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dal n. 21 - 1 giugno 2002

Vittore da Firenze
All'italianista Branca, che da anni abita a Venezia, la città toscana attribuisce la cittadinanza onoraria

"Stia tranquilla, signora: non glieli portiamo via tutti". E infatti i miliziani fascisti aprono il sacco di piselli secchi e ne prendono solo qualche manciata. Poi ghignano e, soddisfatti, se ne vanno. Per fortuna la loro azione ladresca si ferma lì: se scavassero ancora un po' nel sacco troverebbero, sotto i piselli, un bel pacchetto di volantini contro il duce e il regime. E allora sì sarebbero guai seri per Olga Branca e, soprattutto, per suo marito Vittore.

Cittadino onorario: il 13 maggio il sì unanime di Firenze. Per fortuna non è andata così. Altrimenti, probabilmente, oggi il prof. Branca non sarebbe qui a rievocare quei fatti grandi e terribili che lo videro protagonista nella Firenze del '43 e del '44, quando i nazisti occupavano la città e i fiorentini si organizzavano per liberarla.

E' proprio per ricordare quei fatti, oltreché per onorare i suoi 60 anni di studi sulla letteratura toscana, che la città di Firenze ha deciso di insignire Vittore Branca della cittadinanza onoraria. Una mozione presentata dal sindaco il 29 aprile scorso ha ottenuto il consenso unanime del consiglio comunale, lo scorso 13 maggio.

Gentile gli diceva: "Tu sei tutto contro di me...". Branca, savonese ma da tanti anni residente a Venezia, ha vissuto nel capoluogo toscano una stagione importante della sua vita. Vi arriva nel '37, giovanissimo professore di liceo, reduce da una brillante esperienza universitaria alla Normale di Pisa, dove riesce a farsi stimare anche dal direttore dell'ateneo, nientemeno che Giovanni Gentile. Il quale, incontrandolo, gli diceva: "Branca, tu sei tutto contro di me, perché non sei idealista, non sei fascista e sei cattolico. Però...".

Però proprio Gentile fa molto per il futuro grande italianista. E' proprio per volontà del filosofo - e per la prima volta nella storia della Normale - che una ricerca dello studente del terzo anno Vittore Branca viene pubblicata in un volume. E apprezzamento viene anche dal titolare della cattedra di letteratura italiana, Attilio Momigliano, "il più fine critico estetico di quel momento", come lo ricorda oggi Branca stesso.

Ma parliamo della guerra. E' dopo il 25 luglio del '43, dopo l'arresto di Mussolini, che anche a Firenze i rivoli dell'antifascismo si ingrossano e, soprattutto, si manifestano più apertamente. In università un gruppo di docenti comincia ad incontrarsi, a discutere, a progettare una nuova stagione politica. Sono guardinghi, certo: meglio parlare durante una lunga passeggiata, di domenica, che in una casa. Le "orecchie lunghe", si sa, ci sono...

"Davo del tu a mons. Montini. Poi, però...". Ma la svolta per l'impegno concreto nell'antifascismo fiorentino, per Branca, viene da un incontro. Anzi, da due incontri. A Roma per ricerche, il giovane italianista ritrova mons. Giovanbattista Montini. Lo ritrova, perché Montini - il futuro papa Paolo VI - era stato assistente della Fuci quando Branca, alcuni anni prima, era vicepresidente nazionale dell'associazione. Tra loro era nata una profonda amicizia: "Gli davo del tu. Cosa che non feci più quando divenne pontefice. Montini aveva terrore del nepotismo o, comunque, di essere accusato di prediligere gli amici. Faceva trapelare per piccoli segni il suo affetto per me: un giorno, salutandomi fra i tanti in Vaticano, pronunciò uno per uno i nomi dei miei quattro figli. Era il segno del suo volermi bene".

La firma incomprensibile di De Gasperi. Torniamo a quel più lontano incontro: mons. Montini invita Branca ad andare a conoscere Alcide De Gasperi. "Io non sapevo chi fosse - ricorda Branca - ma un giorno mi arriva una lettera di invito. Leggo la firma: Legalini. Allora vado e vedo dietro al tavolo, all'entrata, un signore. Gli dico: Scusi, cerco il dott. Legalini. "Qui non esiste", mi risponde quello. Io, con baldanza, tiro fuori la lettera, e gliela metto sotto il naso: Guardi. E quello scoppia in una risata: "Ma sono io, De Gasperi. Lei ha letto male". E così divenimmo amici, di quell'amicizia fatta di cordialità e di riservatezza, che erano i tratti propri del grande statista".

Tre buoni motivi per essere nel Cln. E' proprio per quel contatto che gli amici fiorentini chiedono a Branca di rappresentare i cattolici antifascisti nel Comitato toscano di liberazione nazionale: "Tu conosci De Gasperi - gli dicono - sei amico di Zoli (avvocato, leader dell'antifascismo cattolico a Firenze, ndr), non sei molto noto in città...". Tutti buoni motivi.

Salvo per i dieci minuti di ritardo del comunista. Branca rischia grosso in più di un'occasione. Un giorno c'è un incontro dei cinque che guidano il comitato toscano del Cln. Il luogo è segreto, Branca non lo conosce. Per arrivarci ha appuntamento con il rappresentante dei comunisti, Montelatici. Ma quello arriva con dieci minuti di ritardo. Branca non lo accoglie benevolmente, seccato della scarsa puntualità, e i due si dirigono in bici al luogo convenuto. Senonché, 400 metri prima, si fermano e cosa vedono? Che la casa luogo dell'incontro è circondata dai tedeschi. E gli altri tre del Cln sono già dentro: di loro non si saprà più nulla.

"Ma lasciate stare: è solo una femmina...". Un altro giorno, incaricato di organizzare la stampa clandestina, Branca affida alla moglie un bel plico di manifestini, che lei nasconde nella borsa. Ma i soldati fascisti la fermano e stanno per perquisirla. Uno di loro, meridionale, però la guarda, con la borsa a tracolla e una bambina in braccio, ragiona in base ai suoi parametri culturali, e frena i commilitoni: "Ma lasciate stare... Non vedete? E' una femmina. Cosa volete che abbia?". Fortuna.

Il giornale della liberazione stampato grazie ad una Balilla. Ma l'episodio più drammatico è quello dell'insurrezione di Firenze, l'11 agosto del '44. Branca - oggi l'unico superstite dei cinque che guidarono quell'azione - è incaricato di stampare un giornale. Mica facile, però, in una città invasa, e senza corrente elettrica.

Ma grazie all'inventiva di un tipografo ce la fa: collega un'automobile Balilla ad una stampante piana e la mattina dell'11 agosto escono 20.000 copie del primo giornale dell'era antifascista. Branca scrive l'articolo di fondo e lo titola: "Firenze straziata ma non doma saluta il sole della libertà". L'archeologo Bianchi Bandinelli, accanto a lui, lo legge e commenta: "Un po' trombone, ma stamattina ci vuole così".

"Non eravamo coraggiosi: eravamo incoscienti". E poi ci sono i terribili giorni dei combattimenti, via per via, casa per casa, fucili dei partigiani contro carri armati dei tedeschi. I luoghi dove fino a poco prima si dava un appuntamento romantico alle ragazze diventano l'oggetto dei bollettini di guerra: Conquistata via Cavour, persa via... "Non avevamo coraggio", può dire oggi Branca riandando con la memoria quelle scelte e riflettendoci: "La verità è che eravamo incoscienti". In quei venti giorni muoiono 750 ragazzi. Firenze è libera, gli ideali sono rinati, il prezzo è altissimo.

Giorgio Malavasi

30 maggio 2002