GUIDO M. GATTI

INTRODUZIONE ALLA CRITICA
SU MALIPIERO

Questo libro non ha un'origine occasionale, come il lettore potrebbe pensare coincidendo la sua pubblicazione con il compiersi del settantesimo anno di vita di Gian Francesco Malipiero, nè si propone fini apologetici o celebrativi. Gino Scarpa, cui si deve la composizione del volume e che ne è l'editore, ha voluto fare per un musicista vivente quello che, a fatica e con dubbi e lacune, l'industria dell'erudito compie per gli artisti del passato, mettendo assieme quelle notizie, testimonianze dell'autore e dei contemporanei, «excerpta critica», che costituiscono le premesse indispensabili al lavoro dell'esegeta e del critico.
Se vi sono compositori del nostro tempo che hanno avuto maggior copia o unanimità di consensi, non so se ne esistano che, quanto Malipiero, abbiano dato motivo a più frequenti e accese discussioni sul piano critico meglio che polemico. La bibliografia degli scritti sulle sue opere, distribuiti in un periodo così lungo e agitato della vita musicale, dà un'immagine puntuale e normativa dello spirito dominante e dei lineamenti essenziali di quella vita nella prima metà del secolo, attraverso il gioco dei contrasti, le allusioni, le affermazioni e le correlative negazioni e riserve. In questa ampia messe di scritti Gino Scarpa, con fine intuito di lettore au dessus de la melée, ha fatto una scelta generosa ma razionale, affinché tutti gli aspetti della personalità estetica e umana del musicista vi fossero presentati e lumeggiati, ove necessario, anche da punti dì vista diversi.
A tale florilegio di scritti critici, che costituiscono la prima parte del volume, ha fatto seguire la parte che diremo documentaria, proveniente dall'autore stesso, il quale ha procurato il Catalogo delle opere (144 numeri), dando modo di corredarlo di tutti i dati che la buona filologia musicale richiede, e commentandolo con quell'arguzia, spesso venata di malinconia, e quel distacco che sono caratteristiche della sua natura. Queste annotazioni sembrano a me di estremo interesse specialmente sotto l'aspetto di autocritica, sia nei confronti delle opere condannate sia per quelle che l'autore dichiara di prediligere, e costituiscono una vera e propria storia della sua produzione musicale. Complemento alle annotazioni sono i «ricordi e pensieri», trascelti dai volumi e da altri scritti editi e inediti di Malipiero, che è scrittore forse non inferiore al musicista per la efficacia e la singolarità delle immagini, e in certe pagine (penso particolarmente a quelle su Asolo) perviene alla concretezza lirica. Ai ricordi sulla vita privata e artistica il lettore troverà frammisti i concetti estetici e storici, pochi ma decisi e costanti, che hanno guidato il compositore nel suo lungo lavoro.
La nota che più spesso risuona negli studi su Malipiero è quella della continuità e univocità della sua opera. Malipiero, ha scritto Massimo Bontempelli, «non procedette per crisi, conversioni, improvvise scoperte». Si può anzi dire che egli sia già tutto nelle composizioni di trenta e più anni fa, spiritualmente e formalmente, e che tutta la sua opera sia intesa ad approfondire quel dato essenziale primigenio, che fa parte del suo estro. «Mon verre est petit, mais je bois dans mon verre», egli potrebbe dire della sua opera. Vedete quanto poco, per non dir nulla, abbiano influito su di lui le vicende del gusto musicale del nostro secolo; com'egli sia rimasto insensibile ai richiami delle successive tendene: Strawinsky (primo e ultimo), Schönberg, Neoclassicismo, Espressionismo, sono passati senza lasciar traccia sulla sua creazione, pure interessando vivamente il suo spirito sempre attento e pronto ad accogliere e vagliare le nuove espressioni artistiche. Si comprende come in un tempo come il nostro, votato al Dio trasformismo, il perseverare nella stessa via possa provocare l'impressione e la conseguente accusa di monotonia e di scarsa fantasia.
«Il discorso malipieriano come continuità senza ritorni. Ne deriva a quelle pianure monocrome un senso di implacabile, accompagnato da un sotterraneo murmure dì malinconia». Ho citato ancora Bontempelli perché mi pare che in queste poche righe sia racchiusa la caratterizzazione più acuta ed equilibrata dell'arte di Malipiero.
Il discorso musicale del nostro compositore non nasce da suggestioni letterarie o pittoriche, neppure quando queste sono indicate dall'autore con preciso rìchiamo. Le imagini musicali hanno origine in un mondo puramente musicale, in un clima sonoro che non ha rapporto con le avventure letterarie: a causa di ciò, spesso, le poesie musicate da Malipiero sembrano essere nate dopo la musica, poichè in fondo costituiscono soltanto una struttura che rimane sempre un po' estrinseca e inerte. La parola nella pagina di Malipiero non s'infiamma mai al palpito musicale (come in queì musicisti per i quali la parola costituisce l'ubi consistam della melodia, recitativo o lirica: Wagner e Pizzetti): è uno schema ritmico, una sorta, di contrappunto non necessario. Parlando della sua opera «I capricci di Callot», Malipiero annota che la musica vi segue la trama «senza rinunzie nè adattamenti antimusicali», condannando invece quella di alcune sue giovanili liriche su testi francesi «che avvolge la parola come la carta di un involto che non si sa che cosa contenga e che può ancheessere soltanto pieno d'aria». Da questi passi e da altri risulta chiaramente come Malipiero ritenga che talora la musica non scaturisce direttamente dalla fantasia musicale ma ricopre senza aderire una storia di parole.
Da una tale premessa, che via via ha acquistato, l'autorità di un postulato, proviene l'assoluta mancanza di sviluppi tematici e formali nelle composizioni di lui; che è in fin dei conti la peculiarità che più si urta con l'in comprensione di un certo pubblico, diciamo pure della maggior parte del pubblico, che ha bisogno di trovare nel discorso musicale quell'alternanza di momenti essenziali e di riposi, quel gioco di affermazioni e di successive variazioni, nelle quali sovente molto si parla per dire poco, propri della retorica del discorso. Non so se si possa parlare di musica pura, come si parla di poesia pura a proposito di certe recenti correnti poetiche: ma vorrei richiamarmi (e mi pare che l'analogía non sia troppo arrischiata se si tiene conto della profonda diversità delle nature dei due artisti) ad alcune poesie di Ungaretti, così ricche d'imagini verbali, d'illuminazioni improvvise, di accensioni liriche, dove le pause sono pause di silenzio - sulla carta spazi bianchi - e non inerte materia di riempitivo e di legamento.
La battaglia di Malipiero contro l'Ottocento, da lui condotta con tale passione da avergli fatto perdere talvolta di vista l'avversario reale e combattere contro musicisti che non avevano alcuno dei caratteri «ottocenteschi», questa rivolta - dicevamo - ha avuto il suo punto di partenza nel fatto che fu proprio il secolo diciannovesimo a esaltare oltre misura le possibilità di variare ed elaborare una cellula tematica fino a farla dimenticare completamente. Così è nata la leggenda di un Malipiero negatore della nostra musica più insigne e dispregiatore dei nostri più venerabili miti musicali; leggenda ch'è stata abilmente sfruttata soprattutto nel periodo di più incontrollato e interessato nazionalismo.
Ma qui il discorso dovrebbe assumere un tono diverso, e d'altra parte il lettore troverà la più lampante confutazione di questa accusa nelle pagine seguenti: specialmente in quelle dove si ragiona dell'attività di Malípiero a favore delle opere di Monteverdi, Vivaldi e tanti altri maestri della « buona epoca».
In un articolo scritto e pubblicato nel 1918 - se la memoria non mi inganna, fu quello il primo tentativo d'inquadrare l'opera, a quel tempo già cospicua, del nostro compositore - insistevo sul dualismo romantico-classico evidente nelle sue pagine pervenendo alla formula (imprecìsa ed empìrica come tutte le. formule in arte) di «ideale classico di uno spirito romantico». Debbo credere che questa formula avesse un certo fondamento di validità, se essa fu ripresa e variata in parecchi altri saggi apparsi successivamente nel nostro paese e altrove. Anche Fedele d'Amico le riconosceva consistenza critica, pur discutendola, nello studio riprodotto in questo volume.
Per conto mio, ripensando alle ragioni che trentaquattro anni fa mi spinsero a insistere sul fondamento romantico della 'aisthesis' malipieriana, non ho ragione di cambiare idea. Tutta l'opera - e quale mole e varietà di opera! - scritta da allora, rivela a un attento esame, sorvolando su alcuni atteggiamenti occasionali, la stessa profonda origine. In tutte le pagine di Malipiero si sente il desiderio di placare in una forma quanto mai semplice, chiara, di armoniche proporzioni, una materia fantastica esagitata e sconvolta, che tende a forzare i limiti della riservatezza, ma che, allorquando l'artista è in un momento di grazia, dà a quelle linee così pure una vibrazione intensa, una carica emotiva al cui potere non ci si può sottrarre.
Già nei pannelli delle «Sette canzoni» appare il tema psicologico fondamentale, il contrasto fra il sogno esaltante e la verità dura e pesante, materializzato in personaggi che lo Stuckenschmidt (vedi il suo saggio sulle opere teatrali) dichiara che «potrebbero portare delle maschere», tanto essi sono più vicini all'allegoria che alla vita in divenire. (Tali personaggi hanno suggerito al d'Amico il nome di Kafka; io li vedrei molto vicini ai fantasmi del mondo berlioziano). Nelle lotte fra la realtà e il sogn «o è questo che alla fine ha il sopravvento, anche se l'inguaribile pessimismo del musicista preferisce dimostrare il contrario. In queste raffigurazioni di umanità ambigua e delusa, il musicista trova i suoi accenti più felici. Nella trilogia «Il Mistero di Venezia» anche la storia della città diletta (per la quale Malipiero sente ora nostalgia e attrazione, ora stanchezza e repulsione, proprio come avviene per le cose e per le persone che più si amano) tende a farsi mito. Il tema dell'opposizione, di cui s'è detto, ritorna con insistenza in «Filomela e l'Infatuato», nel «Torneo notturno», nell'«Allegra brigata», dove anzi esso è fortemente sottolineato e integrato dal complesso erotico.
Ma il tema, nella sua configurazione generica di angoscia, tristezza, malinconia, delusione, fa da «pedale» alla maggior parte delle opere di Malipiero, anche di quelle senza testo e senza personaggi visibili. Le note ch'egli ha scritto per il catalogo delle sue opere sono esplicite a questo proposito. L'uffima delle «Sette Canzoni» contrappone il grigio dell'alba delle Ceneri alla «banalità carnascialesca»; le terze «'Impressioni dal vero' rappresentano lo sforzo sostenuto per vincere gli spettri e gli incubi postumi d'unatragedia vissuta» ; nella Prima Sinfonia, della poesia del Lamberti sulle stagioni non è rimasto che «la nostalgia per quello che andato perduto»; le campane della Terza Sinfonia non squillavanno per la pace «ma per annunziare nuovi tormenti, nuove angoscìe»; la Quarta Sinfonia «è più funebre della Seconda, e non soltanto per essere dedicata alla - memoria di Natalia Koussevitzky»; dei Poemi asolani «solo la 'Notte dei morti' è veramente lo specchio di me». Negli scritti, nei ricordi, nei pensieri raccolti in questo libro sono frequenti gli accenni allo stesso stato d'animo e il lettore li troverà da sè; e tutti in fondo potrebbero essere posti sotto il segno della solitudine in cui, nonostante i rapporti frequenti e molteplici con il mondo artistico, Malipiero vive e si compiace.
Ad Asolo, in vista del Grappa, quegli che fu qualificato come il più «internazionale» dei musicisti italiani e uno dei più «moderni» artisti del tempo presente, vive nella casa dove l'Arca ha approdato dopo un viaggio in mari agitati. Vive in compagnia dei grandi spiriti del passato, vicino alla gente umile che ha imparato ad amarlo: vecchi libri (non catalogati) nelle alte scansie, bei mobili e arredi di puro stile veneziano e animali domestici (e non domestici) gli sono attorno. Tra questi particolarmente cari un enigmatico gufo carico d'anni e di saggezza e un gatto di pel rosso, piuttosto schivo e autoritario, al quale Malipiero ha dato il nome di Vivaldi, detto per l'appunto il Prete rosso per le stesse ragioni. Quivi l'equazione personale del musicista trova la sua soluzione perfetta (salvo la lotta; contro i rumori musicali). Solo di tanto in tanto, sul mare calmo e dolce delle colline digradanti verso la pianura, ríafflorano ricordi non gradevoli. Ricordi di un'infanzia e di una adolescenza tristi in una casa distrutta dall'imprevidenza del nonno musicista; di meschine cabale di piccoli uomini; d'incontri e relazioni con coloro ch'egli chiama, ironicamente, amici e dai quali si attendeva comprensione e non ebbe che ingratitudine.
Nella rievocazione, talora l'amarezza trabocca e l'espressione diviene pungente sino al sarcasmo; più spesso, invece, il sentimento della solitudine si nasconde fra le pieghe dellIronia e della celia; Malipiero è maestro in questi rivolti improvvisi che d'un tratto risolvono in tono maggiore le situazioni più eritiche. Ma il senso di distacco e di solitudine interiore rimane ed è proprio in questo mondo senza echi e senza rispondenze che nascono le sue più suggestive imagini musicali, in un isolamento che non'è quello della campana pneumatica di un laboratorio sperimentale ma, piuttosto quello degli alti pianori montani sospesi fra terra e cielo, dove le voci hanno contorni netti e precisi e i timbri il nitore dei colori puri.

Pontresina, 10 agosto 1952.