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ELVIO GIUDICI

ERICH WOLFGANG KORNGOLD:
IL CONTESTO STORICO-CULTURALE


L'OPERA IN CD E VIDEO
sub voce KORNGOLD
pp. 549 ss
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Figura singolarissima, Korngold: una delle più rappresentative - per ragioni di statura artistica, di età e di ambiente nel quale visse - dello straordinario momento che fu il passaggio dall'Otto al Novecento.
Il naturalismo dei gruppi berlinesi «Durch!» (traducibile, all'incirca, in «vogliamo sfondare») e dello Jungberlin - che s'ispiravano a Zola ma anche a Dostoievski e a Ibsen - conviveva all'inizio col simbolismo più estenuato: al punto che Hauptmann, la figura forse più autorevole della Germania guglielmina (al vetriolo, la parodia fattane da Mann nella Montagna incantata, col «regale balbuziente» Peeperkorn, da tutti ammirato perché da nessuno capito), poteva essere l'autore sia d'un dramma corale a forte impianto sociale quale I tessitori, sia di una delle più belle commedie naturalistiche come La pelliccia di castoro, sia del fiabesco La campana sommersa e sia, infine, di quella vera e propria summa del simbolismo che è E Pippa danza.
Attorno, s'ergevano le architetture «Kolossal» che tanto piacevano a Guglielmo II. La musica celebrava i fasti dell'ultimo, smisurato sinfonismo di Mahler e di Strauss, mentre le armonie audaci e antiwagneriane di Schreker si contrapponevano al conservatorismo di Pfitzner. Reinhardt sintetizzava i due poli opposti del minimo e del massimo col rigorismo ascetico del proprio Kammerspiel - teatro da camera - e con l'ipertrofia di spettacoli-kolossal quali i famosi Misteri o l'ancor più celebre messa in scena dei Racconti di Hoffmann, di cui abbiamo un'idea in Addio a Berlino di Isherwood allorché Sally racconta d'esser stata scritturata come comparsa nell'affollatissimo atto veneziano, e scommette che riuscirà a fare all'amore per davvero in una delle gondole di scena.
S'affermava insomma, e alla grande, il decadentismo d'inizio secolo: quello che, alimentandosi della tragedia dei figli deboli di padri troppo forti (Hanno dei Buddenbrook la riassumerà al meglio, senza che il suo lancinante struggimento ne limiti l'impietosa evidenza), riesce a far convivere in una generale fuga nell'inconscio sia la grande forma - espressione di forza elementare e selvaggia che sempre attrae lo spirito debole - sia l'elegia struggente e introspettiva capace di mettere allo scoperto i nervi più nascosti. In nome della comune passione per l'estetica formale, il neoromanticismo con la sua ammirazione per la bellezza rinascimentale (le famose Novelle fiorentine di Isolde Kurz, del 1890, hanno fornito inesauribile nutrimento per lunghi anni) conviveva in fondo senza troppi problemi col proprio opposto, quel naturalismo che aveva reso le mosse dalla mostra pittorica Sezession del 1892 a Monaco (dove vennero scoperte le opere di Munch e di Klimt) ed era poi stato propugnato con forza dalle celeberrime riviste letterarie della Monaco di fine secolo: Pan con la sua esaltazione dell'edonismo fine a se stesso; Jugend coi suoi versi intrisi di floreale languore; e Simplizissimus, che fin dal celeberrimo mastino del suo frontespizio anticipava il vetriolo con cui il grottesco e la satira mordevano la società contemporanea.
Se dal monacense Simplizissimus emerge la grande figura di Heinrich Mann (con la sua mescolanza impossibile tra gli universi di Zola e di D'Annunzio nel clima pseudorinascimentale dei Tre romanzi della ducbessa d'Assy o nelle ambigue atmosfere di Flauti e pugnali, di Piccola città, di Nel paese della cuccagna), nel più stratificato ambiente culturale di Vienna fioriva invece lo Jugenstil. Che, nell'opporsi tanto al Kolossal quanto al naturalismo bohèmien - semmai rifacendosi alla pittura dei Preraffaelliti e dei Nazareni - si raccoglieva attorno al famoso Café Griensteidl, dove teneva banco il genius loci Hermann Bahr. Lì furono coniate le due definizioni fondamentali per l'arte del periodo che dal 1910 arriva fino all'avvento del nazismo: Nervenkunst, arte dei nervi, ed Expressionismus, uno di quei termini che, forse più ancora del romanticismo, è in realtà una sorta di enorme contenitore dove viene gettato alla rinfusa il materiale più eterogeneo.
Contenitore nel quale possiamo trovare la poesia di Trakl, disperata e nutrita dalle allucinazioni della droga; la caustica prosa di Sternheim, che nelle Mutande dipinse in modo indimenticabile la società guglielmina (Brecht lo sintetizzò con genio: «era in possesso del cadavere letterario di Diderot e ne fece l'autopsia,
asportandone la carne per farne poi meglio scricchiolare le ossa»); i drammi borghesi di Kaiser, dove simbolismo e nihilismo si succedono in un naufragio totale degli ideali; le commedie di Toller, che fin da un titolo come Uomo massa indica i poli d'una scelta drammatica e che in Oplà, noi viviamo rappresenta in modo agghiacciante la nuova Germania.
Contenitore dove trovò posto pure gran parte - comunque la migliore - del cinema tedesco, il più grande e originale dell'epoca, che nell'accogliere molti spunti scenografici del teatro di prosa contemporaneo li aveva sviluppati in modo autonorno e geniale: Wiene gira Il gabinetto del dottor Caligari nel 1920, Il dottor Mabuse di Lang è del 1922, l'anno stesso del Nosferatu di Murnau che due anni dopo girerà L'ultima risata, mentre Lupu-Pick, su sceneggiature di Carl Mayer, creerà con La rotaia e con La notte di San Silvestro figure tra le più pregnanti di tutta l'arte dell'epoca.
Parallelamente, la pittura di Kirchner, di Nolde, di Kandinski, di Marc, di Klee, celebra non meno di quanto aveva fatto la prosa di Kafka la dissociazione dell'individuo, risolta ora in tragedia, ora in ironia, ora in un lirismo intenso e struggente.
E la musica non è da meno.
Allo stesso tempo si dilata nelle sue forme più smisurate coi poemi sinfonici e le prime opere di Strauss, ma varca anche le soglie della tonalità, con ciò spingendosi al cuore dell'alienazione psicotica: Schönberg, nel 1907, pubblica quel Secondo Quartetto che inizia in un clima di neoromanticismo ultramahleriano per divergere poi nell'espressionismo più deformante nel momento stesso in cui ingloba due poesie di George, ovvero il vate riconosciuto del classicismo estetizzante.
È precisamente qui che compare Korngold...