E. T. A. HOFFMANN

LA PRINCIPESSA BRAMBILLA

UNDER CONSTRUCTION


CAPITOLO PRIMO

Quando incominciò a scendere il crepuscolo, dai conventi arrivò il suono dell'Ave Maria; nello stesso momento la bella e dolce creatura Giacinta Soardi buttò da una parte il ricco costume femminile di pesante raso rosso che stava guarnendo con grande cura, e piena di malumore guardò dall'alta finestrella giú nella strada stretta, triste, completamente vuota.
Intanto la vecchia
Beatrice mise in ordine i vestiti e le maschere di tutti i colori e di tutte le forme, che erano ammassati nella stanzetta sui tavoli e sulle seggiole, e li appese uno accanto all'altro. Coi pugni piantati sui fianchi rimase ferma davanti all'armadio aperto e disse tutta allegra:
- Davvero, Giacinta, quest'anno abbiamo lavorato come si deve; mi par già d'avere davanti agli occhi tutta la gente allegra del Corso... Ma è anche la prima volta che mastro Bescapé ci ha dato tante ordinazioni e tutte così ricche. Eh, egli sa che la nostra bella Roma quest'anno tornerà a risplendere di tutto il suo lusso, lo sfarzo e l'allegria possibili. Vedrai domani, Giacinta, come la gioia incomincerà sin dal primo giorno di Carnevale! E domani... domani il nostro mastro Bescapé ci vuoterà in grembo intere manate di ducati... Vedrai domani, Giacinta! Ma cosa ci hai, figlia mia? Stai li col capo ciondoloni, sei tutta imbronciata... rabbiosa? e domani è Carnevale?
Giacinta s'era nuovamente seduta sulla seggiola dove era stata a lavorare e tenendo il capo appoggiato alla mano fissava il pavimento senza badare alle parole della vecchia. Ma poiché questa non voleva finirla di chiacchierare dei prossimi divertimenti del Carnevale, esclamò:
- State un po' zitta, vecchia, non mi parlate di questi giorni che per gli altri saranno magari pieni di allegria, ma a me non portano altro che noie e dispiaceri. A che serve che lavori giorno e notte! Quanto durano i ducati di mastro Bescapé?... Restiamo povere lo stesso, ci tocca risparmiare con cura il guadagno di questi pochi giorni perché ci duri tutto l'anno, e ci basta appena a comprare un pezzo di pane! E che cosa ci resta per divertirci?
- Vorrei sapere, - rispose la vecchia, - che cosa ha da fare la nostra miseria col Carnevale? Forse che l'anno scorso non siamo andate in giro dalla mattina alla sera, e che io non avevo un bell'aspetto pieno di dignità, vestita da Ballanzone?... E tu venivi a braccetto con me, ed eri davvero un amore col tuo vestito da giardiniera... Hi hi! E le maschere piú belle ti correvano dietro e ti dicevano parolette piú dolci dello zucchero. Eh, non era allegro? E chi ci proibisce di fare lo stesso anche quest'anno? Basta che spazzoli per bene il mio vestito di Ballanzone, per fare scomparire i segni di tutti i confetti che mi gettavano addosso, e il tuo costume da giardiniera è sempre in ordine. Un paio di nastri nuovi, un paio di fiori freschi... che cos'altro vi occorre, madamigella, per essere bella ed elegante?
- Ma cosa dite, - strillò Giacinta, - cosa dite, vecchia! Con quei miseri cenci dovrei uscire di casa? No... con un bel vestito alla spagnola, bene stretto alla vita e che s'allarga poi in tante pieghe piene di ricchezza, con le maniche larghe e ricamate dalle quali escono i merletti piú belli... con un cappellino ornato di lunghe penne capricciose, con una cintura, con una collana splendente di diamanti... così vorrebbe vestirsi Giacinta per andare sul Corso e mettersi a sedere davanti a palazzo Ruspoli. Come correrebbero i cavalieri da tutte le parti! ... Chi è quella dama? È certo una contessa... Una principessa... E persino Pulcinella resterebbe incantato ed il rispetto non gli permetterebbe di fare i suoi stupidi scherzi!
- Vi sto ad ascoltare, - la interruppe la vecchia, - vi sto ad a scoltare e non posso credere ai miei orecchi. Dite un po', da quando vi ha preso questo terribile diavolo dell'orgoglio? Eh, se siete diventata tanto ambiziosa e pretendete di imitare le contesse e le principesse, allora fatemi il piacere e procuratevi un innamorato che per amore dei vostri begli occhi sia in grado di attingere a due mani in un sacco di zecchini, e liberatevi del signor Giglio, quello spiantato che se gli capita il caso straordinario di trovarsi due ducati in tasca, sperpera tutto in pomate profumate e in ghiottonerie, e mi deve ancora due paoli per la lavatura di un bavero di trina.
In mezzo a questi discorsi la vecchia aveva messo in ordine ed acceso la lampada. Quando la luce della fiamma cadde sul volto di Giacinta, la vecchia s'accorse che dagli occhi le cadevano come perline lacrime amare.
- Giacinta, - esclamò, - per l'amor di Dio, Giacinta, cosa fai, che cos'hai?... - Via, bambina, non parlavo mica sul serio. Calmati, non affaticarti tanto a lavorare; vedrai che finirai lo stesso il vestito a tempo debito.
- Ah, - borbottò Giacinta senza alzare gli occhi dal lavoro che aveva ricominciato, - ah, è proprio questo vestito, questo brutto vestito, penso, che mi fa venire tante idee strampalate. Ditemi voi, vecchia, avete mai visto in vita vostra un vestito piú bello e piú elegante di questo? Mastro Bescapè ha veramente superato se stesso; doveva essersi impossessato di lui uno spirito potente quando si mise a tagliate questo magnifico raso. E guardate che bellezza di trine, che nastri straordinari, che pietre preziose mi ha dato per la guarnizione. Non so che cosa pagherei per sapere chi è la fortunata che indosserà questo abito divino.
- E a te che te ne importa? - la interruppe la vecchia. - Noi facciamo il nostro lavoro e riceviamo il nostro denaro. Ma è vero che mastro Bescapè era così strano quel giorno, così misterioso... Eh, certo, deve essere per lo meno una principessa quella che porterà questo vestito, e se anche di solito non sono curiosa, mi piacerebbe che mastro Bescapé mi dicesse come si chiama, e sta' tranquilla che domani lo seccherò finché me lo dirà.
- Ah no, no, - esclamò Giacinta, - non lo voglio sapere, preferisco immaginarmi che nessuna donna indosserà mai questo vestito, ma che io lo faccio per qualche fata misteriosa. Davvero, mi pare già che attraverso tutte queste pietruzze splendenti mi guardino una quantità di piccoli folletti, sorridendomi e bisbigliandomi: Cuci, cuci lesta per la nostra bella regina, noi ti aiutiamo, noi ti aiutiamo!... E quando intreccio insieme i nastri e i merletti, mi pare che una quantità di minuscoli spiritelli, tanto carini, corrano avanti e indietro insieme con gnomi dalla corazza d'oro e... ohi, ohi! ...
Cosi gridò Giacinta che, mentre cuciva la guarnizione intorno alla scollatura, si era punta in malo modo un dito sicché il sangue ne usciva come da una fontanella.
- Santo cielo, - gridò la vecchia, - santo cielo, sta' attenta al vestito! - Alzò la lampada per vedere meglio e grosse gocce d'olio caddero sopra il raso.
- Santo cielo, sta' attenta al vestito! - gridò Giacinta quasi svenuta dallo spavento. Ma sebbene fosse piú che certo che il sangue e l'olio erano caduti sopra il vestito, né la vecchia né Giacinta riuscirono a scorgervi neppure la piú piccola traccia d'una macchia. Allora Giacinta ricominciò a cucire con grande rapidità, finché esclam' tutta allegra: - È finito, è finito! - e saltò in piedi tenendo il vestito ben alto davanti a sé.
- Oh, com'è bello - gridò la vecchia, - oh, com'è magnifico... che lusso!... No, Giacinta, le tue care manine non avevano mai fatto una cosa così bella... E sai cosa, Giacinta, ma a me mi sembra che il vestito sia stato tagliato proprio per te, come se mastro Bescapé l'avesse fatto sulla tua misura?
- Questa si che sarebbe bella! - rispose Giacinta coprendosi tutta di rossore, - tu sogni, vecchia mia, ti pare che sia così alta e così snella come la signora alla quale è destinato questo costume?... Piglialo, piglialo, mettilo via con cura! Speriamo in Dio che domani alla luce del giorno non salti fuori qualche brutta macchia! ... Che cosa si potrebbe fare, poverette noi?... Via, prendetelo! - La vecchia esitava.
- È vero però, - aggiunse Giacinta continuando a guardare il vestito, - è vero però che durante il lavoro, piú di una volta m'è parso che il vestito mi dovrebbe star bene. La vita mi pare di averla abbastanza snella. e quanto alla lunghezza...
- Giacintina, - esclamò la vecchia con gli occhi luccicanti, - Giacintina, tu indovini quello che penso io, come io indovino... Il vestito se lo può mettere chi vuole, una principessa, una regina, una fata, non importa, ma la mia Giacintina, deve essere la prima a farsene bella.
- Neanche per idea, - ribatté Giacinta; ma la vecchia le prese il vestito dalle mani, lo distese con cura sopra una poltrona ed incominciò a sciogliere le trecce della ragazza, accomodandole poi i capelli intorno al capo con molta eleganza; poi prese dall'armadio un cappellino ornato di penne e di fiori che, secondo il disegno di Bescapé, era fatto per quel vestito, e lo accomodò sopra i riccioli bruni di Giacinta. - Figlia mia, che meraviglia sei solo col cappellino! Ma ora giú quel corpetto! - esclamò la vecchia ed incominciò a spogliare Giacinta che arrossendo di pudore non osava piú contraddirla.
- Hem, - mormorava la vecchia, - che collo ben tornito, che petto color giglio, che braccia d'alabastro, quelle della Venere dei Medici non sono disegnate meglio. Giulio Romano, non ne ha dipinte di piú belle... Vorrei un po' sapere se c'è una principessa a questo mondo che non creperebbe d'invidia vedendo la mia cara bambina! - E mentre aiutava la ragazza ad indossare il magnifico costume pareva che spiriti invisibili l'aiutassero. Tutto stava alla perfezione, non c'era un punto fuori di posto, ogni piega cadeva da sé, non era possibile credere che quel vestito fosse stato fatto per altri che Giacinta.
- Oh santi del cielo, - esclamò la vecchia quando ebbe davanti a sé Giacinta vestita con tanto lusso, - oh santi del cielo, ma tu non sei la mia Giacinta... Ah! Ah! Come siete bella, illustrissima signora principessa!... Ma aspetta, aspetta! Bisogna far luce, illuminata a giorno dev'essere la nostra stanzetta! - E così dicendo la vecchia corse a prendere un paio di vecchie candele benedette avanzate dalla festa della Madonna e le accese sicché Giacinta apparve come circondata da un'aureola di luce.
Tutta stupita per la rara bellezza di Giacinta ed ancor più per il modo grazioso e insieme pieno di dignità con cui andava su e giú per la stanza, la vecchia giungeva le mani e diceva: - Oh se qualcuno vi potesse vedere, oh se tutto il Corso vi potesse ammirare!
In quel momento la porta si spalancò, Giacinta spaventata lanciò un grido e si rifugiò presso la finestra, e dopo aver fatto due passi dentro la stanza un giovane rimase incantato a guardarla, come se fosse inchiodato al pavimento e trasformato in una statua di pietra.
Mentre questo giovane sta li senza voce e senza moto, o amatissimo lettore, tu lo puoi esaminare a tuo agio. Constaterai che potrà avere al massimo ventiquattro o venticinque anni e che ha un aspetto simpatico ed avvenente. Piuttosto strano ti sembrerà il suo vestito; ogni singolo pezzo che egli porta indosso è certo inappuntabile sia per il taglio, sia per il colore; ma l'insieme non va assolutamente, e forma un contrasto di colori stonati. Inoltre, sebbene tutto sia tenuto pulito con cura, si nota un'innegabile povertà; si vede benissimo che il bavero di trine ha un solo compagno col quale si alterna nel servizio e che le penne di cui il cappello piantato di traverso sulla testa è fantasticamente ornato, sono tenute insieme a fatica con spilli e fil di ferro. T'accorgi subito perciò, benigno lettore, che il nostro giovanotto così vestito non può essere altri che un attore piuttosto vanitoso i cui meriti non eccellono gran che; e così è in realtà. In una parola, ti sta davanti quel Giglio Fava il quale è ancora in debito di due paoli con la vecchia Beatrice per la lavatura di un bavero di trine.
- Oh! che mai vegg'io? - incominciò a recitare Giglio Fava con grande enfasi, come se si trovasse sul palcoscenico del Teatro Argentina. - Ah! Che mai vegg'io? È dessa un sogno che m'inganna ancora? No! È proprio lei, la divina... Ora oserò parlarle con le piú ardenti parole d'amore! Principessa, oh principessa!
- Non fare il somaro, - gridò Giacinta voltandogli la schiena, - e risparmiati queste burle per i prossimi giorni!
- Forse che io non so, - rispose Giglio, dopo aver ripreso fiato, con un sorriso sforzato, - forse che io non so che sei tu, mia adorata Giacinta, ma dimmi, che significa questo mirabile costume?... Davvero, non mai ancora mi eri apparsa così affascinante, ti vorrei vedere sempre così.
- Ah si? - disse Giacinta incollerita; - dunque tu ami solo il mio vestito di raso e il mio cappellino con le piume? - E così dicendo scappò nella stanza accanto e ben presto ritornò, senza tutti quegli ornamenti, con i suoi soliti vestiti. Intanto la vecchia aveva spento le candele e strapazzato a dovere quel melenso d'un Giglio che aveva rovinato il piacere con cui Giacinta si era provata il costume destinato a chi sa quale gran dama e per di piú era stato così poco galante da farle capire che quel lusso aveva il potere di aumentare il suo fascino e di farla apparire piú desiderabile. Giacinta aggiunse i suoi ai rimbrotti della vecchia finché il povero Giglio, tutto umile e pentito, riescì a mettere quattro parole in mezzo per assicurarle che la sua meraviglia era nata dalla coincidenza di alcune circostanze eccezionali.
- Lascia che ti racconti, - incominciò a dire, - lascia che ti racconti, creatura divina, mia dolce vita, il sogno favoloso che ho avuto ieri notte dopo essermi gettato sul mio letto, stanco e sfinito per aver recitato la parte del principe Taer che, come tu sai, al pari del mondo intero, io interpreto in maniera divina. Mi pareva di essere ancora in palcoscenico e di stare a leticare con quel sordido avaro dell'impresario che mi rifiutava ostinatamente l'anticipo di un paio di miserabili ducati. Mi seppelliva sotto ogni sorta di stupidi rimproveri, e poiché io per difendermi meglio volevo fare un nobile gesto, non so come avvenne, ma la mia mano lo colpì sulla guancia destra, sicché chiunque avrebbe detto che gli avevo dato un terribile schiaffo. Allora l'impresario mi saltò addosso tenendo in mano un grande coltello, io tentai di scappare e mi cadde a terra la mia bella berretta da principe che tu stessa, dolce speranza mia, hai ornato così graziosamente con le piú belle penne che siano mai state strappate dalla coda dello struzzo. Inferocito, quel mostro, quel barbaro, vi si buttò addosso e colpi col suo coltello la poverella che dopo sofferenze e lamenti inenarrabili restò morta ai miei piedi. Volevo, dovevo vendicare l'infelice. Col mantello gettato sul braccio sinistro, brandendo con la destra la spada principesca, mi slanciai sul feroce assassino. Ma egli fu svelto a scappare in casa e dal balcone mi sparò addosso collo schioppo di Truffaldino. Rimasi stupito vedendo che il lampo della fucilata s'era fermato per aria e mi scintillava davanti agli occhi come un serto di diamanti. E mentre a poco a poco il fumo si dissipava, mi accorsi che quello che m'era sembrato il lampo dello schioppo di Truffaldino non era altro che un meraviglioso gioiello sul cappellino di una dama. O Dio del cielo! O voi tutte potenze celesti! Udii una voce dolcissima parlare... no! cantare... no! esalare un profumo di suoni e di parole «Giglio, Giglio mio!» e vidi davanti a me un essere di così divina bellezza, di tanta grazia, che l'ardente scirocco d'un amore cocente mi corse per le vene e per i nervi, ed il torrente infuocato si condensò in lava sgorgata dal vulcano del mio cuore fiammeggiante. «Io sono», disse la divina avvicinandosi, io sono la principessa...»
- Come? - interruppe con ira Giacinta quell'uomo rapito, - come? ti permetti di sognare di una donna che non sono io? Ti permetti d'nnamorarti stando a guardare una stupida, insignificante figura scappata dal fucile di Truffaldino?
E i rimproveri, i lamenti, le ingiurie e le deprecazioni ricominciarono a piovere sul povero Giglio il quale non riesciva a difendersi giurando e spergiurando che la principessa del sogno era vestita tale e quale come Giacinta al momento in cui era entrato. Persino la vecchia Beatrice che di solito non era molto disposta a prendere il partito del signor senza un soldo, come lei lo chiamava, senti alla fine compassione per lui, e non lasciò in pace quella lunatica di Giacinta finché questa non ebbe perdonato all'innamorato il sogno, a condizione però che non gliene parlasse mai piú. La vecchia condì un magnifico piatto di maccheroni e Giglio trasse dalle tasche del mantello un cartoccio di dolci e una bottiglia di un vino abbastanza bevibile, poiché al contrario di quello che era avvenuto nel sogno, l'impresario gli aveva realmente anticipato due ducati.
- Riconosco che qualche volta pensi a me, caro Giglio, - disse Giacinta mettendosi nella boccuccia un frutto candito. Giglio ottenne persino il permesso di baciarle il ditino che era stato ferito dal perfido ago, e la gioia e la felicità tornarono a risplendere. Ma se una volta il diavolo ci ha messo la coda, non c'è niente da fare. Dovette proprio essere il diavolo in persona a suggerire a Giglio, quand'ebbe bevuto un paio di bicchieri di vino, l'idea di fare questo discorso:
- Non l'avrei mai creduto, che tu, mia dolce vita, potessi essere così gelosa di me; ma fai bene. Io ho un bellissimo aspetto e la natura mi ha dotato di ogni sorta di magnifici talenti; e per di piú, sono un attore! Un giovane attore che recita così divinamente la parte del principe innamorato, con tutti gli oh e gli ah che ci vogliono, è un romanzo ambulante, un intrigo su due gambe, una canzone d'amore con labbra che possono baciare e braccia che possono stringere, un'avventura saltata fuori dal libro e che sta dinanzi agli occhi delle belle anche nella vita, quando esse hanno finito il volume. È per questo che noi esercitiamo un fascino irresistibile sulle povere donnette le quali vanno pazze per tutto quello che abbiamo e possediamo, il nostro animo, i nostri occhi, i nostri gioielli falsi, le penne ed i nastri. Non c'è condizione, non c'è rango che tenga; lavandaie o principessine... son tutte uguali! Ed io ti dico, cara bambina, che se alcuni misteriosi presentimenti non m'ingannano, se non c'è qualche folletto maligno che mi prende in giro, certamente il cuore della piú bella delle principesse arde d'amore per me. Se questo si è avverato, o se si dovesse avverare, bisognerà, mia cara speranza, che tu non te n'abbia a male se io sfrutto la miniera d'oro che mi si apre davanti, e se ti trascuro un poco, perché naturalmente una poveraccia d'una sartina...
Giacinta lo stava ad ascoltare con attenzione sempre crescente e si avvicinava sempre piú a Giglio nei cui occhi luccicanti si riflettevano le immagini bugiarde della notte; ma a questo punto saltò in piedi e dette al felice innamorato della piú bella principessa del mondo uno schiaffo tale che egli si vide ballare davanti agli occhi tutte le scintille del fatale schioppo di Truffaldino; e quindi scappò lesta in camera sua. Nessuna preghiera, nessuna supplica servirono a richiamarla.
- Andate a casa vostra da bravo, oggi ha le smorfie, e non c'è niente da fare, - disse la vecchia facendo lume al povero Giglio mentre scendeva le scalette della casa. [...]