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ADRIANO LUALDI

GIAN FRANCESCO MALIPIERO

G. F. Malipiero (1882), nato e cresciuto anch'esso in un ambiente musicale, ebbe infanzia e adolescenza molto tormentate e avventurose. Suo nonno, Francesco, era compositore di opere. Di lui F. M. Piave scriveva nel 1851 da Venezia al Verdi: «Le prove del Malipiero sono incominciate da otto giorni, ma credo si tarderà ad andare in scena perché la musica è senza ritmo ed i cantanti sudano e stentano ad impararla. Dio sa poi che inferno troveranno in orchestra». Suo padre, Luigi, era pianista. A sei anni Giovanni Francesco, il «nostro», incominciò a studiare il violino. pur sentendosi attratto dalla pittura. A undici, abbandonò l'Italia, con il padre e la nonna, e incominciò una vita errabonda.
Da Trieste, a Berlino, a Vienna. qui trovò, nel 1896, un mecenate polacco che gli fece impartire lezioni di violino; intanto studiava armonia col prof. Stocker. Nel 1899 il giovane ritorna nella natale Venezia, presso la madre, e continua gli studi di armonia e composizione nel Liceo Benedetto Marcello, sotto la guida di M. E. Bossi.
Nel 1902 segue il maestro a Bologna; nel 1904 si diploma ed entra nella vita artistica munito di un bagaglio di cognizioni accademiche da cui si sforzerà, ben presto, di liberarsi, come di un peso iimbarazzante.
Uomo nuovo, anch'esso, non intende seguire le vie più comuni e battute. Coltiva largamente la musica sinfonica e pura; e se cade nel melodramma verista, se ne ritrae sùbito e distrugge col fuoco il corpo del reato. Contemporaneamente quasi ad Alfredo Casella, abbandona, fatto adulto e per propria iniziativa questa volta, ancora l'Italia e si reca a Parigi. Anche in lui - che ha appena conosciuto (siamo nel 1913) le musiche di Debussy, Ravel, Dukas, Sacre du Printemps produce un effetto folgorante.
L'antico intanto lo interessa quanto l'ultramoderno. Un giorno, nel 1922, scriverà: «Ricordo di aver sentito già nella più remota infanzia, decantare le bellezze della musica italiana. Ricordo persino il suono delle voci che mi dicevano: «la musica italiana è la più spontanea, la più geniale; la più umana». Oppure: «la musica è melodia, e soltanto la melodia italiana è sublime». Non tardai però molto a scoprire che la melodia italiana voleva dire musica melodrammatica, e che, al di là delle Alpi, esisteva anche la musica istrumentale. La curiosità di conoscere veramente la nostra musica, m'indusse a scrutare il passato, cercando anzitutto di dimenticare ciò che avevo letto nei vari libri di storia della musica, sempre opprimenti e convenzionali. Potei sùbito constatare che, in Italia, la musica istrumentale non solo venne molto coltivata sino alla fine del XVIII secolo, ma che le sue origini erano una gloria prettamente italiana. Trovai che le poche musiche italiane antiche, che erano state rimesse in circolazione, avevano subito deformazioni tali da renderle irriconoscibili e, abbandonando ogni contatto con i così detti esumatori del XIX secolo, potei risalire alle sorgenti non inquinate della nostra musicalità».
È il movimento di reazione e di ricerca che, in G. F. Malipiero come negli altri della sua età, si manifesta spontaneo e si afferma irresistibilmente. Anche in lui però, come in altri, l'ansia del nuovo conduce ad evasioni non soltanto corporali, ma spirituali, dai confini della Patria. L'ambiente parigino influisce certamente in questo senso; ma l'innata tendenza del musicista non si oppone alle influenze del clima.
Non si conoscono (e credo non ne siano neppure rimasti) saggi di musiche di quel Francesco Malipiero, nonno dell'attuale, che nel 1851 provocava i dubbi e i pronostici poco lieti del Piave, come s'è visto. Ma è certo che, se tali erano le impressioni prodotte, le vie seguite dall'artista non dovevano essere quelle più comuni e pacifiche. Quanto all'insegnamento di M. E. Bossi, è facile immaginarne il carattere e i limiti, quando si conosca l'opera del maestro. Ecco dunque facilmente rintracciate le origini di
due notevoli caratteristiche della produzione del Malipiero: l'amore allo stravagante e all'insolito, ereditato dal nonno; e quel che di maldestro e di poco equilibrato che si osserva nella sua tecnica orchestrale, che è dovuto quasi certamente alla scuola del Bossi (grandissimo organista, fra i più grandi, certo, del nostro tempo; ma modesto orchestratore).
Per ciò che riguarda il contenuto spirituale dell'opera di G. F. Malipiero, e la sua effettiva importanza rispetto alla produzione moderna italiana e straniera, c'è da fare i conti, in ogni caso, con lo snobismo imperante in alcuni circoli musicali internazionali che, confortando il Malipiero delle loro più calorose simpatie, hanno contribuito, più di una volta, a trascinarlo nelle paludi dei peggiori barbarismi; e c'è da fare i conti anche col misoneismo tutto provinciale di altri circoli, nostrani, che -vittime anche questi di cento pregiudizi - accolgono sistematicamente ogni opera del Malipiero, anche la più ortodossa, come se si trattasse di letteratura pornografica.
Molta della produzione del Malipiero ha, senza dubbio, asperità e durezze e vacuità che non - trovan grazia né presso i pubblici, né presso gli esperti liberi da preconcetti. L'applicazione di un sistema armonico o tonale, la nuova esperienza nel campo teatrale o nel sinfonico, non sono sempre giustificate dalla reale novità o bellezza o importanza del concetto da esprimere. Ma, d'altro canto, vi sono opere che - come Pause del silenzio, le Impressioni dal vero, le Sette Canzoni, il quartetto Rispetti e Strambotti, molte altre musiche istrumentali, molte musiche vocali - possono e debbono, anzi, essere accolte da tutti come espressioni di un ingegno fervido e forte; e di uno spirito che, tormentato dalle più varie incertezze, trova talvolta la forza di liberarsi dalla zavorra dei riguardi dovuti allo snobismo e della singolarità raggiunta ad ogni costo, e dice allora le sue parole migliori, e le più eloquenti.
Al Malipiero è da riconoscere altresì la vasta opera di esumatore e trascrittore di antiche musiche da lui compiuta (ora ha in corso la riedizione delle opere di Monteverdi) e la varia attività che svolge, con bella preparazione e con vivace spirito polemico, nel campo degli scritti d'arte e di critica.