GIAN FRANCESCO MALIPIERO

DA VENEZIA LONTAN

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18 ottobre 1961

Certe confessioni possono essere di sollievo per colui che vuole liberarsi da un peso che grava sulla sua coscienza, però egli non deve meravigliarsi se sollevano soltanto qualche risatina da ventriloqui. Guai cadere nel ridicolo: bisogna evitare la declamazione enfatica, ché la verità s'impone da sé.
Dunque ripetiamo una data: 18 ottobre 1961.
Idealmente questa data servirà per riconoscere ciò che fra le opere mie ritengo non mediocremente valido e sarà un segreto che mi consolerà del perduto, ma non necessario, contatto con gli uomini.
Sofferente e immobilizzato da due mesi, e per di píú tormentato dallo svolgersi di una tragedia che ormai si avviava alla conclusione, il 18 ottobre 1961 segnavo questa data alla fine di una mia partitura: Rappresentazione e festa di Carnasciale e della Quaresima.
Come sempre assente pur essendo molto presente, a poco a poco venni sopraffatto da interrogativi ai quali un coro di voci insidiose rispondevano per me, incitandomi alla ribellione. Riuscii a dominarmi, però, superato lo sbigottimento per la sorpresa, mi feci coraggio e quasi sotto forma di prefazione a un libro che mai scriverò, raccolsi idee, impressioni e opinioni sulla sorte della sopranominata «Rappresentazione e festa . Ottenni che si eseguisse in concerto, al XXV festival veneziano: mi sembrava «cosa nuova e mai sentita». Purtroppo cosí facendo la sacrificai, perse il titolo di novità assoluta, perciò offriva il pretesto per non venire eseguita sul teatro. Automaticamente si organizzò la solita congiura del silenzio alla quale prese parte perfino l'editore, il quale neanche sapeva quale fosse l'origine dell'opera da me offerta in olocausto. Eppure in questo momento in cui l'ugola si va trasferendo nelle gambe e il mondo diventa sempre piú coreografico, quale opera poteva arrivare piú ad hoc?
Il dialogo fra Carnasciale e la Quaresima (il primo un po' aereo, l'altro sprofondato in una specie di grotta in primo piano) si svolge senza mai paralizzare il ritmo dell'orgia carnevalesca, la danza è continua.
Non curante dei pericoli volli sentire la rappresentazione in orchestra (la scena la vedevo nella mia immaginazione, come la vedo in questo istante mentre la rievoco) perché mi rendevo conto d'aver ottenuto colori, sonorità nuove ed efficaci. Infatti tutto mi apparve come una felice realizzazione alla quale apposi una specie di marchio:

18 ottobre 1961

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Con una deplorabile rapidità, degna dei tempi in cui viviamo, tutte le mie opere, spinte dalla gelosia, si precipitarono ai miei piedi, chiedevano la marca di fabbrica dell'autore. Si ripeteva forse la sentenza da me pronunziata nel 1923, quando condannai al rogo tutto ciò che giudicavo esperimento, scorie espulse dalla mia efficiente officina. Certamente allora il contrasto, per esempio, fra il deforme quartetto del 1908 e i Rispetti e strambotti che da 47 anni resistono alle ingiurie degli uomini, era piú evidente di quanto lo siano adesso le mie preferenze.
Mi addolora il fatto che non sono in grado di difendere queste mie creature specialmente quelle nate per il teatro e fatte precipitare in certi trabocchetti nei quali precipitarono pure, per viglìaccheria, certi amici!
Ti vedo dolce mia Cleopatra, non rimproverarmi, e tu amico Pirandello, non accusarmi di non difendere la favola, ora si vive una favola tragicamente buffonesca. Per escludermi, fanno a te pollice verso, però per il solo terzo atto (opera tua di poesia) il che è sufficiente per boicottarci.
La fatidica data 18 ottobre 1961 si deve assolutamente considerare fenomeno medianico, le opere nuove che da sei anni fanno la coda attendendo ch'esso fenomeno si ripeta, sperano invano. Fra queste l'ottava, la nona e la decima sinfonia non disonorano le sette che le precedono, però io non sono ancora in grado di difenderle, mentre l'opera drammatica «le metamorfosi di Bonaventura» (1965) potrebbe rifugiarsi fra quelle al di là del 18 ottobre 1961 perché mi si è rivelata in pieno.
Il suo trattamento posso ormai classificarlo e inserirlo fra i soprusi, anzitutto per il rifiuto di pubblicarla dei miei editori e poi per l'esclusione dai nostri cartelloni.
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Nella prossima stagione (1967-1968) due grandi teatri italiani rappresenteranno due mie opere teatrali ancorate al di là del 18 ottobre 1961.
Mi divertirebbe fare dei pronostici, ma temo di finire sul rogo come gli stregoni dei bei tempi. Vorrei essere ottimista, non per me ma per onorare il mio infedele passaporto.
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I divi, non volendo essere disturbati nella loro mascherata, mi evitano con grotteschi salti a pié pari e li vedo spesso traballare. Io avrei sulla punta della penna le conclusioni che potrei trarne, ma non volendo rinunziare alla mia monumentale modestia, non mi pronunzio, però mi concedo il lusso di rallegrarmi di non aver contatti con quelli che vivono grazie ai rotocalchi e ad altri espedienti.
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È difficile, anzi impossibile pretendere che le autorità «sappiano di musica», ché l'infezione progredisce paurosamente e solo per questo si rivolgono agli informatori, i quali dovrebbero essere spregiudicati periti, anziché agenti segreti avidi di intascare, sia pure indirettamente, il prezzo del loro tradimento.
Nei rari contatti che ho con le autorità, le ammiro per quello che mi dicono, nonostante le informazioni ricevute, molto probabilmente le dimenticano e si limitano ad evitare di compromettersi.

APPENDICE 1943

L'ARMADIO DEI VELENI

RANCORE. Veleno potentissimo che toglie l'uso della vista e dell'udito. Provoca anche travasi di bile e malattie di fegato. Si manifesta come un'infezione, in seguito a constatazioni di vario genere e fa strage fra i musicisti, piú fra quelli di mestiere che fra quelli di elezione, ed in questo caso elezione non ha nulla a che vedere con elettorale. Constatare che c'è chi possiede quello che non si ha forse è doloroso, ma l'ìndividuo affetto da rancore è appunto un uomo che si umilia, perché accecato non si accorge di quali sentimenti è in balía.
La sordità gli toglie l'energia necessaria per godere spiritualmente. È piú intruso del cuculo nel nido degli usignoli o dei vari parassiti che s'introducono negli alveari.
I SINTOMI. Uno dei sintomi che permette la diagnosi piú sicura è l'impossibilità in cui si trova il paziente di riconoscersi nello specchio e la sua strana anomalia nella percezione dei fatti, anomalia che non è strana se teniamo presente che è sordo e cieco. Per esempio il povero malato parlerà di salotti internazionali perché non si è ancora accorto che questi non esistono piú, mentre lui poi si spaccerà per Ministro plenipotenziario di tutte le musiche dell'Universo, e ciò per proteggersi le spalle e vendere fumo.
Purtroppo nei salotti sono ricevuti a braccia aperte soltanto i giocatori di «Bridge» o «Ponte» che dir si voglia. Ponte che conduce nel regno di Nirvana. Fumatori d'oppio, incenso chimicamente impuro, aureole di cartapesta, sonnolenza, turpiloquio, malafede.
Nessuna malattia fisica può ridurre lo spirito umano ad un livello piú basso del rancore e della malafede.