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ADRIANO LUALDI

DIARIO III

TUTTI VIVI


PRIMO INCONTRO
CON PIETRO MASCAGNI


Firenze, giugno 1951. - La imminente traslazione delle ceneri di Pietro Mascagni, che avrà luogo a Livorno il 19 p. v., mi richiama alla mente un ricordo recente, recentissimo, di appena qualche mese addietro, ed ero ancora piú giovane di adesso: parlo del 1907.
In quella non lontana primavera, - studiavo composizione al «Benedetto Marcello» - impresario del Teatro La Fenice di Venezia era il Cav. Rossetti, un omone dal labbro leporino sotto i baffetti grigi, fiduciario della Casa Musicale Sonzogno che allora (era ancora vivo il Sciur Edoardo) faceva le cose in grande, e gestiva intere stagioni per lanciare o per divulgare le opere di sua edizione. Era in cartellone, «novità», l'Amica di Pietro Mascagni, e Mascagni doveva concertarla e dirigerla. Io, fin dalla precedente stagione d'inverno, avevo ottenuto di essere accolto alla Fenice come «secondo Maestro sostituto»; sostituto onorario, si sa, cioè senza onorario. E lo stesso avevo toccato il cielo col dito: Perché a Venezia ero venuto all'inizio dell'anno scolastico 1906-07, abbandonando le grige aule del Liceo Musicale di Santa Cecilia per studiare composizione con un artista invece che con un professore: e questo artista era Ermanno Wolf-Ferrari. Mi trovavo già dunque, per il conforto morale e per la chiarificazione delle idee che ne avevo avuto, in stato di euforia.
Quello poi di potere, studente ancora, frequentare un teatro entrando dalla parte del palcoscenico; assolvere, in esso, una funzione; veder da vicino artisti celebri, sentirmi chiamare «Maestro» prima ancora di esserlo; vedermi ammesso nella milizia dell'arte senza neanche aver passato «la leva», era una conquista fuori programma.
In quella stagione di primavera, come aiutante al primo Maestro sostituto vi ero io solo, se ben ricordo.
Alla Signora Lina, la moglie del Maestro, dovetti riuscire simpatico perché portavo una meravigliosa chioma «alla Mascagni», che bastava da sola ad attestare la sconfinata ammirazione che nutrivo per il Maestro; e dovetti riuscire simpatico anche al primo Maestro sostituto, Nini Bellucci, che era un buon uomo, e gli tornava comodo lasciarmi al pianoforte con una comprimaria racchia che non sapeva la parte, mentre lui curava la prima donna che era bellissima, e dirozzava Ippolito Lazaro allora esordiente, ma che già minacciava di diventare una celebrità. Fatto sta che il Maestro - già affettuosamente disposto verso i giovani esordienti per innata bontà d'animo - mi prese in simpatia. Ebbi cosi la fortuna, l'emozione e l'orgoglio di essergli vicino von soltanto a teatro, quando v'era da lavorare; ma anche nelle ore di riposo, quando sostava e teneva circolo in Piazza San Marco, al solito tavolino del Quadri o del Florian; e piú di una volta fui ospite suo a colazione, al Cavalletto, e, infine, gli feci anche un po' da segretario. Incominciai a frequentare l'Hotel Britannia dove alloggiava, e la bella vasta sua camera sul Canal Grande; e se vi era da fare un telegramma glielo stilavo, o lo scrivevo sotto dettatura io; e se vi tra da telefonare al Cav. Rossetti, questo incarico era affidato a me. Insomma ero diventato di casa.
Allora avvenne che un pomeriggio, al Britannia, nella camera del Maestro e della Signora Lina - mi pare adesso: un tiepido, gioioso pomeriggio; e dai due balconi spalancati il sole inondava di luce la stanza: ed entrava a fiotti la brezza di primavera profumata di mare - io ero seduto ad un piccolo scrittoio fra i due balconi, e il Maestro in piedi accanto a me aveva appena finito di dettarmi un telegramma per Sonzogno. La Signora Lina si trovava dall'altra parte della stanza, di là dal letto matrimoniale, accanto ad un comò; ed aveva - me ne ero accorto entrando - la faccia un po' schiacciata e le labbra piú sottili del solito (brutti segni). Che è, che non è, senza preavviso, la Signora Lina investe il marito: «La smetterai, poi, di fare lo scimunito con quella sgualdrina di...» (qui, nome e cognome). Ed ecco, a questo madrigale, il Maestro Pietro subitamente imbizzarrirsi, e rispondere per le rime; con l'immediato effetto che una spazzola, la quale giaceva innocua sul comò insieme con altri oggetti per toletta, afferrata fulmineamente ed energicamente lanciata dalla Signora Lina in direzione sud-ovest, vale a dire verso la testa del Maestro marito, a causa di un lieve sebbene non deplorevole errore di calcolo balistico, non colpiva il bersaglio e, sorvolando di soli 5 centimetri nella sua rapida traiettoria la chioma del Maestro segretario seduto al tavolo, andava a finire con elegante parabola discendente, attraverso il balcone aperto, nelle acque del Canal Grande, suscitando scompiglio tra i pesci e curiosità fra i cocai svolazzanti nella zona.
Questo piccolo incidente, nel quale avevo rischiato di trovarmi la cuticagna pettinata per procura e a distanza non dalle bianche setole, ma dal nero durissimo dorso della spazzola della Signora Lina, valse a rendere il Maestro ancor piú degnevole e cordiale verso di me, e piú maternamente affettuosa la Signora Lina.
Fu essa che, un giorno, senza che la pregassi, informò in mia presenza il Maestro che io avevo finito di orchestrare la mia Cantata di diploma: Attollite Portas, per soli, coro e orchestra, su testo di Arturo Graf (uno dei piú belli fra i Poemetti drammatici). E il Maestro prontissimo, intuendo il desiderio che non osavo esprimergli, disse che avrebbe sentito volentieri questo mio lavoro: «Ho piacere di conoscerla meglio».
In quel momento ebbi la conferma di una impressione già ricevuta a distanza, attraverso i programmi dei concerti che allora dirigeva frequentissimi e con clamorosi successi: di quanto generosamente fosse disposto l'animo suo cosi verso i giovani, come verso i colleghi presenti e gli scomparsi (dal Mascagni avevo sentito dirigere per la prima volta la Tregenda delle Villi di Puccini, A sera e la Danza delle ondine di Catalani, la Patetica di Ciaikowski, la Dal nuovo mondo di Dvorak, la Suite per archi di Elgar: nei primi anni del '900 tutte novità nuovissime per l'Italia).
L'audizione di Attollite Portas fu fissata per pochi giorni appresso: ed ebbe luogo nella vasta pensilina del salone da ballo del Britannia, dove era un pianoforte a coda color mogano chiaro, un vecchio modello francese non malvagio. Mentre mi assestavo davanti alla tastiera, ebbi la felice rivelazione che, anche nei giorni piú importanti della mia vita d'artista (e speravo bene di averne), non avrei sofferto di timor panico. Suonai e cantai con sicurezza, molto brillantemente, l'opus primum mio, che proprio mi piaceva moltissimo; e Mascagni, seduto alla mia destra, seguiva la mia esecuzione sulla partitura di orchestra. Debbo dire (e a quarantatré anni di distanza posso dirlo) che fu un successo. Mascagni mi disse un sacco di belle cose, e le ricordo tutte una per una.
Una osservazione mi fece sulla accentuazione musicale di non so quale parola: e, per esemplificare, su un foglio bianco della mia partitura scrisse a matita la frase conclusiva di un pezzo della Vestilia - un'opera alla quale lavorava in quel momento, che rimase incompiuta. Di argomento romano, credo che la musica già composta Fabbia molto piú tardi utilizzata per il Nerone. Era una formula cadenzale molto mascagnana: le parole dicevano: «Io muoio rivedendoti». Conservo ancora l'autografo musicale, che è il primo e l'unico che ebbi da Pietro Mascagni. Ad esso però mi è legato un ricordo che mi torna sempre estremamente caro ed un insegnamento di quelli che solo i veri artisti sanno impartire, che non si dimenticano mai e che da soli valgono - per le illuminazioni che offrono - settimane e mesi di tetro e opaco studio conservatoriale.
La sera stessa dell'audizione mi recavo a Palazzo Pisani, dal Wolf-Ferrari, e gli raccontavo le belle cose che mi aveva detto Mascagni. «Benon, go' tanto caro; ma no' 'l stia a scaldarse la testa. Lu' (lei) el ga' l'armonia contorta, e l'orchestrazion poco equilibrata. Bisogna che el impara a nettar (pulire) l'armonia, a modular solo quando che xe el caso; a equilibrar l'orchestrazion. El ga' capío?».
Un paio di settimane dopo la partenza di Mascagni da Venezia per Milano, ricevevo dall'Agenzia Lusardi una lettera in cui mi si informava che il Maestro Mascagni mi aveva scelto come suo primo sostituto per la grande stagione lirica di autunno 1907 al Teatro Lirico di Milano, nella quale sarebbero state rappresentate, di Mascagni: Le Maschere, L'Amico Fritz, la Cavalleria; di Giordano, la nuovissima Marcella; di Armando Seppilli, la nuovissima Nave rossa; e una esumazione: Amleto di Thomas, con protagonista Titta Ruffo.
Con questa prima «scrittura» dovuta allo spontaneo interessamento di Pietro Mascagni, io entravo nelle milizie regolari dell'arte e incominciavo la mia vita di lavoro e di battaglie.