PAOLO MAURIZI

VITA E OPERE DI
FRANZ JOSEPH HAYDN

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© PAOLO MAURIZI


MUSICA DA CAMERA PER TRIO


Trii col baryton. Come forma d'intrattenimento privato, il trio per archi nasce nella seconda metà del '700 dalla progressiva laicizzazione della 'sonata da chiesa'. Mentre a Parigi, Amsterdam e Londra un nuovo pubblico acquistava trii di Boccherini, Giardini e Cambini, a Vienna il genere ebbe un notevole successo come particolare versione strumentale del Divertimento e della Partita. Haydn se ne occupò dal 1762 al '67, con brani galanti poco impegnati e piuttosto elementari; negli ultimi esempi si fa strada però un'accentuata ricerca espressiva, comune a numerosi altri lavori del cosiddetto periodo 'sturmeriano'.
Il repertorio prodotto in quel tempo dal classico gruppo di violoncello e due violini é oggi pressocché dimenticato. L'inedita formazione di viola, violoncello e baryton, pomposo figlio della viola d'amore celebre in Austria e Germania meridionale durante il XVIII° secolo, viene invece ricordata solo come un'eccentrica curiosità nelle vicende artistiche di Haydn; eppure il lungo elenco di trii da lui composti fra il 1762 e il 1775 su richiesta del principe Nicolaus, che suonava quel singolare strumento con grande passione, annovera moltissimi pezzi di ottima levatura. Il baryton usa un sistema di doppie corde: 6/7 di budello e 10/15 di metallo, poste sotto o a fianco delle prime. Queste corde complementari vibrano sollecitate dal suono delle principali, generando un sostrato armonico che funge in qualche modo da ripieno e un timbro acuto che supplisce alla mancanza del violino; ma chi esegue può anche pizzicarle, non limitando la loro funzione ad una passiva risonanza simpatica.
Il cospicuo esercizio di stile offerto dall'esatta calibratura delle forme, dall'eleganza e dalla rara sensibilità del tessuto musicale conferisce un grande valore estetico alla sapienza artigiana che anima la vivacità, la grazia e l'affettuoso lirismo delle opere scritte da Haydn grosso modo fino al 1768; può esserne un esempio il Trio n.70, che risale a questa data, con l'arguto umorismo dello Scherzando pieno di sorprese, il leggiadro cantabile settecentesco dell'Andante e il Minuetto dal motivo ben profilato di marca popolare. Nello stesso anno, il rigoroso contrappunto della fuga che conclude il Trio n.71 agli antipodi del clima edonistico e galante del primo tempo, indica però una svolta chiara e decisa verso quell'autonomia delle singole voci che, rinunciando alle vibrazioni armoniche fornite dalle corde complementari, elimina le ultime tracce di basso continuo e trasforma il Baryton Trio nello strumento esplorativo di una scrittura per soli archi preparatoria dei Quartetti op.17 e 20. Tale impronta diviene visibile nel Trio n.85 (1769) per la classica coerenza di un Allegro energicamente costruito sull'incipit del tema, per l'intreccio polifonico del Minuetto e per il solenne Adagio iniziale, la cui tessitura invita una melodia di largo respiro a penetrare con assorta tranquillità fin nelle zone più oscure di un'intensa meditazione. Questa pagina dimostra però come l'importanza storica dei trii col baryton non si esaurisca in una semplice funzione sperimentale e propedeutica ai grandi lavori del futuro; raggiungere simili altezze espressive lavorando su contenuti esclusivamente musicali anche in un genere destinato al piacevole consumo familiare rivela infatti, forse con maggior evidenza che altrove, i presupposti estetici dello strumentalismo di Haydn: senza più distinguere a priori forme o stili 'alti' e 'bassi', un medesimo approccio creativo fedele ai valori della musica assoluta schiude gli orizzonti più ampi al trio per archi come a qualsiasi altro genere di composizione.
All'indomani di questa svolta il Trio n.87 (1769) esordisce nel clima oscuro dell'Adagio, la cui melodia triste e lamentosa acquista un'espressione consolatoria passando ad una maggiore luminosità nel consueto cambiamento modale; il pathos dell'Allegro mostra un tematismo ansioso e sofferente, mentre il tono severo e aggrottato del Minuetto contrasta con la dolce cantabilità del Trio. Altra pagina di grande intensità meditativa, il primo movimento del n.96 (1771) é a sua volta un Largo che inizia ombroso e profondo ma poi via via si rischiara, oscillando fra pensosa malinconia e un lirismo più caldo e sereno; anche l'Allegro presenta un'atmosfera corrucciata di drammatico vigore, seguito dai toni elegiaci e dolenti del Minuetto che ospita la debole voce melodica del Trio. Dal 1772, sempre più chiari e distesi appaiono comunque i tempi lenti di apertura: movenze calde, morbide e gentili presenta l'Adagio del Trio n.111, mentre quello del n.113 ha un andamento cantabile pieno di sentimento nella fragrante melodia intensificata dall'ordito polifonico e dalle modulazioni; il Trio n.117 si apre con il sereno lirismo contemplativo di un'ampia melodia talvolta sofferta, mentre lo spirito settecentesco viene recuperato nell'Adagio centrale del n.121 con la sua lirica eleganza che ricorda quella dei primi Divertimenti per archi. L'Adagio d'apertura del Trio n.109 (1772) affascina per l'evocazione della semplicità popolare, in un canto strofico reso ancor più commovente da giri armonici talvolta preschubertiani; il richiamo del folklore era già emerso d'altronde in vari Minuetti, come quello del n.70 e del n.101 con la sua pesante scansione ritmica di stampo paesano.
Gli Allegro presentano dal canto loro un'articolazione sofisticata, intelligente e originale. Quello che apre il Trio n.101 (1771) é sciolto, vigoroso e scorrevole, contenendo nello sviluppo alcuni accenti drammatici che inquietano il clima sereno del pezzo; un'alta qualità stilistica e inventiva si osserva poi nell'Allegro centrale del Trio n.109 (1772), mentre un'ammirevole scrittura e un'ottima costruzione governano la spinta energica e movimentata del tempo veloce, posto anch'esso al centro del n.113. Per la complessità della struttura e della trama polifonica, colpisce infine l'Allegro dinamico del Trio n.117 denso di argomenti negli ampi sviluppi a cui viene sottoposto il suo materiale.
Il Baryton Trio comprende dunque tre movimenti, che obbediscono a quattro tipi di sequenza: Veloce/Minuetto/Veloce; Veloce/Lento/Minuetto; Lento/Minuetto/Veloce; Lento/Veloce/Minuetto. Per affrancarlo dallo spirito del divertissement nel quale venne confinato sin dalla nascita il trio per archi, Haydn non ha dunque bisogno di adottare lo schema quadripartito necessario per accogliere i nuovi e sostanziosi contenuti musicali del quartetto e della sinfonia; converte invece la tradizionale brevità dei pezzi nel taglio sintetico di movimenti cospicui sul piano stilistico e ideativo, che si susseguono ritmando una drammaturgia sempre diversa, legata di volta in volta al carattere peculiare delle singole composizioni. Modificando dall'interno questo tipo di Divertimento per trasformarlo in un'espressione legittima del classicismo avanzato, Haydn conserva quindi la sua veste antica ma abbandona i vecchi schemi che suggerivano in anticipo la fisionomia, i tempi e la successione dei brani sulla base di modelli convenzionali. Nonostante l'importanza dei contenuti e la complessità linguistica, i trii col baryton rivelano comunque una sottile patina di leggerezza che intende mantenerli fedeli allo spirito e alla destinazione originaria; dovendo all'occasione celebrare una nascita con l'omaggio del Trio n.97 (1771), Haydn può quindi tornare senza problemi a modi e forme del Divertimento in una suite composta da sette brani che armonizzano lo stile galante e quello moderno, aprendo con un intenso e sereno Adagio rococò cui segue un Allegro di frizzante vigore, un pomposo Minuetto con venature di grazia, un'incisiva Polonaise, un Adagio dai toni oscuri e meditativi che forma una sorta di preludio al secondo Minuetto, più scherzoso e ironico del primo, e in conclusione una Fuga che chiude l'opera con gioiosa solennità.

Trii per pianoforte e archi. A Mannheim ma soprattutto a Parigi, con l'apporto di Schobert, Pleyel e diversi autori locali, il genere settecentesco della sonata per strumenti e cembalo obbligato incontrò notevole successo fra dilettanti e professionisti; tuttavia, mescolando a piacere un numero variabile di archi e fiati, non raggiunse mai una chiara definizione. Solo con Haydn questa sonata si trasformò in vero trio per violino, violoncello e fortepiano grazie alla scelta precisa di un organico, al maturare di uno stile sempre più appropriato e ad un repertorio la cui ricchezza e qualità lo ha imposto ancor prima di Beethoven come genere protagonista della musica da camera.
Se si esclude qualche brano isolato nel corso degli anni '60 e il Trio Hob.XV:2 composto nel 1772, il catalogo haydniano di Trii col pianoforte si divide cronologicamente in due periodi ben distinti: le opere scritte prima del 1760 e quelle apparse dal 1784 al ‘97. Un simile più che ventennale abbandono potrebbe spiegarsi con i gusti e le esigenze di Nicolaus Esterhàzy, ma la causa molto più probabilmente risiede in una meditata scelta dello stesso Haydn che, a parte i trii col baryton e le sonate pianistiche scritte per gli allievi, nel suo lungo servizio presso la famiglia ridusse la musica da camera al solo quartetto per archi.
I numerosi trii composti negli anni '50 rappresentano alcuni fra i risultati più interessanti di quella fase giovanile in cui Haydn frequenta quasi tutti i generi strumentali, prima di concentrarsi sui pochi che gli serviranno per elaborare il nuovo linguaggio. La sua mano si avverte già nella raffinata eleganza, nella leggerezza dei disegni melodici, nell'elegia e nel melanconico lirismo, accanto all'arguzia vivace e spiritosa di molti finali come quello dell'Hob.XV:37, mentre la maestria artigiana emerge nel Trio Hob.XV:38 con una musica di piacevole intrattenimento, vivace e gentilmente sensibile, o nelle sottigliezze in punta di penna del Trio Hob.XV:34; non mancano peraltro brani di una certa corposità, come l'Allegro moderato che apre l'Hob.XV:38 o l'ombrosa pregnanza di quello che inaugura il Trio Hob.XV:f1.
Dopo aver sviluppato fino in fondo le più diverse forme ed espressioni del suo classicismo, Haydn riscopre il trio col pianoforte verso la metà degli anni '80 e lo inserisce quasi come un genere del tutto nuovo nell'ambito di una produzione che stava operando conquiste decisive per il passaggio dal '700 al secolo venturo. Una vena fresca e inesauribile anima infatti sonate, sinfonie e quartetti di questo periodo; ma l'incontro fra il bisogno di rinnovamento e un organico praticamente sconosciuto, ricco di possibilità, suscita così forte entusiasmo da stimolare in Haydn l'energia e la forza vitale di un'autentica seconda giovinezza, che scaturisce dallo spigliato e luminoso Vivace d'apertura del Trio Hob.XV:6 e dalla sublime contemplazione dell'Adagio nel Trio Hob.XV:9. Con l'ampio respiro di un motivo frammentato all'interno da vari episodi, la sovrana lunghezza di un altro tema cantabile e l'uso non ornamentale degli abbellimenti, quest'ultimo brano indica nei trii composti fra il 1784 e l’85 la presenza di un linguaggio dalla forte impronta beethoveniana, già emerso nei tempi lenti di varie sonate. La chiara definizione di trio per pianoforte ed archi nasce dunque dall'aver compreso le peculiarità di questo genere e dall'intuizione di ciò che sarebbe divenuto nel prossimo futuro.
Pur mantenendo il ruolo centrale della tastiera, alla cui linea del basso rimane legato il violoncello mentre il violino gode di relativa autonomia, la distanza tra i punti di forza e le tensioni che slargano gli equilibri architettonici parlano sin d'ora la lingua del grande allievo di Haydn; lingua che si articola poi col taglio deciso e aggrottato ma anche cantabile dell'Adagio nel Trio Hob.XV:5, con la corposa solidità dell'Allegro da concerto che apre l'Hob.XV:8, con la moderna forma rondò dell'Allegro assai nel Trio Hob.XV:7 e il suo moto rotante che si oppone alla consueta direttrice orizzontale, ma soprattutto con la straordinaria compattezza e organicità dell'Allegro moderato nell'Hob.XV:10 la cui logica elimina schemi limpidi e ben definiti per obbedire alle sinuosità di un continuo processo generativo. Caricando il melodismo settecentesco di un'intensa emozione che rende plastica la sua forma tematica, i Trii Hob.XV:7 e 9 anticipano certi modi che il giovane Beethoven userà per iniziare ad esprimersi; ma in luogo di scardinare il disegno e l'armonia proporzionata della scrittura settecentesca, questo denso profilo la tramuta nel nuovo senza volontà di disfarsene; il medesimo primo Allegro che segue l'Adagio nel Trio Hob.XV:5 coniuga un'inedita energia imperiosa e muscolare con una delicata effervescenza classica, mentre il secondo torna decisamente all'eleganza e alla serenità del XVIII secolo. Le soluzioni ‘estranee’ al '700 non indicano pertanto una rottura, ma costituiscono il polo essenziale di un complesso equilibrio dialettico che Haydn va ora cercando all'interno del proprio cammino unitario.
Composti nel 1788, i Trii Hob.XV:11/13 illuminano ulteriormente certi aspetti decisivi dell’inedito mondo musicale che Haydn crea con la tarda riscoperta di questo genere. Come dimostra la freschezza inventiva e la costruzione sapiente dell'Allegro moderato che apre il primo, splendidi tempi in forma sonata nascono dalla comprensione dell'identità concertante dell'organico e dalla natura in apparenza digressiva ma in realtà coerentissima del suo linguaggio, articolando i temi in modo da permettere una frastagliata proliferazione ricca di episodi. Ribadendo una particolare congenialità verso il Minuetto, espressa da Haydn lungo l'intero arco della sua carriera con accezioni sempre diverse a seconda del trattamento sonatistico, quartettistico o sinfonico, anche qui questo movimento subisce profonde trasformazioni ricevendo una fisionomia peculiare e inconfondibile; il secondo tempo dell'Hob.XV:11 si dipana con calma e fragrante dolcezza tramite una lunga e sinuosa melodia, morbida e cantabile, che stempera ogni ritmo di danza in una scrittura complessa e articolata, mentre le consuete sezioni si allargano in episodi di ampio respiro al cui interno emerge un'elaborata tessitura contrappuntistica. Un severo Allegro moderato apre a sua volta il Trio Hob.XV:12 con espressioni meste e dolorose, sostenute da una compatta forma sonata monotematica che individua lo stile più consono al tardo '700 prevedendo ancora il giovane Beethoven; l'Andante parte invece da un semplice tema di canzone per elaborarlo entro un linguaggio modernissimo che mescola con estrema sensibilità colori ombrosi e rasserenati. Analoga fantasia creativa sgorga dal Presto, sintetico e vivace, con un senso dell'umorismo ricco di sfumature quanto quello dell'Allegro spiritoso che chiude il Trio Hob.XV:13 trasformando lo scherzo in astratta speculazione sonora grazie ad una serrata invenzione musicale.
I trii composti nel 1790 tornano con lucida coscienza, grande scioltezza e organicità al '700 più grazioso ed elegante. Alcuni, come l'Hob.XV:14, non vanno oltre un godibile piacere sorretto comunque da una maturità stilistica pronta ormai a trattare qualsiasi idea. L'Allegro spiritoso dell'Hob.XV:15 può quindi esporre una materia in apparenza disimpegnata; ma nel Finale i refrain del tema, che sembra sempre esitare a fermarsi per dar luogo a vari sfuggenti episodi, danno un senso curioso al movimento ciclico della forma-sonata. Solo nei tempi conclusivi Haydn lascia spazio alle novità degli anni precedenti; così, se il Minuetto dell'Hob.XV:17 si sviluppa in una costante proliferazione del tema melodico secondo un'applicazione tecnica fra le più riuscite, l'inarrestabile Allegro finale dell'Hob.XV:18 torna ad anticipare Beethoven sia nella verve umoristica che nella fisionomia irregolare e saltellante del tema.
Eccetto un esiguo numero di capolavori sonatistici, il trio diventa infine assoluto protagonista della musica da camera di Haydn fra il 1794 e il '97. Una simile scelta potrebbe derivare dalle circostanze, ma i contenuti e l'organica fisionomia dei quindici brani Hob.XV:18/32 indicano la chiara volontà di usare questo genere come strumento elettivo per giungere ad una rappresentazione sintetica del proprio mondo artistico e spirituale a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo. Regolato da una forma in prevalenza tripartita con l'Adagio posto al centro, ciascun trio combina fra loro in vario modo alcuni gruppi di espressioni musicali ricorrenti nell'intera serie: una vigorosa vitalità giovanile, intrecciata ad un brio arguto e vivace che sprizza talvolta fresca esuberanza nell'uso di coloratissimi materiali popolari; una gamma lirica che trascorre dalla dolcezza di fragranti serenità alla mestizia, ad una toccante grazia consolatrice, al pathos, alla supplica e al più intenso dolore; un orizzonte incerto e inquieto, talvolta misterioso e sfuggente, che oscilla fra nervosismo e vibrante energia, luci e ombre enigmatiche nei chiaroscuri di un'instabile geografia modale. L'insieme dei sedici brani appare dunque come una variegata coniugazione di questi motivi, il cui multiforme rapporto assume in ogni trio contenuti e valenze particolari. Ma un analogo criterio governa i percorsi tracciati dallo stile, maturato al punto di riconoscere i propri attuali elementi costitutivi come generati da archetipi linguistici permanenti nel corso dello sviluppo artistico di Haydn; consapevole di nascere da tali radici immutabili, il linguaggio degli ultimi trii afferma quindi con chiarezza e decisione la sua indipendenza dal trascorrere del tempo e soprattutto la libertà di muoversi al suo interno e di manipolarlo secondo il proprio volere, che è quello di raccogliere la maggior ricchezza possibile coniugando i frutti del passato, del presente e di ciò che anticipa il futuro entro un genere talmente rinnovato da proporsi come una creazione inedita pensata per il domani. Ruotando sull’asse di una maniera che esprime la sensibilità e le forme più tipiche dell’ultimo ‘700 haydniano, lo stile di questi brani può dunque piegarsi tanto ad espliciti revival classicisti quanto alle soluzioni più sperimentali e avanzate. Avremo così da un lato nell’Hob.XV:21 la limpidezza melodica di un Molto Andante che si mantiene sempre nell’ambito specifico dell’affetto rappresentato dal tema, la grazia elegante e leggera pur sposata ad un mutevole clima romantico nell’Allegro della Hob.XV:24, la grande lezione di stile dell’Andante dell’Hob.XV:25 che rivisita con innocenza partecipe ma consapevole la sensibile morbidezza del XVIII secolo in un denso eloquio trattato con gusto e poesia, il vigoroso Allegro dell’Hob.XV:26 che ribadisce la priorità del tono maggiore sull’esordio in minore secondo la formula classica più tradizionale, anche se l’oscillare dei modi suscita qualche apprensione; dall’altro il Presto vivo e incalzante dell’Hob.XV:19, con la sua modernissima ambiguità fra aspetti inquieti e spiritosi, le ampie dimensioni e il gesto concertante dell’Allegro che, insieme alla dolce supplica notturna del Poco Adagio, fanno dell’HobXV:22 un trio tipicamente romantico, e il Finale dell’Hob.XV:23 che costituisce un vertice assoluto dell’arte haydniana della proliferazione e trasformazione continua del discorso. Una segnalazione a parte merita il Trio Hob.XV:28, il cui primo tempo si apre con un motivo ad arpeggi e pizzicati che sembra echeggiare lo spirito di un inno nazionale e che torna più volte nell’arco di un brano dagli umori quanto mai estrosi, febbrili e vivaci; l’Allegro di chiusura lavora invece sulle cellule strutturali del tema, per elaborare una pagina dall’atmosfera incerta fra scherzo e dolore. Il movimento che lascia però davvero stupefatti è il cupo Andante centrale, per lo straordinario assolo del pianoforte che rivisita Bach con toni di severa mestizia in una vera e propria composizione al quadrato la cui tessitura polifonica, nelle asperità e nelle durezze armoniche delle due voci trattate in modo quasi indipendente, sembra anticipare Bartok e gettare quindi uno sguardo carico di straordinaria intuizione sulla musica dell’avvenire.