PAOLO MAURIZI

VITA E OPERE DI
FRANZ JOSEPH HAYDN

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© PAOLO MAURIZI


PROFILO DI FRANZ JOSEPH HAYDN


Per via di una conoscenza molto limitata della sua opera e di giudizi che lo ritenevano esemplare incarnazione di un'epoca galante, razionalista, ingenua, dalla superficiale chiarezza e dagli elementari contenuti drammatici, la fortuna di Haydn decadde sin dall'inizio del XIX secolo; gli si riconobbe il merito di aver tecnicamente 'inventato' la sinfonia e il quartetto d'archi ma non la grandezza del creatore, avendo solo elaborato forme prive della mano trasfigurante del genio. Costruendo in parallelo il mito dell’anima tragica e fanciullesca di Mozart come unica espressione di profonda (cioè romantica) poesia del classicismo, la figura di Haydn venne ridotta a quello che già nel 1792 – riprendendo un’opinione senz’altro diffusa – scrisse il conte Waldstein accogliendo Beethoven nella capitale austriaca: “Il genio di Mozart è ancora in lutto… presso il fecondissimo Haydn ha trovato rifugio ma non occupazione, e per mezzo suo desidererebbe incarnarsi di nuovo in qualcuno. Sia lei a ricevere lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn”. Pur non riuscendo a liberarsi di certe idolatrie, il '900 ha trasformato l'immagine di Mozart ma non ha discusso la sua egemonica centralità nel classicismo viennese; del pari, ha scoperto l'enorme ricchezza tecnica e stilistica di Haydn ma non ha davvero scandagliato i contenuti poetici della sua opera. Resterebbe perciò da cogliere fino in fondo il senso storico della loro presenza, individuando nelle rispettive produzioni due percorsi differenti della musica nel periodo cruciale in cui giunse a piena maturazione lo stile classico.
I luoghi comuni della modestia, socievolezza e bonomia dovrebbero inoltre venir maggiormente circoscritti, per disegnare un'immagine più articolata di Haydn che illumini l'autocoscienza del proprio valore spinta fino a considerarsi un genio; che intenda questo termine come sinonimo di particolare ingegno nell'invenzione creativa, senza dividere il campo fra titani e filistei; che sappia interpretare atteggiamenti educati e gentili come un aspetto essenziale ma non esaustivo di un comportamento sensibilissimo nel cogliere l'altrui umanità ma anche volitivo e deciso, talvolta verbalmente rude, abilmente diplomatico nell'autocontrollo e nelle strategie; che infine non riduca l'ottimismo e la giovialità ad espressioni di banale candore, ignorando il loro coniugarsi al pregnante significato con cui Haydn ha vissuto la serenità dell'animo sul piano religioso e ad un'altrettanto profonda esperienza della tragicità e della malinconia da cui traggono forza gli stessi aspetti gioiosi e solari della sua musica. Zone d'ombra, profili ambigui e umori nostalgici l'arricchiscono infatti ben al di là di quel periodo cosiddetto 'sturmeriano', limitato agli anni 70', nel quale si sono sempre voluti riconoscere gli unici tratti cupi e altamente drammatici della produzione di Haydn; il parallelo col movimento letterario dello Sturm und Drang risulta fra l’altro improprio, non avendo la sua matrice socioculturale prettamente tedesca e luterana alcun rapporto con un mondo austriaco ed una sensibilità cattolica profondamente diversi. Dalle opere di quel periodo emerge invece un approccio ad universi oscuri distinto per la nettezza dei contrasti, la tagliente impostazione tragica e l'audacia sperimentale, ma non unico e isolato se lo intendiamo come particolare modalità di un'esplorazione della sfera notturna che, intrecciandosi con quella di sentimenti luminosi e felici, ha impegnato musicalmente Haydn per quasi tutta la vita. Ad essa risalgono infatti profondissime meditazioni segrete, itinerari nell'ambiguità chiaroscurale di certe regioni interiori ed ineffabili contemplazioni estatiche, assieme alla sfuggente ironia del gioco, ad elementi enigmatici e ad un’intensa poetica del ricordo.
Abbandonando le formule imitative con cui oggettivamente si rappresentavano gli affetti, codificate da una scrupolosa catalogazione barocca che definiva ciascun contenuto, per la prima volta l'espressione musicale appare talmente polisensa da risultare inafferrabile, conseguenza forse di un’organica percezione dell’essere ricca di sottili sfumature. Ma questa concezione della musica sancisce paradossalmente la sua completa indipendenza e irriducibilità ad ogni significato: anche nei momenti più intensi, un certo distacco sembra trasformare la loro incandescente materia sonora da espressione di un messaggio poetico in puro comportamento autonomo del discorso musicale, che si sviluppa entro una propria logica senza riverberare alcun vissuto; ovunque in simili casi percepiamo una compiutezza compositiva che afferma le ragioni dominanti della musica come arte incondizionata ed assoluta, mai ridotta quindi a semplice strumento comunicativo di qualche storia personale. Eccetto forse che in alcuni Adagio delle Sonate per pianoforte, dove un profondo intimismo lirico sembra quasi sovvertire questa posizione estetica, si é perciò sempre in dubbio a quale dei due emisferi attribuire la carica espressiva dei temi, delle strutture o di certi movimenti armonici, in una sorta di fascinoso e ambiguo 'double face' dove forma e contenuto paiono scambiarsi i ruoli ma mai fondersi completamente. Se volessimo trovarne una ragione, potremmo anche leggere un simile fenomeno come lucido specchio del carattere di Haydn, che ha sempre governato la propria sfera emotiva col vigile controllo dell’autodisciplina affinché non comprometta quell’equilibrio di fondo, espresso da un'autentica allegria che secondo alcuni osservatori fungeva però anche da maschera, usata per non svelare mai gratuitamente il proprio mondo interiore; un mondo che Haydn ha tuttavia sperimentato grazie all'opera mediatrice della musica, in grado di penetrare ogni piega del suo animo quanto di affermarsi come vero contenuto ed unico soggetto di una composizione che, obbedendo a ragioni puramente artistiche, è il fine disinteressato di un supremo esercizio di perfezionamento ascetico e morale. Da qui la solarità dominante del suo linguaggio e la stessa gioia, come segno di un'armonia spontaneamente raggiunta pur se duramente conquistata.

Quest’alta consapevolezza del valore dell'arte dei suoni, colto nel loro combinarsi secondo procedimenti che attraggono per l'infinita ricchezza di contenuti musicali e non più perché soddisfano un mero piacere uditivo o rappresentino qualcosa, designa Haydn nel ‘700 classicista come lo scopritore e il primo grande esploratore delle possibilità creative di una musica strumentale autonoma e assoluta; ma la strada per giungere a realizzarle implicava il superamento dei generi e degli schemi tradizionali, inventando perciò nuove forme, nuovi linguaggi e un nuovo stile. Dopo aver frequentato negli anni giovanili con freschezza e vivacità la musica galante, Haydn iniziò dunque a sostituirla con le strutture della ‘forma-sonata’: uno schema estremamente libero e aperto composto a grandi linee da un'esposizione del materiale tematico, dal suo sviluppo e dalla sua ricapitolazione, che solo nell'800 verrà cristallizzato in una teoria molto lontana dalla multiforme variabilità con cui era stata vissuta tanto da lui quanto da Mozart e Beethoven. La strabiliante inventiva dimostrata nell'elaborare le soluzioni e le combinazioni più diverse qualifica Haydn come un autentico genio di questa nuova logica puramente musicale, capace di giungere ad uno stile quanto mai rigoroso grazie all'economia, alla concisione e alla concentrazione del discorso nonché ai risultati del suo intrepido sperimentalismo; l'articolarsi nitido e preciso del linguaggio si evolve d'altronde in forme non astratte ma sempre determinate, con empirica concretezza illuminista, dalla particolare natura dei temi, dei ritmi o delle armonie prescelte. Haydn stabilisce comunque alcuni parametri strutturali di fondo, anche per creare poi eccezioni, scherzi e inganni, che esprimono una gioia del comporre mista ad umorismo ed ironia nel divertire il pubblico cogliendolo di sorpresa.
In questa totale reinvenzione linguistica, Haydn utilizza nondimeno vari stilemi del suo tempo: frasi simmetriche o asimmetriche, formule di apertura, transizione e chiusura del periodo, il modo di combinare le varie figure motiviche nell'esposizione e nella ripresa; altri materiali provenienti dal barocco (la fuga, il canone, certe forme di contrappunto) affiorano invece talvolta quali vere e proprie citazioni, che a livello più profondo svelano un rapporto quanto mai significativo col passato: lo spirito moderno di Haydn comprende infatti di poter saldare vecchio e nuovo non più tentando un’acritica continuità con la tradizione ma partendo invece da una chiara coscienza della storicità delle forme musicali, delle cesure prodotte dal tempo e della necessaria conseguente selezione; dietro questo loro aspetto ‘caduco’ risiede però un nucleo sovrastorico, incorruttibile, dal cui possesso soltanto si sviluppano il linguaggio e lo stile del futuro.

La singolare posizione di Haydn, che percorre la sua strada nell'isolamento del castello di Esterhàza, lo differenzia ulteriormente da Mozart che al contrario si formò viaggiando per l'Europa e conoscendo in maniera diretta gli stili italiano, francese, tedesco e austriaco del suo tempo. Haydn lavorò quindi sugli stili locali e stranieri appresi a Vienna, nella biblioteca del suo principe o dai virtuosi della sua orchestra, entro una sintesi condotta in assoluta autonomia ma sostenuta dalla sua fiducia nell'universalità della natura umana e del linguaggio che aveva creato. Si tratta di valori prettamente illuministi, quanto quelli dell'ottimismo e della solarità, dell'esperire i sentimenti tramite una ragione espressa in musica, del parlare il comune linguaggio dello spirito valorizzandone al tempo stesso le peculiarità nazionali, della curiosità empirica che indaga il comportamento dei materiali sonori considerando anche la natura dei vari tipi di strumento con quella stessa abilità artigianale molto stimata dai 'philosophes'.
Primo musicista europeo nell'accezione più ampia del termine, Haydn é comunque l'artefice di un linguaggio musicale così profondamente austriaco da anticiparne addirittura i successivi sviluppi fino alle soglie del '900'. Molto presente è Beethoven, non solo in campo sinfonico ma anche in certi umori e soluzioni delle Sonate, mentre il melodismo liederistico e un diffuso trattamento di passaggi chiaroscurali oscillanti fra maggiore e minore, con la loro dorata mestizia, i cupi presentimenti e le tinte lunari denunciano in molti Quartetti la vera matrice della musica di Schubert; tanto l'arte della citazione quanto la composizione dei Landler nei Minuetti e il loro clima nostalgico, a volte straniato, rivelano infine il debito di Mahler. Ma lo stesso rigore costruttivo, l'analitica lucidità della scrittura, la sua densità e il lavoro di scomposizione dei temi appaiono un significativo lascito che può anche contribuire a spiegare la razionalità dodecafonica della seconda Scuola di Vienna.