PAOLO MAURIZI

VITA E OPERE DI
FRANZ JOSEPH HAYDN

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© PAOLO MAURIZI


I QUARTETTI PER ARCHI


I primi Divertimenti. Verso la fine degli anni '50 il barone Furnberg invitò a Weinzierl il parroco, il suo intendente, Haydn ed Albrechtsberger (fratello del più noto compositore) per far musica usando l'insolita formazione di due violini, viola e violoncello. Afferrata subito la peculiarità di quell’organico, nei Divertimenti Hob.III:1/12 (1757/1760) composti per i loro concerti Haydn evitò spesso di ridurre le parti secondarie a mero accompagnamento del primo violino e aprì un dialogo fra i quattro membri, specie nei rapidi movimenti conclusivi: il dinamismo rettilineo di tali brani effervescenti e scherzosi si distingue infatti dal più tradizionale stile rococò dei primi tempi, che limita l'elaborazione della forma-sonata e di un’articolata tessitura.
La raccolta obbedisce comunque agli schemi canonici del genere, prevedendo due Allegro e due Minuetti che incorniciano un Adagio come perno dell'intera composizione. Questo movimento riflette la 'sensiblerie' dell'epoca, con la sua fresca e morbida vena cantabile; ma, specie nella Hob.III:1/6, acquista non di rado una commossa intensità patetica nell'immediatezza espressiva di un melodismo liricamente spiegato, indice di un animo fervido che traspare anche nelle pensosità, nelle mezze tinte e nella vena melanconica di certi esempi dell'Hob.III:7/12. Emerge poi talvolta un sottile rapporto fra quei sentimenti e i toni ombrosi, dolorosi o estatici di alcuni Trii, che donano già un profilo inconfondibile ai relativi Minuetti, capaci a loro volta di armonizzare i rispettivi caratteri opponendo, alternando e amalgamando in varie soluzioni gli aspetti graziosi dei primi con quelli decisi dei secondi.

La grande stagione degli anni ’70. Quando fra il 1769 e il ‘70 vennero alla luce i Quartetti op.9, Haydn dimostrò di aver maturato idee abbastanza chiare per progettare un'organica raccolta di sei brani dove il lessico, la forma discorsiva e la valorizzazione delle sfumature delineano già un chiaro stile quartettistico. Se i Finali esaltano spesso il gioco dinamico e il dialogo serrato fra le voci in un clima fresco, arguto e spumeggiante, i Minuetti sottopongono sin d'ora le figure di danza ad una stilizzazione melodica che le trasforma in autonome immagini musicali, estranee ad ogni rapporto con gesti coreografici, sfiorando quasi un'ironia da Scherzo nella ritmica nudità dei processi canonici e imitativi del Quartetto n.3. Quanto ai tempi di apertura, gli abbellimenti tradizionali che nel n.1 arricchivano il virtuosismo concertante del primo violino s'integrano subito nell'ordito polifonico del n.2, che anima gli schemi più complessi di un coerente arco narrativo il cui fraseggio intenso e corposo è governato da un ampio spettro armonico, mentre lo stile secco, lineare ma cospicuo permette nel n.3 di raggiungere un'alta pulsione drammatica; il n.6 si apre infine con una costruzione splendida per tessitura, essenzialità ed economia di mezzi, usando due temi come volti complementari del medesimo affetto in un oscillante chiaroscuro schubertiano che sembra già evocare l'ambigua fragranza dei 'Marchen'. Questa particolare atmosfera ‘romantica’, assente nelle altre opere 'sturmeriane' del medesimo periodo, descrive un ineffabile mondo poetico emerso nelle tinte dolorose, nelle inflessioni nostalgiche, nel patetismo pregnante, nel contemplativo dilatarsi del tempo e nelle liriche distensioni di molti Adagio; ma le sue radici sembrano affondare in un humus puramente musicale, preoccupato di sfruttare le sonorità del nuovo strumento. Haydn analizza qui l'intrinseca fenomenologia del timbro e delle dinamiche, ricavando un fraseggio e un periodare che gli schiudono ulteriori orizzonti e prospettive; la forma rigorosa e organizzata della sua musica nasce dunque da un acuto intelletto costruttivo ma anche da un interesse per il mezzo, che suggerisce allo stile il modo di articolarsi a seconda dei casi.
I contenuti di questa raccolta vengono ancor più sviluppati nei Quartetti op.17 (1771), giungendo ad una prima completa definizione del genere sul piano tecnico e stilistico. Con un motivo che intreccia dinamismo e cantabilità in un periodo comprendente i germi del secondo tema, sin dal Moderato d'esordio del n.1 Haydn garantisce ad interi brani organica coerenza di idee, ribadita nell'Adagio del n.3 da un profilo melodico che coagula le variabili espressive toccate dal mutare degli affetti nel corso di una profonda meditazione interiore. Per contro, il n.5 è largamente attraversato da frastagliate scansioni ritmiche, asimmetrie e irregolarità, configurando in tal modo una sturmeriana 'crisi del linguaggio'; il clima teso e pieno di sconforto, che certo la giustifica sul piano espressivo, non deve però lasciar cadere le motivazioni tecniche di un rischio lucidamente calcolato per saggiare i limiti di rottura del discorso, coglierne i veri nuclei portanti e rinnovare in tal modo lessico e sintassi. Di fronte ad un simile progetto d'avanguardia sorprende allora l'arguta risposta del Quartetto n.6, che in luogo di invenzioni inedite recupera con estrema naturalezza lo spirito del Divertimento, della polifonia preclassica e delle forme concertate; grazie ad una soluzione così provocatoria ma che si giustifica nel rivisitare i moduli antichi con sottile distacco, Haydn afferma dunque la massima libertà di scelte stilistiche nel percorrere il vettore del tempo in ogni direzione, seguendo un proprio itinerario che non deve per forza rispondere ad una visione di perenne progresso della storia.
Oscillando fra modo maggiore e minore con rapidi passaggi preschubertiani, l'ulteriore sviluppo dell'orizzonte armonico verso traguardi più avanzati di quelli raggiunti dalle coeve sinfonie deriva dal medesimo carattere della tessitura quartettistica, che favorisce il chiaroscuro, la mescolanza e la trasmutazione dei colori. La sua fisionomia concorre pertanto in maniera essenziale a generare l'intenso clima poetico dell'op.17: ombrosità crepuscolari, tristezza e ripiegamenti pensosi; dubbi, mascherati dietro l'apollinea serenità di certe sequenze; rappresentazioni sfuggenti di un disagio afferrato solo da un'espressione di dolore, profondo quanto il bisogno di catarsi che talora l'accompagna e il sentimento lacerante di assenza che affiora in tracce di una musica popolare vissuta nel ricordo; intense meditazioni che colgono l'ampia gamma di uno stato d'animo esplorando le più riposte intimità e le regioni più rarefatte dello spirito; infine, una vivace serenità settecentesca che termina sempre ogni opera all'insegna dell'humour e dello scherzo.
I Sonnenquartette op.20 concludono nel 1772 la prima grande stagione quartettistica haydniana, entro una raccolta che ne definisce in modo ancor più stabile la fisionomia. Il titolo nasce dall'immagine del sole raffigurata sul frontespizio dell'edizione Hummel del 1779, ma si potrebbe anche riferire all'armonica perfezione compositiva e alla luce gettata su un mondo interiore che viene nuovamente sperimentato da Haydn tramite il puro esercizio musicale; sia il percorso compiuto dallo stile che quello seguito da un altrettanto ricco universo poetico abbracciano infatti l'intera raccolta, assicurandole quell'organica sintesi che le altre due non erano riuscite pienamente ad ottenere.
La solarità del Quartetto n.1 esprime una limpidezza dello spirito derivata dal sereno lavoro di composizione, per cui la musica si specchia come suprema armonia nella raffinata sensibilità delle modulazioni, nell'eccellente articolarsi dei contrappunti ma soprattutto in un primo tempo che unifica le tre sezioni della forma-sonata nell'omogeneo svolgimento di un discorso chiaro, leggiadro e lineare. Risultati ancor più validi li ottiene in tal senso l'Allegro del Quartetto n.3, permeato da una tecnica dello sviluppo che riguarda non solo la parte centrale ma anche l'esposizione, la ripresa e l'articolazione medesima del tema, che torna periodicamente su sé stesso in modo sempre nuovo; si tratta in fondo della puntuale applicazione di quel principio generativo che, usando poche idee, permette fra l'altro la mirabile costruzione del brano che inizia il Quartetto n.4, mentre il Presto che lo chiude ne rovescia l’essenzialità e l’economia con la sua esuberante ricchezza. Ben tre movimenti presentano inoltre una scrittura fugata, scelta per dare alla raccolta un maggior peso contenutistico e compositivo; ma questa soluzione non sempre risulta efficace nell'adeguarsi allo spirito dei quartetti che intende concludere: l'incerto compromesso fra seriosità e spigliatezza proposto dall'Allegro del n.2 non riesce infatti a bilanciare con altrettanta consistenza la profondità dell'Adagio, mentre, pur mancando di originalità nel ripensare una forma così blasonata, il tono severo e corrucciato dell'ultimo tempo del Quartetto n.5 sembra in qualche modo rispondere al pathos mesto e dolente dell'intera opera; convince perciò solo l'Allegro del Quartetto n.6, grazie all'umoristico sorriso della sua vena scherzosa dove i più osservati contrappunti si trasformano amabilmente in gioco. La buona riuscita di questa fuga si deve comunque ad un quartetto che nell'insieme, come già quello conclusivo dell'op.17, torna con spirito leggero e scherzoso alle forme galanti e allo stile rococò.
In tal modo finisce dunque una raccolta che, rispetto alla precedente, dimostra sul piano poetico maggior coerenza e lucidità di contenuti, esplorando i molteplici aspetti di un'organica sfera sentimentale. Gli argomenti sono quelli ormai consueti della mestizia e del dolore, della melanconia e dell'oscurità; ma, grazie alla loro saggia distribuzione, il rilievo dato al tono minaccioso e allarmante di alcuni Minuetti vicinissimi allo Scherzo, ai climi incantatori da ballata popolare, agli agitati e incisivi passaggi drammatici, all'intensa espressione lirica o alla meditazione consolatoria di certe pagine arricchiscono il senso di quei temi, elaborando un unico grande paradigma dell'ombra e della luce guidato da un equilibrio spirituale che trova la sua fonte nelle autonome ragioni dell'arte.

I Quartetti degli anni ’80. Fra i Sonnenquartette e la successiva raccolta dell'op.33, terminata nel 1781, trascorre nuovamente un periodo di circa dieci anni. Ancora una volta un simile intervallo dimostra come, a differenza delle sinfonie o di altri generi strumentali, il quartetto per archi non rientrasse fra gli incarichi di Haydn ad Esterhàza; libera dall'obbligo di una costante produttività, la sua composizione risponde perciò a imperativi puramente artistici che ne spiegano l'elevato rendimento anche quando giungeranno commissioni dall'esterno, dando vita così ad uno fra gli esempi più illustri di autonoma creazione musicale nel secondo '700 europeo.
Considerando la sostituzione del Minuetto con lo Scherzo e l'uso delle variazioni o del rondò nel Finale al posto della fuga e degli schemi di forma-sonata, la sottolineatura dello stesso Haydn circa la peculiare novità dei Quartetti op.33 in una lettera al principe Ottingen-Wallerstein, pur motivata anche da scopi promozionali, corrisponde al vero; ma, oltre a costituire il primo esempio di quartettismo davvero moderno, in seguito emulato anche da Mozart, l'effettiva singolarità di quest'opus consiste in un fenomeno che determina più di ogni altro il suo carattere specifico: l'altissima purezza stilistica, intesa finora come autonomo concetto estetico privo di valori aggiunti, viene adesso investita da una vibrante carica poetica che la trasforma in simbolo rivelatore di una bellezza ideale, contemplata nell'effimera perfezione di un'arte capace di coglierne i riflessi giunti da lontananze ineffabili. Questa formula non vuole spiegare la natura della musica, perfetta ed autosufficiente nel rappresentare soltanto sé stessa, ma usarla in chiave poetica ed espressiva per stabilire un saldo legame reciproco tra forma e contenuto, dove l'apparizione di una bellezza irraggiungibile richiama il leitmotiv di una felicità nostalgicamente rivissuta nella memoria e viceversa; entrambe vivono perciò in un clima incerto e trasfigurato di umori melanconici e limpidi sorrisi, dove la precaria compiutezza dell'arte diviene metafora di un'umbratile armonia interiore che amalgama sofferenza e serenità in un unico momento dello spirito.
Una nuova dimensione musicale dell'ambiguità e del dubbio emerge dunque nell'op.33 sin dall'Allegro di apertura del Quartetto n.1, dove lo stesso motivo acquista una diversa fisionomia se svolto in modo maggiore o minore, all'insegna di quell'intreccio fra emozioni solari e dolorose che attraversa il movimento, delineando un complesso e multiforme stato d'animo; anche il tema del Finale prende aspetti elusivamente sereni o sardonicamente scherzosi a seconda della modalità, mentre l'Allegro del n.3 affascina per la singolare mescolanza di tinte sapide e ombrose. Fra gli Scherzi, col suo profilo acre, sarcastico e tagliente, solo il primo possiede i requisiti che di solito riconosciamo a questo tipo di movimento; gli altri elaborano invece materiali d'ispirazione folklorica per esprimere una freschezza spensierata, talvolta un pò ironica come nel n.5 o ripiegata verso climi più mesti e sospirosi come nel Trio del n.4. Questi richiami al mondo popolare emergono però in moltissimi altri luoghi della raccolta, formando al suo interno un'area tematica di estremo rilievo che introduce a sua volta l'inedito argomento della semplicità come aspirazione ad uno stato di edenica e immediata purezza dello spirito e dell'arte. Haydn illustra questo motivo colorandolo di toni elegiaci, lievi e toccanti come nella canzone del terzo tempo del Quartetto n.1, lasciando trasparire un senso di poetica ingenuità in quella sorta di ballata strofica con variazioni che compone l'Allegretto del n.5, fino all'atmosfera morbida e distesa del Vivace che apre il Quartetto n.6 con una scrittura tenera e sorridente venata di malinconia; nel limbo appartato di una sottile contemplazione ipnotica della medesima idea lungo l'arco del brano, il complesso pensiero musicale di questo movimento si articola grazie ad un linguaggio che testimonia di quale profondità ed ampia gamma espressiva disponga il particolare tocco stilistico della leggerezza: rappresentazione sintetica di un atteggiamento irriflesso dell'animo e cifra di quella delicata armonia che in tutta la serie incarna il volto equilibrato e non inquietante dell'ambiguità.
Gli splendidi Adagio e Largo della raccolta dimostrano come questo equilibrio così sensibile possegga la forza di penetrare nell'intimo con una calma distensione, resa pregnante dalla medesima esperienza del patetico nel Quartetto n.2, attraversata da ogni più sottile sfumatura emotiva nella suprema bellezza estetica e poetica del n.4, sostanziata infine dal mesto lirismo assorbito nella tranquilla luminosità del n.5. Gli ampi orizzonti meditativi schiusi da queste pagine permettono allora di concludere spesso i quartetti in un clima fresco, energico e brioso, dove con maggiore o minore sagacia Haydn si diverte a creare spiritosi effetti di sorpresa. La forma rondò e quella con variazioni, dapprima esposte separatamente in diversi Finali, vengono coniugate assieme da quello del n.6 in un discorso dal carattere tuttavia singolarmente impassibile e inespressivo che sembra terminare la raccolta con gesti discreti, ritraendo le forze in un atteggiamento interlocutorio; considerando il perimetro invisibile col quale nel primo tempo il mondo dei sentimenti si racchiude in una sorta di 'hortus conclusus', l'intensa mestizia dell'Andante e i toni moderati dello Scherzo dove si anticipa quell'aura di avanzato crepuscolo che affiora nelle pagine conclusive, quest'ultimo quartetto chiude perciò la serie con cenni di congedo da un'esperienza tanto vissuta quanto effimera, mentre sullo sfondo tornano silenziose a riapparire le tracce della musica nella sua più adamantina e intangibile realtà.
Nel 1785 Haydn compose il Quartetto op.42. La sua posizione isolata si può forse spiegare cogliendo un certo bisogno di appartarsi e riflettere in intimo colloquio con sé stesso, che distingue la partitura e che sviluppa ogni argomento nei limiti di questa singola opera senza doverli articolare nell'orizzonte più vasto di una serie. La profonda tristezza dell'Andante nasce dal carattere del suo melodismo cantabile ma è anche sostenuta da tonalità sommesse, favorite dalla scrittura sobria, quasi castigata, e dalla semplice linearità degli schemi. Grazioso nel suo tematismo elementare dai disegni in punta di penna, anche il Minuetto svolge il suo discorso entro un ambito scarno e discreto, con l'esile strumentazione che sottolinea le melanconiche tinte schubertiane del Trio. Il fulcro del quartetto risiede comunque nell'Adagio, costruito attorno ad uno stupendo motivo intenso quanto limpidamente classico, la cui materia valorizza il pathos del brano in una breve parabola di chiarezza e pregnanza indimenticabili. Dopo un simile vertice, il contenuto nervosismo del Presto venato di dolore conferma quell'unità poetica dell'insieme che sembra evocare il clima raccolto con cui terminava l'op.33, rinunciando ad un’impegnata elaborazione stilistica per dedicarsi interamente ai contenuti espressivi.
I sei Quartetti "Prussiani" op.50, intitolati al re Federico IIº, vennero composti da Haydn nel 1787. Lasciandosi alle spalle l’intimismo della precedente raccolta e del Quartetto op.42, questo ciclo presenta un taglio fortemente estroflesso con la salda oggettività di un'arte dal grande spessore stilistico, tecnico e costruttivo, dove l'assoluto musicale affiora di nuovo in modo esplicito come oggetto dell'opera e terreno di valori comuni. Superba è infatti l'articolazione di molti primi tempi: oltre all'equilibrata e imperturbabile armonia dell'Allegro nel Quartetto n.1, il n.3 possiede un'organica costruzione che ordina il materiale con grande perizia entro un discorso denso e stringente ma chiaro e lineare. L'Allegro Spirituoso del n.4 colpisce invece per il tema che ricorda molto da vicino l'incipit della Quinta beethoveniana, usato in chiave ritmica e melodica come principio generativo di una pagina coerente, dinamica e serrata; lungi dall'intenderlo in quel senso propriamente drammatico che distinguerà il genio del suo futuro allievo, Haydn manipola questa figura sfruttando tutto il potenziale proliferativo reso possibile dallo stile classico settecentesco. L'Allegro moderato del Quartetto n.5 traccia poi un interessante percorso ciclico, evidenziato da una ripresa che ristabilisce la priorità del tema principale dopo il protagonismo di una seconda idea, generata da esso e posta in risalto nel corso del movimento. Uno schema circolare governa infine anche l'Allegro del n.6, col suo stile purissimo e l'ottima organizzazione del materiale densamente articolato nel flusso di una straordinaria continuità.
Gli eccellenti pregi tecnici ed estetici dell'op.50 si estendono anche agli Adagio, ai Minuetti e ai Finali con raffinatezza stilistica e procedure altrettanto elaborate, rendendo così omogeneo il profilo e il rilievo estetico della raccolta. I lenti seguono in genere il modulo del tema e variazioni, con diverse tipologie che vanno dal susseguirsi degli episodi nel Quartetto n.1 alla continua presenza del tema nel n.3, sempre riconoscibile nelle varie sezioni dominate dagli abbellimenti o dal contrappunto, alla ripresa letterale del tema stesso nelle variazioni del n.4 che non di rado si richiamano l'un l'altra per tono e indole nel corso del brano. I movimenti relativi agli ultimi due quartetti preferiscono invece creare un rapporto scambievole fra il motivo cantabile e l'ornato, che acquista perciò un analogo ruolo strutturale ed espressivo; ciò avviene soprattutto nel Poco Adagio del n.6, usando gli abbellimenti sia in funzione melodica che di accompagno e controcanto per integrarli reciprocamente al tema.
Grazie ad una stilizzazione talvolta particolarmente accentuata, nei primi due numeri della raccolta i Minuetti stabiliscono in modo più preciso l'identità dello Scherzo haydniano, per aprirsi poi ad eleganti disegni e trasformazioni tematiche capaci di aumentare lo spessore e la consistenza musicale di queste pagine. I medesimi tempi conclusivi bilanciano il peso di quelli iniziali, coronando ciascun quartetto con sequenze briose, vivaci e ricche di spirito. Non convince la fuga ombrosa che conclude il Quartetto n.4, come sembra girare a vuoto qualche umoristica facezia nel primo numero della serie; ma il gioco astratto del n.2, l'effervescenza inventiva che manipola il tema nel n.3, l'incontro di forma-sonata e rondò che rispecchia il fondersi di tratti colti e popolari nel n.5 dimostrano quanto Haydn sia giunto a maturare una concezione del Finale come movimento non destinato a sciogliere il 'tour de force' dell'opera tramite una chiusa rilassata e leggera, bensì a reggere il confronto con ciò che lo precede grazie a soluzioni altrettanto elaborate e impegnative.
L'allegria del Vivace con cui si chiude il Quartetto n.5 appare comunque sottoposta ad un controllo che sembra evitare qualsiasi coinvolgimento emotivo da parte di Haydn. In questo aspetto possiamo scorgere un requisito peculiare dell'intera op.50, giacché il suo stile conserva un tono distaccato senz'altro definibile come cifra di un'olimpica serenità; ma per altri versi questo medesimo tono spinge il linguaggio entro una dimensione di confine, dove all'esplicito e all'affermazione definita si preferisce l'accenno, la metafora, il profilo enigmatico e sfuggente, grazie al quale Haydn trova una nuova formula davvero efficace per distinguere l'arte dei suoni dalla rappresentazione degli affetti e per evocare nel contempo un mondo animico inafferrabile proprio perché intrinsecamente indefinibile, multiforme e sfaccettato; la fedeltà verso l'autonoma ed assoluta compiutezza della musica coincide pertanto con il rispetto per l’intraducibilità dello spirito, in un'esemplare convergenza di scopi estetici e morali.
I sei quartetti del 1788 vennero espressamente concepiti da Haydn in due serie dal carattere ben distinto e pubblicati dall'editore parigino Sieber come op.54 e 55, per obbedire a strategie di mercato che favorivano la vendita differenziando i lavori; ciò non impedisce comunque di ritenerli come un unico ciclo, grazie a certi tratti comuni e all'organica natura dell'ispirazione. Il dato globale più visibile consiste nello spiccato rilievo assunto dal primo violino, col suo taglio virtuoso e concertante che soprattutto nei primi tempi si ripercuote sugli schemi della composizione; all'equilibrio paritario delle voci subentra così una disposizione gerarchica, guidata da un leader che suggerisce l'andamento del discorso. Il quartetto dunque torna in qualche modo alle proprie origini; ma, considerando l'elastica disinvoltura di Haydn nel rivisitare il passato alla luce dei traguardi appena raggiunti, si coglie subito un'ammirevole integrazione fra moduli vecchi e nuovi che bilancia l'autonomia dei singoli archi con la loro funzione di comprimari. Dal virtuosismo si sviluppa inoltre una pratica dell'ornato, come lessico di abbellimenti e riempitivi, che sostituisce al periodare sintetico una discorsività più verbosa, libera e ricca di figure convenzionali; seguendo un itinerario parallelo ma diverso da quello mozartiano, lo stile di Haydn riesce nondimeno a far convergere ornamento ed espressività in un'articolazione stringata della scrittura, come nel vigoroso Allegro del Quartetto op.54 n.3. Il medesimo dinamismo virtuosistico produce infine l'effervescenza e l'incisività di molti primi tempi, ma anche l'abbandono del rigore costruttivo per schemi più rilassati e disponibili ad accogliere le ridondanze del fraseggio; nasce in tal modo l'improvvisare quasi rapsodico del Vivace con cui si apre il Quartetto op.54 n.2 e l'esordio in semplice forma-sonata dell'op.55 n.1.
Pur continuando ad approfondire motivi ormai canonici, la sostanza poetica di entrambe le raccolte dimostra un'inedita qualità ed una singolare coloratura espressiva. In certi Adagio carichi di lirismo, l'intensa gradazione melodica è il segno di un animo sempre più sensibile ad una costellazione di sentimenti dove la serenità e il sorriso divengono forme della malinconia; non di rado l'espressione lirica si accompagna infatti a quella di una semplicità e di un'innocenza, rappresentate ancora una volta dall'ideale immediatezza della musica popolare, capaci esse sole di comprendere la natura mesta e dolorosa di uno spirito che soffre per un insopprimibile quanto inafferrabile mancanza di qualcosa. Invece di colmarla, questo disagio si alimenta delle medesime passioni nutrite dall'assenza, emanando un clima incerto e ambiguo quale unica tonalità chiaroscurale di un mondo interiore ripiegato su sé stesso. L'Allegro dell'op.55 n.2 illustra chiaramente questa condizione sostituendo i conflitti drammatici col pathos dell'elegia febbrile, della tristezza e dell’ansia, mentre svuota di ogni residuo contrasto il rapporto grazie al quale i modi maggiore e minore lumeggiano in maniera diversa un'identica realtà; pur mascherato dagli abbellimenti del primo violino, si può quindi avvertire nel Largo del Quartetto op.54 n.3 un tono di pessimismo e di rinuncia che accresce una sensibilità in grado di elaborare orizzonti già romantici nella profonda e solenne melodia agrodolce dell'Adagio dell'op.54 n.2 o nell'innocente purezza liederistica di un canto che, nel secondo tempo dell'op.54 n.1, naviga sopra un tessuto armonico ricco di affascinanti ombreggiature.
Come diversi Minuetti che raffigurano landler e canzoni popolari con ingenua letizia, scurita dall'angustia sino all'afflizione celata dietro la spensieratezza dell'op.55 n.2, questo movimento riprende ad esplorare uno spazio interiore le cui forme anticipano con sempre maggiori dettagli la fisionomia del mondo poetico schubertiano; al trascolorare delle armonie, che sostengono con inquietante magnetismo il candore di un lieder o la fragilità di una canto, si aggiungono infatti alcune innovazioni strutturali che contribuiscono a spingere in quella direzione i nuovi schemi con cui Haydn sceglie di esprimere il proprio universo affettivo: le ripetizioni variate del tema nell'Andante di apertura dell'op.55 n.2 e nell'Adagio dell'op.55 n.3 generano appunto un proliferare tautologico del discorso che si cristallizza nella fissità di un falso movimento, mentre l'Allegro iniziale dell'ultimo quartetto inventa la tecnica del montaggio a sezioni prefabbricate che appaiono e si alternano sempre uguali nel corso del brano.
Haydn ha dunque compreso con estrema lucidità quali comportamenti avrebbe assunto il profilo sintattico per tradurre una particolare condizione dell'anima, ribadita pure in Finali vivaci e spumeggianti come quelli dell'op.54 n.3 o dell'op.55 n.2, dove lo humour diviene gioco aspro e amaro non riuscendo a liberarsi dalle ombre della melanconia. Solo quello dell'op.35 n.3 sprizza esuberanza e vivace positività nel ritmo travolgente del moto perpetuo, ma serve più a concludere la serie che a scioglierne i nodi proponendo una via d'uscita. Il suo carattere non sembra dunque collimare con i motivi poetici che dominano gran parte della duplice raccolta; eppure, sul piano strettamente musicale, non si avverte alcuna contraddizione quanto invece la conferma di una coerente armonia di fondo, che si può comprendere tornando a riflettere sulla scrittura virtuosistica e abbellita dei primi movimenti: espressione di pura e disinteressata musicalità, riaffermata sempre all’inizio di ogni opera come una serie di punti che disegnano i confini dell'intero ciclo entro un perimetro concluso appunto dal Finale dell'op.35 n.3. Arginata dalle serene certezze di questi limiti, l'incandescente materia dell'opera perde in tal modo la sua virtuale propensione a tracimare nel caos e viene costretta a rappresentarsi tramite un linguaggio che ribadisce ogni volta la propria natura impermeabile a contenuti potenzialmente rischiosi per ogni equilibrio formale.

Tost-, Apponyi-, Erdody- e Lobkowitz-Quartette. Dedicati al virtuoso Johann Tost, i Quartetti op.64 (1790) continuano a dare grande rilievo al primo violino usando talvolta uno stile da concerto ben articolato fra 'solo' e 'tutti', come nell'Allegro vivace del n.4, e maturando ulteriormente un linguaggio serrato e conciso. Nei confronti dell'op.54/55, sin dai brani d'apertura emerge tuttavia un profondo mutamento di clima: l'aulica tranquillità del Quartetto n.1, col taglio vigoroso e nobile del tema che avvolge in un fluido sviluppo discorsivo ogni sezione della forma-sonata, le limpide simmetrie che ospitano l'esuberanza e la scorrevole invenzione melica del n.3, l'esattezza geometrica del disegno che traccia nel n.5 i contorni di una razionale architettura classica, indicano appunto una pace interiore che armonizza le più diverse tonalità dell'animo con l'aiuto di una disciplina estetica sempre capace di suscitare una condizione di spirito finalmente appagata. Solo il Quartetto n.2 presenta un'alta temperatura drammatica sofferta e ricca di pathos, un'intensità di lirismo che si risolve in splendida meditazione sull'intreccio di affetti melanconici e luminosi, un'ironia tagliente da Scherzo demoniaco ed una conclusione che, nonostante la vivacità dei folklorismi all'ungherese, trascina la propria angoscia sino a svanire nel nulla, chiudendo un'opera tra le più rivoluzionarie e gravide di futuro sinora concepite da Haydn. Per il resto, le linee melodiche dei tempi lenti si atteggiano ad una morbidezza espressiva, ad una poetica 'reverie' e ad un'intima distensione contemplativa nelle quali ogni venatura nostalgica e dolorosa si risolve in un tocco leggero e sensibile.
Se l'idealizzata semplicità della musica popolare perde in queste pagine il carattere di malinconica rimembranza per confluire in una classica purezza di stile, anche i Minuetti mescolano entrambi gli stili con arguto e vigoroso sapore campagnolo che spesso acquista gli umori di un autentico Scherzo; a tale spigliata concretezza si associano tonalità più gentili, che nel n.1 trovano con i ritmi di danza, i cromatismi, le variegate modulazioni e l'esile ironia un accordo di ammirevole sintesi e misura. I movimenti finali sono percorsi da un dinamismo teso, incalzante, ritmicamente veloce. Non sempre possiamo giudicarli riusciti, soffrendo a volte di prolungamenti che nuocciono alla sostanza e alle proporzioni; ma il sottile gioco sull'impulso motorio espresso senza soste nel 'perpetuum mobile' del n.5 e il brioso Presto del n.6, pieno di luce e umoristica allegria, chiudono la raccolta con brani di eccellente levatura.
Composti nel 1793 e dedicati al conte Anton Apponyi a riprova del nuovo interesse per la musica da camera da parte dell'aristocrazia viennese, come l'op.54/55 anche i Quartetti op.71 e 74 formano una doppia miniserie di tre numeri ciascuna che, fra le sue due parti, mostra evidenti differenze di clima e di scrittura; l'intero ciclo è comunque unificato dal tema di una progressiva evoluzione del linguaggio, che potrebbe spiegarne la struttura bipartita: il cambiamento di opus sembra infatti marcare una svolta, gettando con l'op.74 uno sguardo perspicace sulla musica del XIX secolo dopo aver compendiato quella settecentesca nell'op.71. Leggere in tal modo la successione dei sei quartetti risente certo di una moderna consapevolezza storica, che deve perciò misurarsi col tipo di coscienza del proprio tempo posseduta dalle menti più lucide del tardo '700; fra di esse vi era senz'altro quella di Haydn, che potrebbe quindi aver colto nel suo ciclo fenomeni allora nascenti nel mondo musicale obbedendo anzitutto alle intime ragioni di sviluppo del proprio stile.
I tre Quartetti op.71 mostrano una sonorità corposa, che abbandona l'acustica raffinata e sottile dei piccoli ambienti di Esterhàza per echeggiare nelle sale da concerto londinesi; il destinatario quindi non corrisponde più ad un pubblico di esperti e intenditori, bensì a quello borghese dei dilettanti da poco affacciatosi alla ribalta della grande musica. Differenziando in vario modo le parti principali del discorso, Haydn non si è comunque preoccupato di venirgli incontro scegliendo un tipo di sintassi capace di rendere più chiara e percepibile la struttura della forma-sonata, ma soltanto di elaborare schemi che la rinnovino con estro ed ingegnosità. Infatti, mentre nel n.3 l'incalzante periodare dello sviluppo ritorna nella sezione conclusiva prima della coda, nel n.2 l'esposizione viene svolta e immediatamente ripetuta distinguendosi dalle due parti restanti che si saldano in un unico flusso musicale; molto usata da Haydn in questo genere come nelle sinfonie, la tecnica della 'falsa ripresa' - cioè di un breve accenno dell'esposizione durante lo sviluppo, per ingannare sul vero esordio della terza parte ma per creare anche specifici equilibri strutturali - ribadisce tale continuità, suggerendo con arguzia che non esiste in effetti alcuna ricapitolazione. Ritmati proprio dalla marcatura delle sue parti, Haydn sperimenta dunque vari tipi di montaggio dei materiali all'interno della forma-sonata, evitando lo stile rigoroso di molte opere che concentrava in organismi unitari gli schemi tripartiti; ad esso però subentra una scrittura velocissima ed estremamente concisa che riunisce in poco spazio una gran quantità di idee, chiedendo all'ascolto un'intelligenza e un’attenzione pari solo a quella pretesa dalla musica d'avanguardia del ‘900.
Sul piano espressivo, l'op.71 dimostra una gamma di contenuti ricca e variegata. L'impulso energico dell'Allegro di apertura nel Quartetto n.1 viene seguito da un Adagio che oscilla fra toni luminosi e melanconici, innocenti e supplichevoli, tristi e rassicuranti, lasciando emergere un'atmosfera elegiaca di stampo schubertiano; del pari, composto seguendo una logica estranea ad ogni forma di danza, il Minuetto trasforma via via in ombre inquiete le immagini solari del principio. Lo schema drammatico di quest'opera tocca dunque nuovamente zone minacciose e incerte, ma le inscrive in un racconto che trova la sua catarsi nelle splendide invenzioni del vispo e rapidissimo Finale. Anche l'Allegro del Quartetto n.2 mostra un taglio vigoroso, energico, forse più ottimista del primo; l'aura distesa e solenne del preludio viene ripresa nell'Adagio da un canto di pace, mesto e ridente insieme, la cui forza introspettiva espande sempre più i confini di un'anima persa nella meditazione e nella contemplazione. Un incalzare intenso e drammatico percorre a sua volta la parte centrale del primo tempo nel Quartetto n.3; ma in quest'opera colpiscono le dimensioni del fraseggio, il grande spessore sviluppato da uno stile complesso e la tensione che innerva l'ordito polifonico. Valutando l'organica purezza di struttura che per la prima volta equipara il Minuetto ai brani più importanti e l'alta densità del discorso nell'esemplare chiarezza formale di una delle migliori pagine conclusive mai scritte da Haydn, quest'ultimo quartetto termina l'op.71 con un pensiero architettonico di ampio respiro che sembra celebrare l'apoteosi dello stile classico, richiamato nel secondo tempo da variazioni molto fedeli agli schemi del '700; il Finale guarda invece al futuro, grazie ad un gioco sull'incipit del tema e sui ritmi sincopati che anticipa Beethoven. Erigere monumenti ad uno stile non significa tuttavia per Haydn considerarlo esaurito, ma solo ritenere conclusa la parabola di una sua specifica identità espressiva; ciò che muore si trasforma perciò senza fratture in un organismo che conserva certi aspetti fisionomici del precedente in un ambito del tutto diverso. Il senso di svolta e di entrata in una nuova epoca concerne allora solo gli strati del linguaggio soggetti al fluire del tempo, con le sue sequenze discontinue interrotte da momenti di crisi; sotto di essi continua invece a scorrere la dimensione non progressiva della permanenza e della continuità.
Con questo spirito vengono affrontati i Quartetti op.74, che si aprono spingendo l'idioma tardosettecentesco ai limiti di guardia grazie ad un tipo di un fugato capace di trascinarlo verso nuove mète e nuove frontiere; analoga funzione viene svolta da un trattamento tematico che accentua le possibilità della tecnica germinativa, lavorando sul tradizionale motivo 'Jupiter' di quattro note per svilupparlo in un'appassionata e risoluta pagina dall'inedita drammaticità beethoveniana. Il Minuetto continua dal canto suo a proiettare il linguaggio nel futuro, convertendo i gesti della danza in uno Scherzo altrettanto drammatico per il vigoroso innesto di elementi popolari, sostenuti da modulazioni che precedono anch'esse Beethoven. Il Quartetto n.2 indica con maggior chiarezza come proprio questa componente folklorica, non più sublimata in visioni poetiche, contenga una materia di grande valenza innovativa: il suo rude vitalismo ed il particolare andamento danzante articolano infatti un dramma musicale che non risponde più all'immagine di quello classicista. Il Quartetto n.3 porta infine all'apice la temperatura di un quadro le cui figure preludono tutte al mondo schubertiano, con la cavalcata fantomatica e sinistra che immerge il primo movimento negli scenari trepidanti del 'Marchen', con lo spirito romantico meditativo e quasi religioso del Largo assai dalla mesta implorazione lirica che ravviva la propria notte di luminosità interiori sorgenti da un profondo senso di pace, col profilo ambiguo e doloroso di un Minuetto in forma di Scherzo e con l'Allegro finale che traduce il suo nervosismo tzigano in un tragico incalzare fra paesaggi timbrici dall'incerto colore livido, secco e quasi espressionista; l'innocente sorriso del secondo tema non riesce a dissipare l'inquietudine, finche non si riunisce a quello principale in un sereno e placato scioglimento conclusivo. La distanza dall'emisfero settecentesco viene allora lucidamente compresa nell'Andantino del Quartetto n.1, rivisitando il lirismo della grazia in una rappresentazione stilizzata della sua quintessenza poetica; come sempre, la consapevolezza di tale divario non implica tuttavia una separazione: lo sottolinea per altri versi l'intento stesso di rivisitarlo, mentre l'Andante Grazioso del n.2 ritorna senza veli al clima più autentico del XVIII secolo con delle variazioni che uniscono il tipico stile haydniano alle consuete formule del classicismo viennese.
Dai primi Divertimenti fino all'op.50, le raccolte haydniane hanno sempre avuto la forma di cicli regolari composti da sei numeri ciascuno; dall'op.54/55, anche quando svanisce la dichiarata separazione in due miniserie, abbiamo invece visto non di rado affermarsi uno schema bipartito che divide i quartetti in due gruppi ben distinti per fisionomia e contenuto espressivo. Creati nel 1797, gli Erdody-Quartette op.76 sono l'esempio forse più lampante di questa nuova maniera: alla vigorosa e febbrile tensione dei primi tre subentrano infatti movenze più rilassate, che organizzano fra l'altro la materia ideando ancora una volta soluzioni originali ed esclusive.
I numeri del primo gruppo presentano una vicenda che si apre con movimenti gagliardi, pulsanti e concitati per chiudersi con finali ansiosi, corruschi e drammatici. A parte l'inizio del Quartetto n.1, che ribadisce subito criteri di limpidissima chiarezza ed assoluto dominio della forma, un certo sapore gitano concorre all'esuberanza e all'eccitazione dei primi tempi; gli ultimi seguono invece il profilo inquieto e nervoso di un orizzonte ambiguo, disseminato di premonizioni ed incombenti minacce, talvolta imprevedibile nel piegare verso lati oscuri e sardonici, dove ogni figura si carica di valori metaforici e allusivi. Solo con fatica certi passaggi riescono a disperdere le nubi o ad accogliere squarci luminosi, e solo nel n.3 l'agitazione si definisce in termini più chiari e contrastati. Per tracciare un simile itinerario la drammaturgia dei singoli quartetti ruota sul perno dei movimenti centrali, che segnano appunto una svolta con la loro indole diametralmente opposta a quella dei movimenti d’apertura. Dopo i gesti di baldanzosa e appassionata energia degli esordi, i lenti rivelano infatti una profonda espressività; il primo esamina il duplice aspetto meditativo e patetico di un sentimento composito ma non contraddittorio; il secondo rivisita la graziosa galanteria del '700 con lievi tinte romantiche, passando per fascinose zone d'ombra dove sembra quasi perdersi e smarrire il filo del discorso; il terzo, formato da splendide variazioni figurative, armoniche e timbriche sul celebre inno "Gott erhalte" dello stesso Haydn, immerge la maestosa e vibrante melodia in un'immota contemplazione che si dissolve nell'orbita di un rapimento estatico, cifra di un misticismo del quale resta in dubbio l'intima natura patriottica o religiosa. Ad eccezione di quello umoristico ed elegiaco del n.3, i Minuetti non svolgono più un ruolo di entr'acte ma ribaltano il clima dei tempi lenti con l'acuminata e perfida ironia del primo, che tronca la sua ripresa dopo una danza capricciosa del violino solista nel Trio, e l'irata durezza del secondo, spigoloso, fantomatico e oscuro; questo accumulo di tensione prepara l'avvento delle pagine finali, che acquistano dunque un pronunciato indirizzo catartico e risolutivo.
La seconda parte della raccolta dipinge invece atmosfere più distese, rivoluzionando la concezione sonatistica degli energici tempi d'apertura con schemi che spianano la strada ad un certo quartettismo di Schubert e dell'ultimo Beethoven. L'Allegro con spirito del n.4 sostituisce infatti al principio dell'elaborazione continua un disegno a spirale determinato dall'alternarsi di episodi vigorosi e periodici ritorni alla dolce melodia d'inizio; quest'andatura ciclica limita le spinte propulsive dello sviluppo ed interrompe la fluidità del discorso, comparando figure di movimento e di arresto in un paradigma di corsi e ricorsi dove la condotta lineare s'inscrive in un'immagine relativamente statica del tempo. Protagonisti dell'Allegretto del n.5 sono a loro volta un tema cullante, semplice e innocente, quasi da canzone popolare, ed un motivo drammatico, teso e nervoso, che si scontrano e si sovrappongono prevalendo ora l'uno ora l'altro; la novità risiede nella limpida determinazione di una dialettica che anche qui si riduce all'essenziale confronto di tesi e antitesi, rappresentando una drammaturgia ed un tipo di conflittualità estranei alla tradizionale forma-sonata. Altrettanto singolare è l'approccio con una formula non inconsueta come le variazioni poste all'inizio del Quartetto n.6, che Haydn svolge peraltro obbedendo alla sua maniera di ripetere la melodia senza modificarla; ma l'elementare materiale tematico e il suo basso profilo comprimono il raggio dell'invenzione creativa, finché nell'ultimo episodio l'intervento di una fuga dinamizza il brano e lo trasforma nella sequenza terminale di un Allegro.
Simili strutture così variegate arricchiscono di nuove indicazioni la mappa del passaggio dal classicismo al primo romanticismo, che lo Haydn di questo periodo traccia con penetrante intuito; altri dopo di lui partiranno da ipotesi diverse, giungendo però in vari momenti ad analoghe scoperte. Il Largo del Quartetto n.5 presenta così ulteriori escursioni in un mondo poetico che solo per consuetudine definiamo schubertiano, essendo per molti versi già proprio di Haydn: intense meditazioni sul destino e sul dolore nel triste canto serenamente rassegnato di un lied, sostenuto dalle opacità di una tessitura che accompagna con ampia gamma cromatica l'insorgere di un universo armonico tra i più fecondi mai espressi da lui. Le tinte mattutine che illuminavano già l'atmosfera del primo movimento riappaiono per esprimere la crescita di un'alba interiore nell'Adagio del n.4, immerso con estatica pregnanza nell'ascolto della propria intimità fino a toccare un livello nel quale l'io si trasforma in spirito assoluto raggiungendo la pace; una pace che nell'Adagio del Quartetto n.6 supera l'agitarsi delle passioni e si distende nell'ampio respiro di una melodia sempre più accorata, che dalle zone timbriche più gravi s'innalza gradualmente verso l'acuto attraversando le regioni dell'ombra e della malinconia con solenne tranquillità.
Il Minuetto del n.4 si dimostra scherzoso e vivace, ma il clima di attesa, l'andamento erratico e le ambigue venature del Trio sembrano riscoprire nel materiale folklorico il motivo della semplice innocenza contadina sulla quale incombe un'oscura minaccia; altrettanto enigmatico e misterioso appare il Trio del n.5, con le sue premonizioni mahleriane che gettano ombre sinistre sul candore di una danza tematicamente vicinissima al lied che l'ha preceduta. Solo il Minuetto del n.6 presenta spigliatezza e vigore, che man mano si traducono in un gioco di astrazioni ironiche e sottili.
Come nella prima parte, anche i movimenti finali di questa seconda metà della raccolta concludono l'arco drammatico dei rispettivi quartetti, dando un esito ai loro contenuti. Così l'Allegro ma non troppo del n.4 si muove in un ambito sereno con tocchi misurati e morbidi, riprendendo le delicatezze del brano d'apertura ma svelandone la maschera sibillina nel clima incerto e indefinibile che filtra dietro il suo humour. Il Presto del n.5 esordisce con tratti briosi, ma, dopo le vedute inquiete e sconsolate dei due brani precedenti, non può abbandonarsi ad espressioni di gioia pura e genuina; così le note ribattute che accompagnano il tema spezzano periodicamente il discorso e lo costringono a tornare sui suoi passi, creando nervosismo e tensione misti ad una certa ironia. Il profondo senso di pace che anima il tranquillo paesaggio del Quartetto n.6 trova infine la sua conferma nell'Allegro Spirituoso, la cui vivacità viene governata con rigore, impegno ed economia di mezzi.
Composti nel 1799 e formati da due soli numeri, come gli Apponyi e gli Erdody anche i Lobkowitz Quartette op.77 sono il frutto di una commissione aristocratica. Il n.1 prosegue senz'altro il cammino verso il romanticismo più acceso con un Allegro moderato che introduce la nuova figura preschubertiana di un tema dal costante ritmo di marcia e dal sapore liederistico e popolare. Elaborato in una densa tessitura, l'Adagio Fantasia contiene una delle più forti anticipazioni di Beethoven per il melodismo patetico di un motivo intensamente cantabile nella sua dolce melanconia, che segue ad un severo unisono introduttivo; sul dialogo fra queste due idee Haydn compone una pagina dagli accenti dolorosi e accorati, talvolta incerta e pervasa di dubbi, che infine si placa in un'atmosfera di serena rassegnazione. Il taglio deciso e focoso del Minuetto determina sin dall'inizio un movimento a Scherzo di stampo ottocentesco, accentuato dal cambio di tempo in Presto che nel Trio sostiene il pulsare di minime ribattute in una corsa trascinante e aggressiva. Purtroppo, come in altri casi, anche qui il Finale si rivela il tallone d'Achille del quartettismo di Haydn, con uno slancio che non basta ad evitare una certa aridità.
Il recupero della più classica forma-sonata tripartita che apre il Quartetto n.2, così come il suo tema settecentesco e lo sviluppo giocato sul materiale secondario dell'esposizione, sembrerebbe preludere ad un'opera che guarda al passato; ma l'incalzare tagliente del Minuetto ristabilisce un clima di attualità cui non sfuggono neanche le variazioni dell'Andante, grazie all'impegno contrappuntistico e alla loro particolare compattezza. Stupenda è la coda di questo movimento, che riprende in pp. le idee principali del brano; ma ancor più straordinaria è l'organica struttura del Finale che, senza mai cedere, scorre con grande coerenza ritmica e tematica in un flusso pieno di vita.

Un testamento incompiuto. Nel 1803 per l'ultima volta Haydn affrontò il genere quartettistico, riuscendo solo a scrivere i due movimenti centrali di un'opera non terminata. Molti critici hanno indicato le cause di quest'esito negativo nella scarsezza di energie, dovuta ad un'età troppo avanzata; ma forse le ragioni più profonde si dovrebbero cogliere nello spirito cupo, amaro e depresso del Quartetto op.103, che contrasta con la limpida e solare armonia delle Messe composte nei due anni precedenti. Nel giro di poco tempo la sfera oggettiva del sacro e quella soggettiva del privato denunciano così un'importante scissione, o meglio una separazione retta da equilibri ancora precisi ma quanto mai delicati; Beethoven subito dopo dovrà quindi assumersi il compito di ricomporli da un'altra differente angolatura.
Haydn non sembra inoltre accusare un appannamento delle sue facoltà creative: il modernissimo colore ferroso della timbrica e l'opacità della strumentazione non derivano infatti da uno stato di decadenza senile quanto da un intimo senso di dolorosa mestizia che, pur entro una saldezza linguistica sempre fedele ai medesimi archetipi, traluce sia dalle variazioni dell'Andante sia dall'aspro rancore del Minuetto, con uno sguardo di crepuscolare pessimismo gettato sul mondo e sulla propria solitudine.