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To dream or not to dream

di Gilles de Van

Die tote Stadt (la città morta)
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L'impalcatura della storia è il classico e sempre attuale dilemma fra la fedeltà ad una persona cara e scomparsa, fedeltà che è poi anche fedeltà ad una parte di se stesso, e il desiderio di vivere che implica rinnovamento, cambiamento ed anche oblio. Di fronte a Maria, la giovane e delicata moglie di Paul alla quale egli non può rinunziare e che venera nei suoi ricordi (una treccia bionda ed un ritratto) si erge la ballerina Marietta, prepotente di esuberanza e di vitalità, che incarna la gioia di vivere e la manifesta nella sua libertà erotica. Marietta vuol vivere hic et nunc e quindi eliminare la morbosa presenza della sua rivale.

Che poi questo conflitto sia non meno fantasmatico - due aspetti del desiderio - che "realistico" - una donna viva contro un ricordo -, lo suggerisce la vicinanza dei nomi, Maria e Marietta, interpretati dalla stessa cantante, e la perpetua oscillazione fra realtà ed allucinazione come se Maria e Marietta fossero la doppia figura di un'aspirazione interiore, e come se tutta la storia fosse la proiezione onirica della situazione psichica del protagonista, onirismo accentuato dalla regia (non a caso l'intervento della regista nel programma di sala è intitolato To dream or not to dream).

A questo conflitto che ho chiamato classico (si pensi alla tensione fra Elektra e Chrysothemis nella Elektra di Strauss ed ai penetranti commenti sui due personaggi di Hofmannsthal) si aggiunge la carica simbolica di questi due aspetti della donna: la demoniaca Marietta, sensuale ed avida di piacere contro l'angelica Maria, fine e spirituale, mitologia femminile che avvicina l'eroina a tante altre donne dell'opera di quell'epoca. I due aspetti di questo dualismo sono fortemente esasperati sia dal libretto sia dalla musica.

Il bel romanzo di Georges Rodenbach (1892) comprende tutti gli ingredienti del decadentismo europeo, nella veste del simbolismo belga: la figura di Maria si confonde con il funebre fascino di Bruges, una prestigiosa città di cui il fasto è passato e che ora, con l'acqua morta dei suoi canali, suggerisce tristezza e disfacimento; a Maria angelicata ed a Bruges-la-morta si aggiunge il cattolicesimo glorioso della città belga, ed abbiamo beghine, vescovi, processioni, reliquari, e quasi un profumo d'incenso. Chiaramente l'autore ci invita a pensare che l'assoluto e l'ideale si trovano solo nella bellezza del passato, cioè nell'estetismo, oppure nella morte. Marietta invece, quale appare in Korngold, ci porta piuttosto verso la Vienna di quell'epoca, affascinata e turbata dalla femminilità, dall'esplosione d'istinti, dalla libertà di comportamento che si concede alla donna, se possibile una donna un po' marginale (Marietta è ballerina).

Questo groviglio di temi, alcuni già presenti nel romanzo originale, altri accentuati dal testo dei due Korngold, padre e figlio, si ritrova nella sfarzosa musica del compositore che, giovanissimo (aveva appena 23 anni alla creazione dell'opera) ed allievo di Strauss e Zemlinsky, ci offre un bel esempio del fasto della musica di quell'epoca: nella sua opera circolano Wagner, Mahler, Puccini e naturalmente anche Strauss o Zemlinsky; colpisce il virtuosismo orchestrale e colpisce anche la soavità melodica che culmina nel lied con liuto oppure nella canzone di Pierrot, pezzi separati di grande successo e di squisita raffinatezza melodica.

Sorprende quindi che la Francia abbia dovuto aspettare l'iniziativa dell'Opéra du Rhin per offrire quest'opera in versione scenica (c'era già stata una versione di concerto). Latham-Koenig ha diretto con brio e sensibilità un'orchestra perfettamente efficiente; Kerl offriva il caldo lirismo tenorile che conviene a Paul. Buona Denoke nonostante una voce un po' ingrata, sia per l'estro dell'attrice sia per la qualità del canto in una parte complessa e difficile (interpreta infatti sia la vitale Marietta, sia la diafana Maria che suppongono registri e stili molto diversi). Da segnalare anche l'ottima interpretazione di Genz nella parte piccola ma importante di Fritz, ossia Pierrot. Buoni gli altri.

L'équipe della regia (Levant, Edwards, Gerberon) è brillante ma criticabile: il senso di sfacelo e di rovina è chiaramente suggerito dal dispositivo scenico che evoca rovine e muri sconquassati; il registro espressionistico e un po' buffonesco che indubbiamente esiste nella partitura è dovutamente messo in rilievo in uno stile eclettico inventivo (con un pizzico di Hollywood che ci ricorda che Korngold scrisse in America molte musiche di film); manca invece il fascino funebre della morte quale emana da Bruges come dalla figura di Maria, presente nel lirismo di Paul che suggerisce un'impossibile tensione verso l'infinito; discutibile la visione sommariamente psicoanalitica di Paul come personaggio infantilmente regressivo e nevroticamente attaccato a dei feticci come una bambola che il protagonista stringe convulsamente fra le braccia. Ciò nonostante, si tratta di una realizzazione suggestiva ed interessante per un'opera che volentieri si vedrebbe più spesso sulle scene francesi.

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Die tote Stadt (La città morta)
opera in tre quadri

Musica
Erich Wolgang Korngold
Libretto
Paul Schott (in realtà Julius ed E. W. Korngold), libero adattamento del dramma di Georges Rodenbach Le mirage, a sua volta derivato dal romanzo dello stesso Bruges la morte

Direzione
J. Latham Koenig
Regia
I. Levant
Scenografia e luci
C. Edwards e M. Gerberon

Interpreti
T. Kerl (Paul) A. Denoke (Marietta e lo spettro di Maria), Y. Batukov (Frank ), S. Genz (Fritz), B. Svenden (Brigitta)
Prod.: Opéra national du Rhin
Prima rappresentazione: Théâtre du Châtelet, 21 maggio 2001

Orchestra filarmonica di Strasburgo, coro dell'Opéra national du Rhin

Trama
Paolo non si consola della morte della sua giovane moglie Maria e l'antica città di Bruges gli appare come un simbolo di questa potenza della morte. Tuttavia ha incontrato una donna che rassomiglia stranamente a Maria ed è profondamente turbato da quest'incontro. Il suo amico Frank cerca di distoglierlo da questa confusione fra nostalgia della morta e desiderio della viva. Arriva la donna che è ballerina e si chiama Marietta: la sua rassomiglianza con Maria nonchè la sua esuberante vitalità lo sconvolgono; Marietta lo seduce e parte; appare allora lo spettro di Maria che vuol sapere se Paul è sempre fedele.
Dall'atto secondo in poi, oscilliamo tra realtà ed allucinazione, senza che i confini siano sempre chiari: nelle sue "visioni" egli vede la casa di Marietta, la sua governante che gli rimprovera il suo comportamento, l'amico Frank; segue una baldoria in cui Marietta, circondata da amici, interpreta la scena di Hélène in Robert le diable. Paul cede nuovamente ma Mariette vuole che l'atto si compia non in casa sua, ma in casa della morta. All'atto terzo, vediamo Marietta deridere i ricordi della morta, una traccia bionda, un ritratto; Paul si riprende dopo una notte d'amore e, infuriato, strangola Marietta perché volendo eliminare qualsiasi traccia della morta, ella ha profanato una santa memoria. Ma giunge Marietta che ha dimenticato l'ombrello, e capiamo che era tutto un sogno. Frank convince allora Paul ad abbandonare Bruges e la sua funebre atmosfera.