MARIA SIMONE MONGIARDINO

GIULIO CESARE
DI G. F. MALIPIERO

Opera in tre atti e sette quadri su libretto del compositore, dall'omonima tragedia di Shakespeare. Prima rappresentazione: Genova, Teatro Carlo Felice, 8 febbraio 1936. Interpreti: Giovanni Inghilleri, Ettore Parmeggiani, Alessandro Dolci, Apollo Granforte, Gino Vanelli, Sara Scuderi, Maria Pedrini. Direttore: Angelo Questa.
I PERSONAGGI. Un tribuno (baritono); primo cittadino (baritono); Cesare (baritono); Calpurnia (soprano); Marco Antonio (tenore); Bruto (baritono); Cassio (baritono); Casca (tenore); Decio (basso); Cinna, il cospiratore (tenore); Cinna, il poeta (tenore); l'indovino (baritono); Lucio, servo di Bruto (tenore); Porzia, moglie di Bruto (soprano); Ligario (tenore); un servo di Cesare (baritono); Metello Cimbro (baritono); primo cittadino (baritono); secondo cittadino (baritono); terzo cittadino (tenore); Ottaviano (tenore); il messaggero (baritono); Pindaro (tenore); Volumnio (baritono); Stratone (basso). Cittadini, popolo e soldati (cori interni).
LA TRAMA. Atto primo. In una strada di Roma, Cesare, seguito da un corteo, si reca alla celebrazione dei Lupercali. Un indovino gli si avvicina e lo avverte di guardarsi dalle Idi di Marzo. Bruto, Cassio e Casca commentano le acclamazioni della folla ed esprimono il loro timore che a Cesare venga offerta la corona imperiale. Durante la notte i tre, riuniti nel giardino di Bruto insieme ad altri congiurati, continuano ad esprimere il loro timore riguardo il pericolo che rappresenta la popolarità di Cesare per la sicurezza della Repubblica. Porzia, moglie di Bruto, prega il marito di non tenerla all'oscuro di quanto sta succedendo. Atto secondo, scena prima. Intanto, nel palazzo di Cesare, la moglie Calpurnia ha fatto sogni premonitori che l'hanno messa in grande agitazione. Essa scongiura il marito di non uscire, dal momento che anche il responso degli auguri durante i sacrifici propiziatori è stato sfavorevole. Cesare decide di rimanere a casa, ma quando Bruto, Cassio e gli altri congiurati si recano da lui, teme di essere accusato di vigliaccheria e va con loro. Scena seconda. Nella sala del Senato in Campidoglio, i congiurati hanno stabilito che sia Casca a colpire per primo Cesare. Metello Cimbro si prostra davanti a Cesare per chiedere la grazia per il fratello in esilio. Cesare rimane impassibile e Casca lo colpisce al collo con una pugnalata: anche gli altri congiurati gli sono subito addosso. Bruto è l'ultimo a colpire e Cesare cade ai piedi della statua di Pompeo. Antonio è pronto a cadere anch'egli per mano dei congiurati, ma questi gli dichiarano che hanno intenzione di risparmiarlo. Egli stringe loro la mano, poi chiede perdono alla memoria di Cesare, per esser dovuto scendere a patti con i suoi assassini. Chiede a Bruto il permesso di dare degna sepoltura a Cesare e di parlare con il popolo. Atto terzo, scena prima. Nel Foro si svolgono i funerali di Cesare. Bruto prende la parola per primo e spiega al popolo le ragioni per cui è stato costretto a uccidere Cesare. Quando la parola tocca ad Antonio, egli sa abilmente manovrare i sentimenti della folla, e quando annuncia il testamento di Cesare con cui egli ha disposto che tutti i suoi averi vadano al popolo, è tutto un prorompere di invettive contro i congiurati. Intanto in una strada alcuni cittadini, incontrato il poeta Cinna e scambiatolo per l'omonimia con un cospiratore, lo inseguono per ucciderlo. Scena seconda. Nel campo di battaglia sono di fronte le forze avverse che stanno per scontrarsi; da una parte Ottaviano e Antonio, dall'altra Bruto e Cassio. La battaglia ha inizio. Appare Cassio seguito da Pindaro; a costui egli chiede di salire sulla collina per dominare la situazione e dargli notizie. Pindaro accetta e dall'alto, vedendo Bruto circondato, lo crede prigioniero. Cassio non sopporta l'idea della sconfitta e si uccide; altrettanto farà Bruto. Le truppe di Antonio e Ottaviano vittoriose inneggiano alla grandezza di Roma.
Con Giulio Cesare Malipiero ha scoperto l'esigenza di nuove forme musicali, lontane dalle composizioni «a pannelli» e capaci di articolare un discorso continuo, mutevole e tuttavia logico nel suo ininterrotto fluire. È il periodo che Malipiero stesso chiamò una «parentesi lirica». Esso va dal 1935 la 1941 e, coincidendo con una stagione di oscurantismo culturale della società italiana, è pro~ babile che il maestro volesse esporsi il meno possibile alle occasioni di una polemica.