MARIO LABROCA


PRIMO INCONTRO CON PIZZETTI

L'USIGNOLO DI BOBOLI
CINQUANT'ANNI ANNI
DI VITA MUSICALE ITALIANA

pp. 57-60

Cosa accadde della musica durante la guerra? Non lo so che per sentito dire: forse qualche cosa importante, della quale tuttavia non posso fare testimonianza; tutto sommato anche la vita musicale si era adattata alle tragiche circostanze e sonnecchiò: i pochi liberi dal servizio militare si dettero da fare per assicurare la sopravvivenza delle istituzioni musicali più importanti le quali, alla fine della guerra, erano ancora tutte in piedi. Come me la passai? Non ha importanza: la guerra la feci tutta, fui anche prigioniero per sedici mesi e fu la musica a sostenermi e a fare da orizzonte alle mie speranze. Ti dirò, anzi, che proprio durante la prigionia nacque la possibilità preziosa dei miei primi incontri con due personalità del mondo musicale. Nel campo di Theresienstadt in Boemia ebbi la fortuna di incontrare lo Scrittore Cesare Vico Lodovici e il maestro Enrico Casali; con il primo mi legai di una amicizia che la vita ha sempre più rinforzato; con il secondo collaborai ad organizzare nel campo di concentramento quel po' di vita musicale che si poteva, mettendo insieme un'orchestrina con i pochi ufficiali che sapevano strimpellare uno strumento, orchestrina che Casali dirigeva. Casali era stato allievo di Pizzetti, era diplomato in composizione, ammiratore del maestro; Lodovici, che aveva vissuto a Milano prima della guerra, nel pieno della nuova scapigliatura milanese, era amico di Malipiero e di Bontempelli, scrittore allora già noto e appassionato di musica.
Con Lodovici e Casali passavo quasi tutte le ore della giornata, e per mezzo loro imparai a conoscere meglio i due musicisti che mi diventarono in tal modo familiari: non che essi mi fossero sconosciuti, ché anzi fino allora avevo solo tentato di sapere chi fossero, almeno biograficamente, poco conoscendo la loro musica; e, da Lodovici e Casali, seppi cose della loro vita e delle loro idee che fecero più vivo il desiderio di avvicinarli non appena la vita avesse ripreso a correre normalmente. Di Pizzetti poi avevo sentito parlare molto prima della guerra perché collaboratore di D'Annunzio nella «Nave» e nella «Pisanella», e per via della sua «Fedra» (anche essa tratta dalla tragedia di D'Annunzio) che era stata rappresentata alla Scala sotto la direzione di Gìno Marinuzzi nel 1914, rivelandosi opera di una concezione assolutamente nuova, sicché quella «prima» diede luogo a discussioni e polemiche; ti giuro che avrei fatto l'impossibile per andare a Milano anch'io fra i tanti che si mossero per quella novità, ma allora, per me, un viaggio di tal genere poteva paragonarsi a quelli che si progettano oggi per la Luna, e fu già gran miracolo se a furia di insistere e di chiedere, riuscii a trarre da mia madre le cinque lire che costava lo spartito.
Ragion per cui «Fedra» già la conoscevo: lo spartito me lo feci spedire in prigionia dove con Casali lo studiammo bene: perciò quando tornai alla libertà ero già nel cerchio degli ammiratori di Pizzetti. Casali lo perdetti di vista subito dopo la guerra ed ho saputo che è scomparso molti anni or sono. Prima di separarci, a liberazione avvenuta, mi assicurai che i nostri lunghi discorsi non sarebbero rimasti lettera morta e che sarei stato presentato ai due musicisti. Finita la guerra non era finito il servizio militare ed io mi trovavo ad Arezzo di guarnigione: Firenze non era lontana, e possibile era ottenere un permesso: così un giorno, eravamo nel 1919, vincendo la mia timidezza, fornito di una lettera di presentazione di Casali, bussai alla porta di Pizzetti che abitava in via dei Serragli. Ricordo quella casa, ricordo Maria Teresa e Bruno ragazzetti e ricordo il lungo colloquio con il maestro. Fu il primo contatto con la realtà musicale, il primo accenno ai problemi che ancora oggi agitano il nostro mondo: la guerra era passata e tutti sentivamo che qualche cosa era già profondamente mutato tutto intorno a noi. I giovani che tornavano non avevano più le abitudini dei padri, i richiamati anziani stentavano a farsi riconoscere dai familiari che se li videro tornare a casa diversi da come erano partiti: soprattutto si fece più forte il bisogno di conoscere di più, di conoscere meglio; l'orizzonte di casa era troppo ristretto, ci voleva dell'altro.
Come contentarci, noi della musica, della ennesima edizione della «Traviata» quando sapevamo che opere nuove urgevano alle porte dei teatri? Come contentarci dei soli concerti dell'Augusteo e di quelli sporadici di altre città quando tanto nuovo Pubblico era a disposizione per riempire nuove sale da concerti di altre città? Pizzetti mi appariva non solo il compositore che portava nella musica uno spirito nuovo, ma anche l'animatore che partiva da una base etica per rinnovare quella che potremmo dire la morale della nostra vita. Compresi da quel colloquio che non dovevamo più contentarci o di scrivere musica o di dirigere o di suonare; noi musicisti avevamo anche il dovere di imporre il nostro punto di vista, di rimboccarci le maniche e di lavorare con tutti i mezzi perché l'attività musicale venisse estesa e migliorata; non dovevamo più permettere che fossero gli altri a regolare le nostre cose, ma dovevamo essere noi stessi a dirigerle.
«Voi giovani» egli disse, e non so perché tra i giovani non si mettesse anche lui, «avete compiti ben più gravi; dovete avvertire in che modo il mondo cambia, ma non dovete assistere passivi al cambiamento; dovete, dove possibile, farvi valere, ribattere le argomentazioni dei cattivi impresari e dei cattivi critici, far comprendere che non è più lecito tener dietro soltanto agli interessi materiali ma che quando si assume l'impegno dello spettacolo bisogna rispettare le ragioni dell'arte; far sentire ai critici che è loro dovere illustrare a fondo i caratteri delle opere che il pubblico ascolta; giudicare è facile, illustrare richiede competenza, perciò anche la critica deve andare nelle mani di musicisti onesti. Contemplare va bene, ma anche agire.»
Non furono queste esattamente le sue parole, nemmeno questo il tono. Pizzetti parlava pacato, ma spesso nella sua voce correva un che di deciso e di persuasivo che mi impressionò. Il mondo musicale che avevo contemplato dal loggione dell'Augusteo e dal palcoscenico del Costanzi nelle vesti di comparsa, mi si rivelò un mondo del quale non dovevamo contentarci di essere spettatori; no, lì dentro dovevamo proprio entrare e agire. Mi sentii per la prima volta come chi deve rifarsi tutto, da capo a piedi. I miti della notorietà e dell'importanza ci si frantumavano sotto gli occhi: dovevamo guardare, illustrare, agire; non più contentarci di quanto il piccolo mercato ci offriva; avremmo dovuto avvicinarci a nuovi paesi, a nuove opere, e assicurarci i mezzi per i viaggi di esplorazione. Da quella visita uscii pensoso, ed a ragione: a Pizzetti non l'ho mai detto, ma il senso delle sue parole ha certamente contribuito a dare un indirizzo alla mia vita.