BRUNO BARILLI

ALFREDO CASELLA

DA «IL SORCIO NEL VIOLINO»
EINAUDI - TORINO1982
pp. 21-25


Introduzione
di Mario Lavagetto

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CASELLA - Vedi: B. Barilli, Il sorcio nel violino, pag. 31, segg. [nella 1ª edizione]. Non si può dir meglio, nè di più.

L'Italia, dunque, avrebbe il torto di non conoscere abbastanza Alfredo Casella, pianista europeo, il piú stonato e il piú placido dei nostri compositori, l'apostolo, per così dire, della nota falsa, il piú pedagogico dei fumisti e fra tanti futuristi, avveniristi, dadaisti, dinamisti, il piú intossicato e il piú angelico di tutti.
Quando Giuseppe Verdi sul declinare della vita scrisse torniamo all'antico, aveva egli forse veduto con terrore emergere sulla lontana curva evanescente dell'orizzonte il profilo embrionale e fantomatìco di Alfredo Casella?
Nato con un anticipo di alcune centinaia di anni, giunto inaspettato in queste nostre provincie trasandate e piene di pigre e succulenti banalità, capitato fra orecchianti crapuloni e ammiratori smargiassi di Gioacchino Rossini e di Gaetano Donizetti, soffocato da un'atmosfera grassa di cotechino, confuso tra gente scamiciata che mandava giú certi bocconi pesanti come ferri da stirare, Alfredo Casella, il nostro valoroso amico, si strinse nei panni con un brivido, si abbottonò in fretta sino al mento come uno spicchio di limone e cercò di passare al largo filando via dissimulato e lieve come un missionario chiamato altrove.
Avido di un avvenire che gli si mostrasse alla vista con le sue prospettive geometriche, con le sue solitudini appartate e metafisiche, egli distrusse dietro di sé le insegne della vecchia saggezza, i ponti della ritirata e si lanciò alla ricerca di un mondo irreprensibile e retto dal piú austero proibizionismo, nel quale gli uomini avessero uno stomaco automatico e un cuore secco come un terno al lotto, e dove il progresso politecnico salisse sempre scivolando verso zone piú frigorifere con la continua e silenziosa regolarità di un ascensore bene ingrassato.
Ecco dunque il nostro precursore in viaggio; avanguardia perduta fra le ombre antelucane di un'epoca che non vorrebbe ancora essere rivelata egli procede impassibile e rigoroso oltre i limiti segnati sulle carte dalle ultime spedizioni.
Le fiere e gli Iddii di quelle plaghe vergini e sacre fuggono ululando fra le nebbie dinanzi alla redingote fatale dell'ex-segretario della Società italiana di musica moderna, che sembra sgranare sotto i suoi passi una interminabile legione di pianoforti invisibili.
Di stagione in stagione, questo franco cacciatore dell'idea futura riappare persistente e immutato fra noi accolto e ossequiato dai discepoli categorici della santa lega modernistica che recano in mano il catechismo della cacofonia pura. Egli studia, saggia, incita il loro fervore sacrosanto, poi si immerge con grazia pacata nelle diverse correnti della piú matta pubblicità e s'allontana trasportato verso remotissimi lidi.
Cosi, all'inglese, se ne va ogni volta questo messaggero dell'anno duemila. L'America elettrica lo attrae irresistibilmente con i suoi fonografi, i suoi brevetti d'invenzione e i suoi grattacieli che tanto somigliano ai poemi sinfonici d'oggidì.
Come compositore egli è del tutto imparziale, vale a dire, non ci mette niente di suo; la sua posizione nel mondo della musica è quella di colui che non persuade nessuno e non si lascia persuadere da nessuno.
Questo non gli impedisce di avere per il globo, e in via d'eccezione, non pochi ammiratori e sopratutto moltissimi amici a prova di bomba.
Egli è, senza dubbio, il primo fra i charmants garçons della giovane scuola italiana, i suoi nemici lo adorano, e fra questi ultimi Casella può mettere anche noi che scriviamo di lui con tanta affettuosa ingratitudine.
«La freccia volante riposa» disse un filosofo greco.
Saggezza sprecata. Casella è per la logica scientifica, e non scrive quattro battute di melodia qualunque, senza rivestirle con la camicia di spine del suo sistema.
Egli fa stridere nel bagno gelato del suo temperamento il ferrame rovente della sua volontà. Il moto dissonante e babelico, l'attrito armonico esasperato e insanabile, l'escoriazione perpetua sono il suo rovello. Egli lancia all'aria rottami d'ogni sorta, pone mano ad altri e a chi tocca tocca.
Studia giorno e notte con quella sua tenacia irreparabile, escogita e combina ad arte i suoni, in modo da sconquassare i nervi e smontare, pezzo per pezzo, i timpani del prossimo: strappa alla gente malcapitata gridi di spasimo e siccome egli è fatto per metter male e creare screzii fra gli istrumenti d'orchestra, tutto gli riesce cosi bene da suscitargli intorno orrore e spavento, per il raggio di dieci miglia.
Egli lavora di sorpresa, piomba id una sala di concerti e quasi sempre riesce a catturare e trarsi dietro il pubblico che non osa piú né fiatare né fuggire.
Là dove passa la sua musica l'erba non rinasce piú!
C'è qualcuno che prende la cosa al tragico e si domanda con costernazione: Quand'è che costui avrà il coraggio civile di farsi capire?
Errore! niente da fare con lui. Amici e nemici insieme egli travolge, pur di raggiungere i posteri, egli scrive per le generazioni future; sono i nostri nipoti quelli che capiranno e godranno tutto.
Il bello si è che Casella, oltre ad essere un compositore a gran velocità è anche, lo diciamo con orgoglio, un uomo intelligentissimo, cosa che costituisce, per i musicisti d'oggidi, un lusso strepitoso.
Tuttavia a vederlo non lo diresti da tanto. Chi non lo conosce immagina ch'egli sia un tipo da non star nella pelle, egli invece ci sta, compunto e cauto; non ci sta proprio del tutto comodo, perché di pelle ne ha ricevuta in dotazione appena quel tantino strettamente necessario; ma per starci, ci sta, lo si può dire, docilmente, senza batter ciglio, né fare una grinza.
Se ha da mostrarsi lieto, prende le sue precauzioni, e, con uno sforzo calcolato, sorride, sorride, sorride, come i cavalli di legno di un 'carrousel'.
Naturalmente non può, nelle sue condizioni, nemmeno rimpinzarsi di pasticcini o gonfiarsi di vino. A tavola lo vedi sobrio e misurato arrestarsi al dessert, posare la forchetta e il coltello e scostare tranquillamente da sé il bicchiere, alzando gli occhi rassegnati al soffitto.
Allora tu potrai leggere, sulla fronte senza rughe, la legge dura: Non mangerai né cocomeri né poponi.
Contro i casi poi gravi d'allegria irrefrenabile, Casella ha escogitato una risata, diremo cosi, idraulica, di sua fabbricazione, che non mette in pericolo il suo squisito involucro, né lo squassa o arriccia; una risata che scoppia, erompe e scroscia tutta al di dentro con il glu, glu, glu, lamentoso di secchio che vien su pieno e grondante da una cisterna d'acqua gelata.
L'incontrammo in gennaio a Parigi, la sua roccaforte. Egli con la solita impassibilità ci colmò d'attenzioni e di gentilezze, e ci invitò, per il giorno dopo, ad un concerto, nel quale egli avrebbe preso parte come pianista e come compositore.
Il concerto ebbe luogo, infatti, nel gran teatro dei Campi Elisi e fu la prima volta che noi mettemmo piede là dentro.
La sala era gremita e magnifica. Dirigeva l'orchestra René Baton e Casella sedeva al pianoforte.
Tutti conoscono il suo raro talento pianistico e la sua tecnica chiara, brillante e delicata; è inutile quindi descrivere l'entusiasmo che il nostro connazionale suscitò quel giorno; basti dire che tra il continuo andare e ritornare, per presentarsi al pubblico che lo acclamava con insistenza delirante, Casella fu costretto a farsi qualche chilometro col capogiro.
La seconda parte del programma comprendeva l'esecuzione della sua Elegia eroica per grande orchestra. Casella che non aveva piú parte in scena venne su in palco con noi e si mise in un angolo buio per ascoltarsi.
E l'angoscia cominciò.
La musica impelagata e stridula dell'amico, trovando, questa volta, un sostegno nella nostra disperata solidarietà, tirava innanzi tutta di contropelo fra un silenzio di malaugurio.
Guardando ben dritto dinanzi a noi nelle tenebre pensavamo con accoramento: Dio buono, si può zittirlo e fischiarlo in Italia, ma all'estero l'applaudiremo a tutti i costi.
Intanto l'Elegia eroica che a tutta prima sembrava interminabile andava man mano rattrappendosi fin che arrivò all'ultimo rantolo e si distese stecchita. Drizzammo le orecchie in quel punto ma invano; non un segno di reazione o di collaudo sorse a rompere il silenzio mortale che regnava nella sala; s'udi invece appena il rifiatare pauroso di una folla scampata allora e sollevata fuor di pericolo. La cupola aerea del teatro risuonò fievolmente e lungamente come se l'echeggiare di mille sorrisi enigmatici l'avesse percossa.
In quel frangente, noi, possiamo dirlo senza falsa modestia, ci portammo da buoni italiani e cominciammo a far strepito per dieci, battendo le mani a dita aperte, senza badare al bruciore, con una forza e uno zelo moltiplicati; ma quel che ci indignò e ci fece uscir dai gangheri, fu il vedere Casella seduto, freddo e immobile nella semioscurità, inerte come un idolo metafisico.
Toh!, gli gridammo con furia, ci lasci soli in questo guaio, proprio tu che hai la colpa di tutto? - Fu allora che udimmo, tutto d'un tratto, la sua risata stridere come una carrucola nella sua gola, mentre le sue mani di pianista si mettevano ad applaudire con un'allegria straordinaria.
E questa volta il successo si delineò, assumendo le proporzioni gigantesche di un successo a quattro mani.