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Il Convegno di studi sulla«generazione dell'80»tenuto dal 9 all'11 maggio 1980 a Firenze in Palazzo Strozzi, e organizzato da Gabinetto G. P. Vieusseux in collaborazione con il Comune di Firenze, nacque per iniziativa di Alessandro Bonsanti, i cui interesse per la musica, come tutti ricordano hanno una lunga storia lasciandosi ricondurre al vivace dibattito culturale che prese vita sulle pagine «Letteratura» e proseguì nel'immediato dopoguerra su «Il mondo» (Poi «Il Mondo europeo») di Firenze.
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I lavori della Commissione scientifica presieduta da Roman Vlad, cui prestò un assiduo contributo Fedele d'Amico, portarono dopo ampie valutazioni sui limiti cronologici da rispettare - intesi, alla fine, in senso molto elastico - e sui protagonisti da trattare, alla scelta di un certo numero di temi che, pur non esaurendo l'argomento, si pongono come premessa necessaria a un bilancio critico níent'affatto trionfalistico, ma il più possibile documentato di questa particolare stagione della musica italiana primonovecentesca.
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L'idea di questo Convegno il cui scopo era mettere a fuoco problemi, riforme, legate a quel gruppo di musicisti che si riconoscono nella comprensiva etichetta coniata da Massimo Mila - «generazione deII'80», appunto - musicisti andrà sottolineato, personalmente conosciuti da Bonsanti, anche grazie alla preziosa mediazione degli amici Dallapiccola e Petrassi, giungeva tempestiva per la celebrazione del loro centenario.
Come mai Firenze? Al di là di alcuni precisi richiami che il Convegno ha cercato di far emergere - si citano a questo proposito le relazioni di Leonardo Pinzauti su Torrefranca a Firenze, la singolare apertura europeistica dei fiorentino Bastianelli trattato da Marcello de Angelis, oppure gli anni della formazione di Pizzetti e i contatti con l'ambiente vociano studiati da Piero Santi -, la scelta di questa città finiva in un certo senso per compensare l'esile ossatura musicale esibita nel periodo che ci riguarda e i rari punti di contatto stabiliti con essa dai musicisti presi in esame, tranne i casi sopra ricordati e avvenimenti come il Maggio musicale fiorentino che con Guido M. Gatti e Vittorio Gui prima, con Mario Labroca più tardi, divenne polo d'attrazione dei più stabili per questa generazione.
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Accanto ai saggi più specificamente monografici di Massimo Bruni (Alfano), John C. G. Waterhouse (Casella), Sergio Martinotti e Maurizio Modugno (Respighi), Leonardo Pinzauti (Torrefranca), Marcello de Angelis (Bastianelli), Massimo Mila (Bontempelli musicografo), Luigí Pestolozza (Malipiero), Piero Santi (Pizzetti), fu ritenuto necessario un inquadramento storico-culturale che ripercorresse i legami - molto stretti, come viene dimostrato - fra musica, cultura letteraria e arti figurative: due ricostruzioni affidate rispettivamente a Giorgio Petrocchi per la parte letteraria e a Carlo Belli per i rapporti con pittura, scultura e architettura. Un capitolo a sé, data l'estensione e le sottili diramazioni lungo percorsi musicali assai differenziati, è stato invece dedicato da Gioacchino Lanza Tomasi al gusto musicale di D'Annunzio e al dannunzianesimo musicale.
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Sempre sulla linea di un esame a largo raggio dell'attività svolta dalla «generazione dell'80» - formata, com'è noto, non solo di musicisti, ma di critici musicali, saggisti, musicologi, operatori musicali in senso lato -, si è proceduto ad assegnare altri campi di ricerca. A Giorgio Pestelli l'indagine sul retroterra degli studi musicologici - punto di raccordo fra teoria e prassi in un'epoca segnata da forti appetiti necrofili - e, studio in un certo senso a questo complementare, quello svolto da Francesco Degrada sulla diversa assunzione del concetto di antico e sui processi di mitizzazione in atto. E mentre Guido Salvetti rivolge la sua attenzione alla critica musicale del tempo e all'attività svolta in questo settore da alcuni compositori (Pizzetti, Malipiero, Casella), Ariella Lanfranchi e Piero Rattalino privilegiano rispettivamente la musica italiana di balletto e le peculiarità linguistiche della musica per pianoforte.
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Intorno ai problemi organizzativi, di costume, di prassi d'ascolto, si sono invece incentrate le relazioni di Fiamma Nicolodi relativa ai festivals tra le due guerre e di Raoul Meloncelli sul rinnovamento della vita musicale romana nel primo trentennio del secolo.
Dopo la premessa di Roman Vlad sulla situazione storica in cui questa generazione si trovò a operare, fianco a fianco con musicisti anagraficamente contemporanei ma indirizzati su strade diverse - per quanto gli stessi «ottantenni» come sarà a più riprese ribadito, deludono le attese di un gruppo compatto e omogeneo -, significato di particolare interesse acquista la relazione di Luciano Berio che sintetizza con lucida e impietosa oggettività la posizione del musicista contemporaneo di fronte a questo «mondo di ieri».
Un'altra testimonianza, ma di segno contrario, giunge da Domenico de' Paoli che, quasi cinquant'anni dopo la pubblicazione del suo fortunato volume dedicato alta musica e ai musicisti del primo '900 (La crisi musicale italiana, Milano 1939), può ancora rievocare con perfetta chiarezza consigli, episodi, avvenimenti, giudizi raccolti dalla viva voce dei protagonisti di quel tempo lontano. |
Ventidue relazioni, dunque, che si pubblicano nel medesimo ordine in cui furono presentate nelle tre dense giornate di lavori a Palazzo Strozzi, alle quali dovranno essere aggiunti alcuni brillanti ed estemporanei interventi di Goffredo Petrassi (sul problema del nazionalismo musicale), di Emilia Zanetti (la riscoperta dell'antico già nell'800 e nel primo '900), di Cesare Orselli (Malipiero e La favola del figlio cambiato; intervento qui offerto nella successiva stesura approntata dall'autore), di Piero Santi che ha avviato un dibattito particolarmente stimolante sui condizionamenti ideologici impliciti nell'assunzione acritica di un'etichetta - come tale - di comodo e sui risvolti socio-economici che si celano dietro alle mosse operative e al pensiero critico di questa generazione. [...] |
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