ARMANDO GENTILUCCI

COMPOSIZIONI PER ORCHESTRA

DI G.F. MALIPIERO

IMPRESSIONI DAL VERO, tre serie (1910, 1915 e 1922) Malipiero si è preoccupato di offrire l'esatta chiave di lettura di queste sue importanti pagine. In merito alla prima serie, del '10, ha scritto: «Queste impressioni rappresentano una reazione contro la musica a programma e contro la musica artificiosamente tematica... E il titolo, nel caso in questione - che una falsa interpretazione potrebbe appunto legare a intendi- menti extramusicali - non rappresenta che un omaggio fatto dal musicista a chi ha saputo evocargli un sentimento e un desiderio di estrinsecazione» (le dediche vanno al «capinero», al «picchio» ed al «chiú», cioè a tre diversi pennuti). Anche alla serie di Impressioni del '15 il compositore dedica alcune parole: «Pure la seconda parte delle Impressioni dal vero non si deve confondere né con la musica a programma né con quella impressionistica. Il Colloquio di campane è uno scampanio che s'è impossessato del musicista... La Baldoria campestre è una vera orgia di suoni, nella quale predomina l'elemento popolaresco e rusticale. Nei cipressi e il vento, il titolo deve servire soltanto a distinguere il secondo tempo dagli altri due.» Mentre per la terza serie, Malipiero dice che le impressioni «rappresentano lo sforzo sostenuto per vincere gli spettri e gli incubi postumi di una tragedia vissuta», con chiaro riferimento alla guerra '15-'18. Estraneo al naturalismo, Malipiero teorizza una disponibilità lirica aperta a tutte le sollecitazioni e considera gli stimoli esterni unicamente nella loro qualità di molle da cui può scattare un certo meccanismo immaginativo che poi approfondisce per suo conto le pieghe riposte dell'interiorità. Con le Impressioni si rende evidente un tratto fondamentale del linguaggio musicale malipieriano. e cioè il rifiuto totale delle forme classiche (sinfonia, ouverture) e descrittive (poema sinfonico), in favore di momenti di grande concentrazione espressiva, secondo un procedimento definito «a pannelli» con cui viene fissata l'emozione, in un susseguirsi di immagini libere da preoccupazioni strutturali estese. Ogni serie è costituita da tre «impressioni».
PAUSE DEL SILENZIO (1917) - Le sette espressioni sinfoniche che costituiscono le Pause del silenzio portato al piú alto grado di indipendenza da remore tradizionali il «frammentismo» malipieriano; il compositore ci racconta che «vennero concepite durante la guerra, quando era piú difficile trovare il silenzio e quando, se si trovava, molto si temeva d'interromperlo, sia pure musicalmente. Appunto per la loro origine tumultuosa» prosegue Malipiero «in esse non si riscontrano né sviluppi tematici, né altri artifici...»
NOTTURNO DI CANTI E BALLI (1951) - Ancora la finta allegrezza di una mascherata notturna e misteriosa, con alternanza di inquiete meditazioni e di giubilanti esplosioni ritmiche già segnate dalla forza corrosiva della negazione, sostenuta sul filo del paradosso. I quattro movimenti alternano due lenti ad altrettanti allegri, e il commovente lirismo arcaicizzante di talune melopee gregorianeggianti non fa che esaltare il suo contrario che immediatamente sopraggiunge a contestarlo nei panni della solita, amara ironia malipieriana.

I CONCERTI PER STRUMENTO SOLISTA E ORCHESTRA

L'assunto virtuosistico che da sempre caratterizza le composizioni per strumento solista e orchestra, in Malipiero manca completamente. Antivirtuosismo dunque: il che non sta affatto a significare che i concerti solistici del veneziano siano di facile esecuzione tecnica, né tantomeno musicale. Soltanto si deve precisare che le difficoltà sono dei tutto incidentali, semplici mezzi funzionali ai fini estetici desiderati e non decorazioni o velleità gladiatorie e spettacolari: nessuna concessione è fatta ad atteggiamenti predisposti per strappare l'applauso, ad uso degli esecutori gigioni e superficiali. Acerrimo nemico del virtuosismo, Malipiero ebbe occasione di spiegare questa sua concezione del concerto solistico quando disse di intendere tale forma come quella in cui una voce particolare si stacca dal contesto per dire qualcosa di assolutamente personale, legato alla voce timbrica e alle disposizioni espressive (unicamente espressive) dello strumento.
Al pianoforte G. F. Malipiero ha dedicato sei Concerti, datati, in successione, 1934, '37, '48, '50, '58, '64. Se il Quinto è il piú virtuosistico, il Secondo, per la stringatezza del discorso, è forse il piú noto. Esso è tra quelli di piú agevole comprensione e i tre tempi sono articolati secondo una precisa, anche se al solito libera, architettura formale, mentre l'orchestra (questo è un procedere tipico di quasi tutti i concerti) è giocata sovente sull'alternanza dei vari strumenti che si coagulano attorno al pianoforte in associazioni timbriche sempre nuove. Di notevole importanza l'ultimo concerto, il sesto, detto «delle macchine», in cui la dimensione dell'angoscia tecnologica stravolge il vitalismo pragmatico a cui parrebbe indurre l'assunto, per svolgere un discorso attivizzato ritmicamente ma livido, che si stabilizza nell'adagio centrale in immagini di notturna solitudine, in freddi timbri.
Oltre a un Concerto per violoncello, e ad un altro per trio, Malipiero ha composto due concerti per violino e orchestra, del quale il Secondo (1963) è il più rilevante. Esso va letto nella prospettiva ultima del tracciato stilistico malipieriano, caratterizzata da una ormai proverbiale instabilità e inquietudine armonica resa ancor piú problematica e significativa dalla graduale acquisizione dello spazio cromatico. Cosí, pur giovandosi di serie dodecafoniche, la materia, la pasta sonora del Secondo Concerto per violino non si configura secondo il principio dell'unicità della serie fondamentale, e cioè subito si rivela estranea alla visione strutturalistica. Come sempre nel veneziano è la fantasia a far prevalere i suoi diritti sovrani. Passaggi ultracromatici ci accade di incontrarli e vederli ergersi nel bel mezzo di paesaggi sonori ancora di chiaro sapore diatonico. Articolato nei tre tempi consueti, (Allegro, Non troppo lento, Alquanto mosso), il Concerto trova forse il suo culmine nell'introspettiva cupezza del movimento centrale; ma anche dove il discorso parrebbe inclinare al brillante non si tarda ad accorgersi di come l'invenzione pulsi essenzialmente verso immagini malinconiche. Significativo, a questo proposito, il dissolvente finale.
I DIALOGHI (1956-57) Con il titolo Dialoghi dato alle otto composizioni per vari strumenti che portano tale nome e che sono realizzate con un organico mobile che va dal brano cameristico a quello sinfonico, Malipiero ha indicato un fare raccolto, ha inteso sottolineare un che di intimo, colloquiale, addirittura introverso. Il primo Dialogo, per piccola orchestra, è dedicato alla memoria di Manuel De Falla ed esprime assai bene un mesto sentimento dì dolore per la scomparsa del musicista spagnolo; il secondo è invece per due pianoforti, mentre nel terzo (Dialogo con Jacopone da Todi) ai due strumenti a tastiera si aggiunge una voce; il quarto ha un sottotitolo gustoso, inconfondibilmente malipieriano: «per cinque strumenti a perdifiato»; il quinto («quasi concerto»), per viola e orchestra, è in realtà un Concerto in piena regola. A dire il vero non è sempre chiara la ragione per cui Malipiero giunga a differenziare nel titolo i Dialoghi per solisti o orchestra dai Concerti: evidentemente si tratta di distinzione tutta interiore e non formale. Gli ultimi due Dialoghi, rispettivamente per clavicembalo e per due pianoforti e orchestra, sono, come il precedente, in tre tempi, risentono della dialogicità flessuosa e ornamentale del «concerto grosso» e sono ricchi di originali apporti armonici.