PAOLO MAURIZI

VITA E OPERE DI
FRANZ JOSEPH HAYDN

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© PAOLO MAURIZI


MUSICA PER CLAVICORDO E FORTEPIANO


Nell'arco della seconda metà del '700, la cronologia delle sonate di Haydn scorre parallela all'evoluzione tecnica della tastiera dal clavicordo ai pianoforti Broadwood. Fino al 1780, epoca del passaggio al fortepiano, il loro linguaggio si basa su effetti comuni ai vari membri di questa famiglia strumentale; lo stile si dimostra però tutt'altro che generico: dopo i primi approcci, fra le geometrie e l'elegante limpidezza del classicismo cominciano ad emergere silenzi, echi, vibrazioni e frasi sospese, motivi ridotti al frammento, un flusso talvolta rapsodico, un originale senso del tempo e del ritmo, climi notturni e un appassionato lirismo espansivo, che già elaborano la fisionomia dello 'specifico' pianistico propria del secolo venturo.
Come nei quartetti e nelle sinfonie, dove l'aver compreso l'identità peculiare dell'orchestra o della tessitura per archi produce linguaggi distinti, capaci a loro volta di dar voce a sfere diverse del mondo poetico haydniano, anche qui tali risultati nascono da una ricerca concreta sull’indole della tastiera, il cui comportamento determina le modalità di un nuovo lessico, di una nuova sintassi e traccia le mappe di un singolare universo spirituale; le sonate ribadiscono quindi un intrinseco rapporto fra sperimentazione strumentale, creazione di linguaggi avanzati e l’insorgere di nuove dimensioni interiori, che costituisce una delle chiavi maestre per comprendere l'arte di Haydn.
Il suo repertorio pianistico più significativo riguarda le sonate, altrimenti dette 'partite' o 'divertimenti' fino al 1770 circa; esigue quanto a numero, le fantasie e soprattutto le variazioni rappresentano comunque un ambito per nulla secondario, svolgendo schemi e formule consuete in modo a volte originale, fino a raggiungere in un caso almeno le vette del capolavoro.

Variazioni e Fantasie. Haydn coltivò il Capriccio e la Fantasia in forma occasionale: due soli brani, composti nel 1765 e nel 1789, fedeli a modelli che si articolano come un prisma intorno al tema e al suo riproporsi secondo varie angolature. L'invenzione del Capriccio Hob.XVII:1deve ancora molto a schemi convenzionali, ma risulta fresca e vivace anche sul piano armonico nelle versioni colorite e talvolta un pò eccentriche del suo motivo di stampo popolare. Senz'altro più interessante é la Fantasia Hob.XVII:4, per il tema giocoso e impertinente che col suo humour sottolinea l'ironia di una pagina dall'inesauribile motilità, ostinatamente costruita su un materiale dall'aria tanto effimera ma capace di ripresentarsi con sottili arguzie, fin quando il discorso finge di terminare in modo serio e importante prima di un'ultima battuta di spirito.
A scadenza decennale, fra il 1750 e il '55, nel 1765 e fra il 1770 e il '74, Haydn compose tre serie di variazioni scritte in base agli schemi canonici del rococò e del classicismo, che non rispecchiano quindi la sua maniera più personale di concepirle secondo quella reiterazione dell'identico praticata nei quartetti e nelle sinfonie. In un crescendo di proliferazioni ornamentali della linea melodica si svolgono infatti le Variazioni Hob. XVII:7, mentre le Hob.XVII:2 seguono gli schemi settecenteschi più aggiornati con una sequenza brillante finché l'ispirazione non cede a vuoti manierismi scadendo nel generico. Gran pregio e coscienza stilistica dimostrano invece le Variazioni Hob. XVII:3 dove la morfologia del tema, ben disegnata in vista di permute dallo squisito senso musicale, serve a Haydn come base per sfidare la propria creatività costringendola entro i limiti di una raffinata scrittura che, rinunciando a qualsiasi valenza espressiva, si esaurisce in sé stessa e richiede quindi uno spirito davvero abile nel tradurre in arte accorgimenti e tecniche della composizione.
Quasi vent'anni separano questa serie dagli ultimi due esempi del genere, profondamente diversi fra loro per struttura e contenuti poetici. Le Variazioni Hob.XVII:5 (1790) non vogliono essere altro che un godibile prodotto settecentesco, offerto a tempo ormai scaduto con quella disinvolta indipendenza dalla storia di cui solo Haydn era capace; ispirato forse alla morte dell'amata Frau Grenzinger, l'Andante con due variazioni e coda Hob.XVII:6 (1793) é invece un capolavoro che, meditando sugli affetti dello scoramento e del sollievo, coglie lo stato d'animo più idoneo a fotografare la sensibilità del XVIII° secolo ma anche la sua crisi. L'alternanza di due motivi in tonalità maggiore e minore scandisce appunto una riflessione luttuosa e serena, consolante e rassegnata sull'esistenza umana, dove l'oscillare fra luci e ombre non innesca un dramma bensì un vicendevole confronto; il tema di marcia mesto e grave, con andatura cadenzata quasi funebre, e l'elegiaca delicatezza espressiva della seconda idea si succedono pertanto con tautologica ripetitività in una lunga sequenza da cui, come altre volte, sarebbe potuto nascere un magnetismo allarmante; ma la stessa forma delle doppie variazioni, gestita come un fenomeno oggettivo, esorcizza e soffoca ogni aspetto inquieto. I due stati d'animo vengono dunque lasciati coesistere in un equilibrio che tuttavia nasconde l'impossibilità di coniugarli e perciò i limiti della forma cui sono sottoposti, abile a nascondere ma non a superare il disagio; impercettibilmente, nel corso del brano l'armonica stasi finisce allora per cristallizzarsi, provocando un senso di raggelante costrizione al quale Haydn si ribella con improvviso gesto drammatico, prima di tornare nel finale ad un rassegnato bilancio fra i due temi e le loro separate modalità. Denuncia di una frattura tra il vissuto e le forme musicali del tempo nonché metafora di una crisi filosofica, psicologica e morale, questo Andante appartiene alle testimonianze sintomatiche di un illuminismo al tramonto sparse nella produzione dell'ultimo Haydn.

Sonate. Le sonate costituiscono un problema musicologico spinoso. L'edizione curata dal Pasler nel 1918 raccolse con scarso criterio ogni documento disponibile, ma venne comunque ripresa nel 1957 dal catalogo Hoboken tuttora ufficiale. Fra il 1964 e il '66 Christa Landon curò la prima edizione critica moderna, usando nuove fonti e respingendo alcuni brani di dubbia paternità; su ben tredici pezzi, relativi al primissimo periodo, sospende infine il giudizio Georg Feder nel suo nuovo catalogo (1970/1994). Questo gruppo comprende pagine tanto diverse da escludere un'unica mano: alcune, come le Hob.XVI:7 e 8, enunciano semplicemente i temi riflettendo modelli settecenteschi lontani anni luce dalla mentalità haydniana; altre, come le Hob.XVI:1, 5 e 16, oscillano in vario modo fra rococò e stile classico. La scrittura vivace, ricca ed elegante delle Hob.XVI:10 e 12 dimostra invece un profilo non certo anonimo, mentre l'Adagio dell'Hob.XVI:2 offre uno splendido esempio di revival barocco molto vicino alla sensibilità di Haydn.
La prima produzione sonatistica, che giunge fino al 1765, esordisce nella chiarezza, nella linearità scorrevole, nella cortesia galante ma anche sobriamente borghese dei primi tempi; nella commossa poesia dei lenti, antica quanto sensibile ai nuovi umori settecenteschi; nell'arguzia dinamica e vivace dei finali. I tre tempi prevedono il Minuetto in seconda o terza posizione; ma, mentre la Hob. XVI:6 é in quattro movimenti, due soli ne comprende la Sonata Hob.XVI:4, semplicissimi e leggeri nel cercare la purezza musicale tramite un'essenzialità di forma e suono. Tocchi dosati richiede allora il disegno cristallino e la grazia innocente dell'Allegro, laddove il Minuetto riduce una tessitura diafana alla linea melodica e ad un basso quanto mai discreto. La Sonata Hob. XVI:47 realizza però una svolta, inaugurando quella rivistazione del barocco che Haydn proseguirà con specifici criteri pianistici e quindi con esiti diversi dai quartetti e dalle sinfonie. Il Moderato esamina la scrittura bachiana per cembalo nei morbidi e plastici disegni dell'inizio quanto nell'intreccio fra un tipico motivo a crome e l'accompagnamento che, nella parte centrale, imprime al brano un carattere di rigorosa oggettività; la dolorosa mestizia del Larghetto viene imitata ricorrendo al codice malinconico della siciliana, mentre la novità del passaggio senza interruzioni all'Allegro finale apre una pagina il cui umorismo grazioso possiede anche una funzione catartica e liberatoria. L'Andante della Hob. XVI:45 valorizza in chiave espressiva gli abbellimenti del classicismo e dello stile antico tracciando una strada ricca di futuri sviluppi, mentre il Finale coniuga le sintassi della toccata e del '700 maturo in una vigorosa propulsione che riscopre con occhio moderno la solidità del meccanismo cembalistico sulla tastiera.
Superiore maturità dimostra il periodo compreso fra il 1766 e il 1773. La Sonata Hob.XVI:19 (1767) focalizza chiaramente gli attributi specifici del pianoforte: cancellando gli ultimi residui del secco e denso cembalismo tradizionale, il Moderato presenta un ampiezza di frasi, periodi e scansioni che sfruttano la ricchezza fonica dello strumento; l'Andante indaga i rapporti dialettici e di spazio fra i registri acuti e quelli bassi, mentre nell'Allegro i contrasti improvvisi di suono, ritmo e timbro, l'originale lessico che ne deriva, l'inedito senso di accumulazione sonora e i subitanei passaggi fra le zone estreme di una tastiera carica di energia codificano basilari modalità linguistiche e creative. Nella Hob.XVI:46 (1767/70) l'Allegro moderato saggia l'ornato, i virtuosismi e il melos di una scrittura pianistica decisiva per l'invenzione tematica come per il senso fornito dal registro e dal colore alle varie idee patetiche, dolorose o evasive, mentre un'elasticità rapsodica dai percorsi obliqui muta profondamente le strutture medesime del linguaggio haydniano. Il timbro risulta essenziale anche nel soffuso e pregnante lirismo del secondo tempo, valorizzando le smorzature, le frasi sospese nel silenzio e il tema stesso con la morbidezza sonora delle singole note; i legami reciproci fra questo elemento e l'articolazione del discorso vengono illuminati specie dalla parte centrale, dove un intenso cromatismo governa il trascolorare della melodia dal basso all'acuto. L'intreccio polifonico che segue, concepito in modo prettamente pianistico, partecipa al singolare incontro fra passato e futuro svolto da questo Adagio cogliendo in un materiale antico la potenziale ricchezza di spunti e anticipazioni del domani. Tramite un inarrestabile gioco di biscrome, il Presto finale rende invece presente il passato elaborando il cembalismo come tipica cifra settecentesca. Il primo tempo della Hob. XVI:18 (1770) colpisce a sua volta per l'omogenea scioltezza di un unico flusso di idee, perfettamente configurate nella loro identità ma legate l'una all'altra da un preciso rapporto conseguenziale. Il secondo articola le figure del minuetto in un'ambiguo profilo sfuggente; lievi disegni interrotti da pause accrescono l'eterea delicatezza di pensieri nostalgici, mentre il ritmo e i passi di danza si celano come una vena carsica tra i frammenti e la stilizzata eleganza del discorso. Continua nel frattempo il riesame del passato nell'Andante con moto della Sonata Hob. XVI:20 (1771), che coniuga in senso classicista il melodismo barocco distinguendo al tempo stesso i due mondi col rendere percepibili i rispettivi stilemi lessicali. E' una pagina calma, serena e distesa fra il pathos e la sottile morbosità del primo tempo, pervaso da un anelare venato di melanconia e dai chiaroscuri di un sentimentalismo dall'ampio respiro espressivo e drammatico, e l'ansia tesa e corrusca del finale nei tratti spezzati e interrogativi di un tema che, straniandosi in puri giochi musicali, rende il brano ancor più enigmatico e inafferrabile. Nella Sonata Hob. XVI:44 (1771/73), la dolorosa e toccante mestizia del Moderato nasce da un'elegiaca disposizione a confessare in solitudine i propri sentimenti; ma una sorta di secondo testo, che trapela in filigrana con echi e parole sospese dietro gli arpeggi e le piccole frasi, svela il ruolo decisivo del timbro che carica di espressività le singole note e annulla i tracciati lineari del discorso per articolarlo entro lo spazio sferico del suono e del silenzio. L'Allegretto funge da giusto pendant a questa prima parte, con la sofferta pregnanza di un labile minuetto che accenna movimenti coreutici ma che si sottrae ad ogni volontà di danzare.
Un'ulteriore fase creativa (1774/1780) si apre con le sei Sonate Hob.XVI:21/26, composte per il principe Nicolaus Esterhàzy. L'esplorazione di nuove forme linguistiche e di sfaccettature inedite del mondo spirituale di Haydn raggiunge un vertice nell'Adagio della prima, che sconvolge ogni periodare classico in una cifra di abbagliante modernità. Le digressioni ornamentali sostituiscono il regolare profilo del tema con un diagramma variabile di tempo, che serpeggia nel brano grazie a frasi isolate, sospensioni e idee circoscritte, indipendenti ma collegate fra loro da un'elastica organicità di fondo. Al posto delle varie pieghe di un unico affetto, si manifestano perciò brevi e intense emozioni nel comporre un quadro psicologico davvero singolare per il suo tempo. Ricordando qualcosa di simile all'esperienza sonora di certe sinfonie, altrettanto presago del secolo venturo é l'Andante della Hob.XVI:22 col suo tema melanconico, intimo e solitario che sembra cogliere qualcosa di inafferrabile, contemplato in brevi periodi aperti sul silenzio e sull'ascolto di remote, inudibili risonanze. Come poche altre volte nella sua storia, la musica settecentesca culmina poi nel toccante ampio lirismo romantico dell'Adagio profondamente sentimentale della Hob.XVI:23; la calda tristezza di una fuggevole cantabilità, congiunta alle indimenticabili modulazioni, dipinge anche qui un mondo poetico nato solo dai colori e dalle suggestioni della tastiera. Verso i confini di un'originale sensibilità moderna si spinge ancor più la Hob. XVI:25, dove a un Moderato dai forti contrasti e dalla febbrile drammaticità segue un Minuetto che solo nell'incipit richiama la danza, mentre il prosieguo la stempera in una figurazione sempre più evasiva; alle chiare strutture canoniche del genere si sovrappone dunque un'ambigua gestualità, producendo equivoche mescolanze di vago e definito, certezza e incertezza. Non a caso perciò la Hob.XVI:26 conclude la raccolta sotto il segno dell'allusione, aprendosi con un Allegro moderato che offre uno splendido itinerario nell'esposizione dai toni discreti e misurati, nello sviluppo che intensifica gli aspetti passionali e in un ritorno alla lieve pacatezza della melanconia iniziale. Segue un 'Minuetto a roverso', trascritto dalla Sinfonia n.47 (1772), e quindi un velocissimo Presto fresco e sereno ma enigmatico nella sua brevità: espressione fugace di un divertimento così subitaneo da risultare quasi inafferrabile.
Le Sonate Hob. XVI:27/32 furono a loro volta composte nel 1776. La quarta colpisce per l'inedita struttura complessiva, che prevede l'immediato passaggio da un movimento all'altro senza soluzioni di continuità; dei tre l'unico significativo é comunque l'Adagio, che in un clima inquieto e oscuro disegna sullo stacco netto degli arpeggi il taglio scabro e marcato di una melodia intrisa di dolore e di consolazione. La quinta si muove tra l'esplicito e il sottinteso, in un profilo quanto mai dubbioso: le eleganti morbidezze di scale e arpeggi del Moderato lavorano infatti sulla trasparenza, limpida e discreta ma lievemente sospesa in una calma venata di malinconia; l’Allegretto concentra l'inquietudine della sonata nel folto sviluppo del suo tema scuro e severo, percorrendo un itinerario cromatico espressivamente saturo; il Presto finale rappresenta con arguta freschezza, vivacità e originalissima inventiva una danza di marionette dal sorriso privo di ironia, anche se qualche doppio senso sembra comunque celarsi dietro l'immersione in un mondo così fanciullesco e lontano dalla realtà.
Tra il 1777 e il 1780 Haydn scrisse le Sonate Hob.XVI:35/39. Nella prima, una splendida ingenua poesia scorre tra le vene dell'Allegro con brio, grazie alla gioia spensierata di un temino incupito da sfumature cangianti allorché la sua corsa si tramuta via via in un impulso magnetico e ossessivo che lo domina e trascina senza sosta. L'Adagio é immerso in una suprema grazia lirica di stampo mozartiano, patetica e celestiale nella sua chiara semplicità, mentre l'Allegro finale ribadisce il motivo dell'innocenza forse per leggere lo spirito di Mozart in chiave di fanciullezza. Disegnando così un ritratto molto significativo per la mitologia mozartiana e trasformandolo in un binomio altrettanto suggestivo nell'anticipare Schubert con l'agrodolce ingenuità del primo tempo, quest'opera acquista dunque un valore profetico circa gli sviluppi del classicismo viennese; vista da un'altra angolatura, essa potrebbe invece mostrare la scoperta haydniana di una poetica infantile dovuta a Mozart, come cifra rivelatrice del loro rapporto. Dal clima capriccioso del primo tempo, passando per la grazia stilizzata e affascinante del secondo, la Hob.XVI:36 compie un bilancio del proprio itinerario nel conclusivo Minuetto, giocato fra un'elegante melodia e varie gradazioni della tonalità minore con effetti melanconici caricati dalle ombre sfuggenti e dai chiaroscuri del Trio. L'Allegro della Hob.XVI:37 é a sua volta uno dei migliori primi tempi di Haydn per l'ottima qualità della materia, dai tratti virtuosistici e brillanti, ma anche per l'organica struttura dell'armonia e della sintassi disegnate con elastica leggerezza; il discorso procede così energico e vivace in un limpido gioco puramente costruttivo. Elaborando una rivisitazione quasi letterale del barocco, gli accordi profondi e solenni del Largo giungono ad esprimere una modernità di affetti scandita da un pensoso andamento rapsodico, beethoveniano anche nella sua forma di interludio che conduce subito al gioco fresco e arguto del Finale.
Non compresa nelle tre raccolte create in questo periodo, la Sonata Hob.XVI:33 (1778) possiede un Adagio dagli affascinanti colori lunari, che si apre con gli incisi di una frase meditativa e triste per sciogliersi nelle nostalgie di un cantabile lirismo, la cui melodia divaga e si smarrisce ondulando fra climi notturni che preludono anch'essi a Beethoven. Con la sua grazia innocente il tema semplice del Minuetto conclusivo denota una certa ambiguità, che si specchia nel gioco estraniato con cui prosegue fino a sublimarsi e svanire in un limbo di silenzio.
Dal 1780 al 1794, l'ultimo periodo del sonatismo haydniano si sviluppa lungo l'asse Vienna-Londra e contiene una larga messe di capolavori. Il Presto che inaugura la Hob.XVI:34 (1781/82) trasforma il linguaggio settecentesco in un impulsivo lessico romantico dal sapore elegiaco e nostalgico, sofferente e crepuscolare, con grande senso della misura nelle mezze tinte e nella gestualità. L'Adagio a sua volta offre un bellissimo esempio di melodia risolta in un ornato continuo di grande valenza espressiva, condotta in un moto ondulatorio che ne amplia il respiro in un'estatica leggerezza. La splendida conclusione é affidata ad un Molto vivace, la cui apparente spensieratezza nasconde ansia e preoccupazione; l'oscillare prettamente schubertiano e romantico fra innocenza e minaccia si prolunga nelle variazioni, dove al registro acuto il tema crea un effetto di suspence mentre diviene inquieto e drammatico quando torna nei registri basso e centrale.
La Sonata Hob.XVI:42 risale al 1784. E' aperta da un bellissimo Andante con variazioni, di grande fascino e sottile magnetismo, impregnato di un forte senso di solitudine. Composto da brevi frammenti, il tema ha un sapore caldo, intimo e grazioso ma venato di mestizia, sospeso con innocente poesia in un clima di romantica levità. Ogni variazione parte sempre dal suo incipit, disegnando un percorso centripeto a raggiera; prima di stemperarsi nell'ornamentazione rarefatta, che sfuma in lontananza riducendo ad accenni le coordinate del periodare, l'ultima variazione acquista tuttavia un tono aspro, oscuro, quasi di tragedia. A questo movimento corrisponde un'altrettanto raffinata e traslucida conclusione dell'opera nel gioco aereo del Vivace assai, che manipola forme e figure in un meraviglioso intrecciarsi di frasi, col sorriso sfuggente di chi non é legato all'esuberanza degli umori terreni.
Anche la Sonata Hob. XVI:48 (1788/89) si apre con un Andante, fra le più belle e intense pagine pianistiche di Haydn; il tracciato rapsodico nasce da un tema composto di cellule la cui natura incerta e interrogativa, consolante o dolorosa secondo i giri armonici che lo presentano durante il brano, conferisce al quadro emotivo una mutevolezza, un'elastica mobilità di passaggi, un sospendere o intensificare il discorso, irraggiungibile da qualsiasi altro strumento; emerge dunque tutta la pregnanza di un linguaggio essenzialmente pianistico, che trasloca dal 700’ all’800’ secondo modalità stilistiche inusuali per lo stesso Haydn. Il Presto conclusivo é a sua volta un meraviglioso scherzo di alta e intelligentissima scrittura, mirabile nelle dinamiche fra i vari registri e in una strumentazione che abbandona le vecchie gerarchie per un organico trattamento della tastiera; la sua esuberanza riflette una felice vivacità creativa, sin dal tema arguto ma non spiritoso che si presta ad ogni tipo di invenzione, scaturita dal compatto sinfonismo di un pianoforte che unisce in modo strabiliante scorrevolezza ed omogeneità.
L'Allegro di apertura della Hob.XVI:49 (1789/90) presenta anch'esso una fisionomia densa e sostanziosa che anticipa notevolmente il secolo venturo, mentre il materiale tematico si delinea in forme più chiare ed essenziali. La struttura dell'esposizione sembra seguire vecchie modalità in un clima sereno e fragrante; ma il polifonismo costruttivo di certi passaggi nello sviluppo e certe forme di elaborazione nella ripresa danno comunque un ottocentesco spessore, un'ampiezza e una particolare complessità al primo tempo di sonata del XVIII° secolo. Nel turgido cromatismo di una melodia dolorosa e lancinante come nell'atmosfera notturna di certe armonie, lo splendido Adagio anticipa di nuovo Beethoven con grandi emozioni e una profonda ricchezza di pathos, che interpreta nuovi vissuti soggettivi riflettendo la mutata sensibilità dell'ultimo '700. Un temino scherzoso che prefigura lo spirito di certe bagatelle beethoveniane articola infine il Minuetto, con un'immediatezza quasi fanciullesca tinta di ambigui colori armonici; la sua corsa leggera si libra così, rapita in una propulsione inarrestabile, senza volontà e coscienza della propria direzione.
Composte fra il 1793 e il '95, le ultime tre sonate concludono ad altissimi livelli la produzione di Haydn in questo settore. Stilisticamente impostato come una grande sonata brillante, l'Allegro della Hob.XVI:52 si muove tra la positiva franchezza del vigoroso tema di apertura, corredato di agili virtuosismi, e l'enigmatica oscurità di un materiale cellulare che a volte sospende il flusso in arresti carichi di attesa. I due aspetti non contrastano, apparendo invece come due facce della stessa medaglia dove la solarità di proposito cela e insieme rivela la presenza del mistero. L'Andante ruota attorno ad una cellula di tre note, ricca di domande e di desiderio - che nella parte centrale diviene funerea e corrucciata in un'espressione quasi tragica - ma intrisa di un senso di calma contemplazione e intensa pace profonda; al posto di un eloquio lineare subentra dunque un tempo immoto che cresce ciclicamente su sé stesso, elaborando una nuova sintassi basata su formule davvero inedite per il tardo '700 e penetrando in un'intimità attorno alla quale tutto si fa silenzio. Rutilante, scherzoso e pieno di trovate, col suo tema fresco e solare dalla struttura ripetibile all'infinito, il Presto conclusivo lavora già sul reiterarsi dell'incipit e del nucleo tematico, sull'energia esuberante e i suoi improvvisi arresti con accordi sospensivi, sulla giocosità venata da un'ironia graffiante, dimostrando un poliedrico e ambiguo senso dell'humour prettamente ottocentesco e beethoveniano. La Sonata Hob.XVI:50 si apre con un Allegro di grande vigore, umoristico e spigliato ma capace di atteggiamenti severi, misteriosi, e di forti accelerazioni drammatiche grazie alla polivalenza espressiva del suo tema; attorno ad esso ruotano episodi e idee secondarie, costruendo l’intera pagina secondo un movimento centripeto. I loro materiali uniscono novità a spunti già conosciuti; fra questi, pur con la loro evidente alterità rispetto al resto, gli stilemi arcaici e barocchi si integrano perfettamente negli schemi settecenteschi; non essendo più funzionali come un tempo all’arricchimento del linguaggio classico, il loro senso acquista un’accezione quasi tardobeethoveniana. L’Adagio si apre con un tema caldo, intenso e sereno, che nel corso del brano si tinge di accenti dolorosi; ad esso segue una frase lirica e cantabile di romantica intensità. La forma ricca di arpeggi e ornamenti del primo tema irradia tuttavia un senso contemplativo di rapimento e pace, la cui calma distesa viene accentuata dall’elastica scansione temporale e da un andamento quasi rapsodico. L’originalissima conclusione è affidata a un Allegro molto dalla tipica fisionomia beethoveniana per certe figure cellulari ostinatamente ribattute, l’incalzante ritmo ternario, le frequenti interruzioni e uno spirito scherzoso, febbrile, acre e ghignante; beethoveniano è il modo stesso di scaricare la tensione dopo una lunga attesa, con la tardiva proposta del tema in chiave melodica e solare che acquista un senso liberatorio dopo un lungo periodo incerto e nervoso. Infine, l'Andante di apertura della Hob.XVI:51 é un prototipo di primo tempo cantabile schubertiano: suono pieno e pastoso, un primo tema dall'incipit sonoro e deciso cui segue una più delicata frase di marca popolare, il secondo tema caldo e largamente melodico, un periodare in terzine di crome. L'assenza di ripetizione della prima parte é sintomo di una forma sonata più elastica, che descrive ampie spirali con i ritorni del primo tema all'inizio dello sviluppo e della ripresa, in un flusso ritmico costante caratterizzato dalla fluente morbidezza del basso albertino. Pagina ricca e corposa nella pienezza delle sue sonorità, il Presto radicalizza una forma di pensiero musicale quanto mai espanso e organico, spingendo la figura arpeggiata che compone la prima parte del tema ad una continua proliferazione variata del proprio schema, incalzata dai suoi stessi accenti irregolari, nell’omogeneo flusso di un discorso compreso in un unico grande respiro.