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ADRIANO LUALDI

DIARIO I

TUTTI VIVI


RICORDO DI
ALBERT ROUSSEL


Napoli, settembre 1937 - «Lo si ama perché, pur essendo sapientissimo nell'arte sua, egli non si cura affatto di appesantire con una tesi le proprie opere.
Esse sono il frutto delle più lunghe, delle piú attente cure, ma egli non fa assegnamento che sul loro intimo fascino, e sulle sensazioni caratteristiche che suscitano in chi sa ascoltarle.
«Egli non vuole riempire di grida o di ruggiti i boschi popolati dalle Driadi: le dispute dei teorici non gli sembrano desiderabili.
Egli sosta, legge un poema, ascolta un ruscello, osserva una Ninfa che sorride, canta i suoi sogni, e, come un sogno, dilegua nel folto della foresta».
Così, con altrettanta semplicità, con passo altrettanto leggero, Albert Roussel dileguò, il 23 agosto scorso, nella foresta del silenzio eterno.
Un eletto artista - il nome piú autorevole, con Maurice Ravel, della musica francese attuale - un caro amico.
Ebbi l'ultima sua lettera nello scorso aprile, in risposta ad un invito che gli avevo rivolto, di venire a Napoli ad assistere alla prima esecuzione italiana della sua Quarta Sinfonia, la prediletta fra le opere sue piú recenti, che sarebbe stata eseguita nel concerti del Conservatorio di S. Pietro a Maiella. Ma il molto lavoro che gli dava l'organizzazione delle manifestazioni musicali francesi per l'Esposizione di Parigi, e la salute già malferma, glielo impedirono.
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«Je suis littéralement débordé de travail! Déjà, en janvier dernier, j'aurais vivement souhait pouvoir me rendre à Naples pour assister à la représentation de mon Ballet Aeneas que donnait le San Carlo. A cette époque ma santé était encore chancelante et mon médicin m'enterdit tout déplacement. J'espère bien venir en Italie l'automne prochain, mon ami Ibert m'invitant à la Villa Médicis à Rome; et ie ne manquerai pas alors d'aller vous faire visite à Naples».
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L'ultimo incontro che ebbi con lui fu l'anno scorso, ad un Congresso di quel 'Conseil permanent pour la coopération internationale des compositeurs de musique', di cui era vicepresidente per la Francia.
Lo vedo ancora: vivo, presente. Fra i componenti del Consiglio, è, forse - fatta astrazione per l'inglese Badford che non apre mai bocca - il meno loquace.
Albert Roussel sta davanti al tavolo verde delle riunioni come, quando portava ancora la divisa di ufficiale della Marina da guerra, dovette stare per lunghe ore e per lunghi giorni, davanti al verde mare.
Sono passati quarant'anni dal tempo delle sue lontane navigazioni. Dal marinaio, con tarda ma rigogliosa fioritura, nacque l'artista. Dall'artista - che ancora a venticinque anni nulla sapeva della musica, se non la grande voce che misteriosamente lo distoglieva dai ranghi di una milizia per chiamarlo imperiosamente in un'altra - dall'artista nacquero poi tante opere che ne attestano il forte ingegno e la delicatezza squisita; ma l'uomo è rimasto marinaio; contemplativo è rimasto lo spirito.
Albert Roussel guarda, ascolta e tace. Egli non ha lo sguardo lontano e assente né la faccia rugosa dei vecchi lupi di mare, anche perché, avendo lasciato, ancor giovane, la cannoniera sulla quale era imbarcato, non ha fatto in tempo a diventare lupo.
Ma l'occhio serio e dolce cerca e rivela lontananze e profondità interiori; e la bocca dice con i suoi segni, anche se rimanga chiusa, che l'uomo e l'artista non ebbero troppo facile la navigazione: né in mare, né in terra.
Dati i caratteri dell'arte sua, non poteva essere altrimenti.
Roussel era uno dei pochi musicisti contemporanei libero da legami con questa o quella fazione artistica, che non si siano valsi di questa o quella clìque, nazionale o internazionale, per compiere il primo e piú difficile cammino o per crearsi, negli anni della maturità, un chiassoso piedestallo.
Quando, fra cinquant'anni, uno spirito sereno e sensibile vorrà tracciare la Storia Musicale del primo Novecento, è da questi Indipendenti (a fatti, e non soltanto a parole), che dovrà incominciare il suo studio. E avrà grosse sorprese; e troverà in essi e nel loro spontaneo, naturale, incoercibile senso evolutivo, il filone piú sano, la fiamma piú pura dell'arte. E riderà di tutte le cialtronerie dette e stampate e ripetute e credute dagli organi, dai portavoce e dai chierici ufficiali delle chiesuole di oggi. E troverà molto da abbattere, e molto da portare in luce: come se scavasse in una zona archeologica ingombra da monumenti di scagliola e di paglia.
Fra il succedersi e il contrastarsi delle scuole e delle tendenze, fra il formarsi e il dissolversi dei vari «gruppi», tra l'improvviso balenare e il sollecito spegnersi di tante girandole provinciali (della provincia «Musica»), registrati dalle cronache musicali di questi ultimi venticinque anni - e specialmente dai bollettini autorizzati del «movimento» Albert Roussel rimase fuori da ogni «movimento» ufficiale e consacrato dal galoppar delle mode: geloso soltanto della propria indipendenza; che si armonizza tanto bene con la semplice e asciutta sua modestia e con l'antico gusto del marinaio per i liberi orizzonti.
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La sua musica porta i segni di questi sani istinti e della singolare aristocrazia d'animo dell'artista e dell'uomo. È schiettamente francese nello spirito, ma rimane sempre lontano dalle formule, dalle rime obbligate, dal luoghi comuni propri di tanta parte della produzione francese contemporanea. I Maestri di lui, Eugène Gigout e Vincent d'Indy, si riflettono nelle opere sue soltanto per quello che esse hanno di saldamente costruito; il grande Debussy, dal cui fascino lo stesso Roussel confessava di essere stato fortemente preso in un dato momento, affiora con le sue magiche sonorità soltanto in parte delle opere di venti anni or sono. La maggioranza delle composizioni di Albert Roussel è caratterizzata dalla piú assoluta originalità e dalla piena libertà dell'ingegno che le ha dettate. Noi, in Italia, conosciamo una piccola parte delle musiche di lui; ma abbastanza, per riconoscere in esse un che di scarnito, di pensoso, di intimamente sentito, di piú profondamente sensuale - che contrasta vivamente con il grassoccio epicureismo e con il frivolo piacere del «bel giuoco» di tanti compositori attuali d'Oltralpe e che si ricorda cosí fedelmente rassomigliante all'uomo, quando lo si sia conosciuto.
Parlargli del Festin de l'araignée, l'opera che lo rese noto fra noi quindici anni or sono, nella stupenda interpretazione di Toscanini, era come dargli una piccola pena. Egli doveva, è vero, a questi venti minuti di musica, tanta parte della rinomanza all'estero; ma sapeva di aver composto opere ben piú importanti, che molto meglio, e piú complutamente, lo rappresentavano. Évocations, il Divertissement per strumenti a fiato e pianoforte, il Trio in mib., molte Liriche per canto e pianoforte, che sono state eseguite in Italia; ma oltre a questi, il Preludio sinfonico Résurrection, le importantissime Sinfonie, l'Egloga Pour une fête de Printemps, una delle opere migliori del musicista.
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Vi fu chi pose Albert Roussel, per fissarne la posizione nel mondo artistico contemporaneo, agli antipodi di Maurice Ravel.
Credo che sia errato. Sarebbe stato piú giusto, forse, metterlo a fianco, e sullo stesso piano, di uno di quei poeti che sanno riconoscere ovunque il volto della Poesia, e che in Poesia sanno mutare ogni voce del mondo.