che sopravanza quella della scrittura; la virgola che tende a sostituire gli altri segni di interpunzione. Quando si paragonano le frasi dello Zibaldone ai Pensieri, di cui esse sono la fonte, si ha l'impressione di un libro che non sta mai fermo,e che trascina con séi suoi lettori. Leopardi parlava di «pensieri scritti a penna corrente», cioè obbedendo agli immediati impulsi della mente e della penna. Come ha dimostrato Emilio Peruzzi, talvolta le frasi sono invece copie corrette di frasi primitive: ma quasi sempre anche le correzioni cercano di imitare la mobilità della penna che fugge sulla carta. Lo Zibaldone è un libro potenzialmente illimitato, che è finito per caso. Nei tempi moderni spiegava Leopardi - tutte le idee e le notizie hanno acquistato una liaison tra loro. Se uno scrittore segue i rapporti che si sviluppano, consciamente e inconsciamente, un libro diventa vastissimo, e si trasforma in un' enciclopedia o in una serie di enciclopedie o, come diceva Vogel, in un caos scritto. Bisogna limitarsi, circoscrivere, porre freni: arte difficilissima. Qualcuno non ci riesce. Spaventato e confuso dalla vastità di ogni soggetto e dalla moltitudine delle idee, non ardisce né cominciare né finire un' opera. Come lo scrittore "moderno" di Leopardi, verso la fine della propria vita Robert Musil si domandava disperatamente, davanti alle migliaia di pagine dell' Uomo senza qualità, se avrebbe mai concluso la sua architettura narrativa inesistente e solidissima.

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Negli ultimi trentao vent' anni, lo Zibaldone, che era stato trascurato o guardato con sospetto e mala voglia, è diventato un libro amatissimo. Molti l'hanno sentito vicino, come si può amare un classico scritto oggi. Si sono succedute edizioni, tra le quali ricordo quella fotografica a cura di Emilio Peruzzi (Scuola normale Superiore di Pisa, vol. 10),e quella commentata da Rolando Damiani (Mondatori, Meridiani, 3 volumi, euro 165). Anni fa è stato tradotto in Francia. E l'anno prossimo verrà pubblicato negli Stati Uniti e in Inghilterra, sebbene tradurre lo Zibaldone sia un'impresa difficilissima e quasi impossibile, per la qualità della prosa e la ricchezza delle allusioni nascoste. In questi giorni Fiorenza Ceragiolie Monica Ballerini hanno pubblicato da Zanichelli (euro 49,80) un' eccellente edizione critica informatizzata dello Zibaldone, che sarà utile sia agli studiosi sia ai cosiddetti lettori colti. Essa contiene la copia del testo nella calligrafia originale: così che il lettore può seguire le cancellature, le correzioni, i piccoli errori, le tarde inserzioni, i rinvii interni, che, nel corso di quindici anni, Leopardi operò sul suo scartafaccio. Contiene la vera e propria edizione critica. E infine fornisce le concordanze di parole, nomi e locuzioni, sia del testo definitivo, sia delle righe cancellate: concordanze che esistevano già, sia pure in forma ridotta, per i Canti, e integrale per le Operette morali. Non c' è strumento più utile per interpretare il testo. Il pensiero di Leopardi è fondato su parolechiave che hanno sovente significati molteplici, e che entrano in rapporto con le altre parole, formando un immenso sistema solare, con molti soli (che cambiano via via aspetto), e una moltitudine di pianeti, pianetini, satelliti, satelliti di satelliti, comete, aeroliti, i quali a loro volta formano sotto-sistemi mobilissimi.