ARMANDO GENTILUCCI

ILDEBRANDO PIZZETTI
RITRATTO E OPERE PRINCIPALI

GUIDA ALL'ASCOLTO
DELLA MUSICA CONTEMPORANEA


FELTRINELLI
12,91 Euro

Presentazione di 105 profili di compositori italiani e stranieri che vanno da Mahler e Debussy alle più recenti avanguardie. Un'introduzione traccia lo schema delle principali vicende svoltesi nel '900 in campo musicale.

Il problema centrale fu per Pizzetti quello del «dramma» da contrapporre all'opera lirica a lui piú vicina (post-verdiana e verista) recuperando il recitativo fiorentino e romano dei primi melodrammi cinque-seicenteschi e l'arioso monteverdiano, la cura meticolosa nell'aderenza del canto alla parola e ai suoi significati. Oltre a questo il musicista parmense studiò accuratamente la polifonia classica piú severa, sostanziandone il suo linguaggio chiaro e spontaneo, radicato nel diatonismo, ferocemente avverso ad ogni ipercromatismo, ad ogni eversione nei confronti della tonalità istituzionalizzata (e fu il limite forse maggiore della sua esperienza).
È per esempio molto significativo vedere come Pizzetti accolse il Pelléas debussyano in un saggio critico del 1908 destinato a fissarsi come manifesto di personale poetica. Egli si compiace di rilevare anzitutto il fatto che nell'arte dei «popoli latini» vada scomparendo il vezzo di imitate il wagnerismo tedesco, mentre lamenta per altro verso la non abbastanza efficace espressione canora dei personaggi, che secondo lui raramente aggiunge qualcosa alla parola nuda. Qui c'è da fare attenzione, perché Pizzetti, sebbene non accetti che parzialmente la problematica declamazione del Pelléas, è poi in pieno accordo con la visione fantastica di Maeterlinck, e respinge gli appunti mossi da piú parti ai personaggi della «rivoluzionaria» opera di Debussy, ritenuti poco realistici: «verissimo ma è appunto per questa ragione che essi possono commuoverci così profondamente come pochissimi altri.»
Assistiamo alla fase piú delicata di una lotta su piú fronti. Scontata quella contro il verismo e il tipo di tradizione incarnato dalla «giovane scuola», da una parte Pizzetti rifiuta la tradizione tedesca che già si sta avviando alla completa corrosione cromatica, dall'altra mantiene una certa sospettosità anche nei confronti di una stupefazione impressionista che, prendendo motivazione delle sue reali ragioni di fondo, non vuole né può assumere toni affermativi. Conformemente alle diffuse esigenze del momento storico italiano nei primi decenni del secolo, Pizzetti mira a «nazionalizzare», a normalizzare ottimisticamente le imprese d'oltralpe, secondo quanto vuole l'immagine retorica della positività mediterranea. La generazione dell'80 (escluso G. F. Malipiero, per il quale occorre un discorso particolarissimo) non intendeva affatto distruggere il nazionalismo (che nel secolo precedente si identificava con l'assoluta priorità concessa al melodramma come genere italiano per eccellenza) ma piuttosto dar vita a un nuovo nazionalismo, di élites, ritenuto meno provinciale, che non rinunciasse a fare oggetto di studio i prodotti della musica straniera (impressionismo, arcaismo, ecc.) allo scopo di rientrare in un circuito piú vasto.
Ildebrando Pizzetti risolve il personale problema creativo allargando le maglie della vocalità debussyana in una configurazione piú plastica e meglio disposta alla potenzialità dialogica, aiutato in ciò dal ricorso agli antichi modi gregoriani assunti col proposito di salvare, rinnovandole, le strutture linguistiche diatoniche, con l'ausilio inoltre di una esperta scrittura delle parti coràli. Come sintetizza Massimo Mila, «in un certo senso l'opera di Pizzetti è tutta un'evasione dalla vita, e una libera costruzione fantastica di un'altra vita, in un mondo che scaturisce dal contrasto, tutto ideale e stilizzato, tra passioni umane e leggi morali.» Un'arte dunque che marcia di conserva alle aspirazioni della classe egemone anche se poi tende a trascenderne spiritualisticarnente i piú immediati interessi.
Diversamente da Casella, allineato su posizioni nazionalistiche in contatto però con i portati tecnico-formali dell'«internazionale» neoclassica, o da Gian Francesco Malipiero, sempre in movimento alla ricerca di vie nuove malgrado la fedeltà ad una precisa poetica, da molti decenni Pizzetti ha finito per ripetere se stesso, con una coerenza inappuntabile ma che lo ha isolato dalle correnti vive della musica europea.
OPERE TEATRALI
FEDRA, tre atti di G. D'Annunzio (1915) - La tragedia dannunziana, ennesima riproposizione del mito di Fedra, ci fornisce del poeta pescarese un'immagine meno declamatoria del solito, e certamente la levigatezza malinconica della quale si sostanzia il testo, benissimo si adatta al temperamento musicale di Pizzetti, alla sua ricerca di un ritino musicale di recitazione radicato nel gregoriano, arcaicizzante, spoglio e suggestivo.
Il canto sommesso configura un clima intimistico per taluni aspetti non piú ripreso dal,musicista nelle opere successive, nelle quali pure verrà attuato completamente il tipo di rapporto tra parola e musica teorizzato in precedenza in numerosi scritti. Tra le pagine piú famose, dove il gusto per l'affresco culturalisticamente assaporato cede ad una nobiltà espressiva autentica, è la Trenodia (canto funebre) per coro a otto voci: il doloroso compianto per la dipartita di Ippolito trova accenti che dovettero risultare, in pieno periodo di infatuazione verista, assolutamente inediti.
DEBORA E JAELE, 3 atti su libretto proprio (1922) - La scelta di un soggetto biblico corrisponde perfettamente alle esigenze culturali, drammatiche e perciò musicali di Pizzetti, in quanto gli consente di rifarsi ad un mondo lontano, privo di una forza realistica vincolante fuori del raggio d'azione di situazioni umane rappresentate in tutta la loro ruvida concretezza. La vicenda della profetessa Dèbora, simbolo dell'astrattezza forte e spietata della legge divina, di Jaéle, l'innamorata dolce e profondamente «terrena», di Sisera, guerriero che antepone l'affetto all'orgoglio e al desiderio di vittoria e di gloria dell'uomo d'arme, è calata in un'esperienza musicale che elimina gli accessi sgargianti del «gesto» canoro caro ai veristi, ma non per questo rifiuta la suggestione compiaciuta quale deus ex machina della situazione drammatico-musicale. Certamente è una suggestione piú intessuta di stimoli culturali e culturalistici, che evita con ogni mezzo la cristallizzazione delle forme chiuse o gli sfoghi puramente musicali, e che trova i momenti migliori negli incontri di Jaéle e Sisera e nei proverbiali «cori».
FRA' GHERARDO, 3 atti su libretto proprio (1928) - Alla base della moralistica visione drammatica di Pizzetti è il conflitto tra male e bene, tra colpa e amore, ed il risultato a cui tale contrasto approda è naturalmente la catarsi. Il materiale archeologico stimola il compositore a tutti i livelli, e anche in Fra' Gherardo, a partire dalla sostanza narrativa fino alle strutture programmatiche e alla configurazione musicale, esso gioca un ruolo primario. L'azione viene ambientata nell'«oscuro e tetro» medioevo, in una città ricca di storia (Parma), immersa in una condizione morale sempre sul punto di travalicare i limiti della superstizione piú nera e delirante. Il tessitore Gherardo dona ai poveri tutto ciò che ha e fa voto di castità, ma presto i sensi riprendono tumultuosamente il sopravvento e dall'amore con Mariola nasce un bimbo, ripudiato insieme alla madre. Questo momento segna una svolta nella vita di Gherardo, il quale senza una sicura guida si butta a capofitto in ogni avventura, compie addirittura il nobile gesto di capitanare il popolo oppresso e sfruttato alla rivolta, finendo incarcerato. A questo punto l'amore di Mariola, che è sopravvissuto alle terribili prove della vita e alla morte del figlioletto, ha un ritorno di fiamma: Gherardo è stravolto dai rimorsi, ma la donna coraggiosamente incita il popolo alla rivolta e alla liberazione del suo ex amante; inutilmente: convinto dai carcerieri ad abiurare la sua fede e a proclamarsi eretico per salvare Mariola, che gli viene fatto credere sia anch'essa incarcerata, egli apprende la verità e l'inganno mentre sta per essere condotto al patibolo. Mentre la donna che ama cade sotto i colpi di pugnale, Gherardo accetta il supplizio. Le sue ultime, disperate parole, sono di perdono.
La dimensione lirica, quali che siano i programmi estetici di Pizzetti, è quella maggiormente posta in evidenza, principalmente nei due duetti tra Gherardo e Mariola e nella vasta scena finale. Tra le altre pagine da citare, in quanto luoghi tipici dell'espressività pizzettiana, è la Lauda dei Flagellanti, del secondo atto.
ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE, 2 atti su libretto proprio da Eliot (1958) - Ancora le suggestioni arcaiche in questo lavoro del Pizzetti tardo: sia la struttura che lo spirito presentano analogie evidenti con le Sacre Rappresentazioni e con le forme oratoriali in genere. Senza piú lasciarsi prevaricare da preconcetti teorici limitativi e il piú delle volte velleitari, il settantottenne compositore parmense offre nell'Assassinio una delle sue prove migliori. La materia drammatica di Eliot, ricca di contenuti simbolici, alimenta la problematica morale che per Pizzetti è di sempre, ma all'atto pratico conta sempre piú l'atmosfera in cui la vicenda viene calata che non la funzionalità drammatica e la rispondenza agli scopi ideologici. Di dramma non è lecito parlare, almeno nell'accezione su cui Pizzetti ha teorizzato lungamente: nello stesso lavoro teatrale Eliot ha fatto piú opera di poesia, incentrando ogni responsabilità scenica sull'unico protagonista, il cardinale di Canterbury Tommaso Becket, mentre le altre figure dialogano con lui ma da una posizione subordinata, riuniti in gruppi corali: i tre preti, rappresentanti del clero; le tre donne, rappresentanti il popolo; e poi ancora i quattro tentatori e i quattro cavalieri intenzionati ad assassinare il supremo prelato. L'opera pizzettiana è percorsa dai consueti recitativi salmodianti, dove la melodia tende a smaterializzarsi in terse quanto -amorfe atmosfere, ma allorché interviene un dato drammatico effettivamente operante, la musica non si lascia sfuggire l'occasione per istituire, al di là della ieratica solennità, una piú plastica e partecipata strutturazione. Gli interlocutori, che non addivengono mai ad una autentica parità dialettica con la figura dell'unico personaggio, accertabile come tale, sono incarnati, musicalmente, dalle sezioni corali, mentre la materia armonica si mantiene lontana dagli sviluppi estremi del cromatismo, e si riallaccia all'arcaismo originario di Pizzetti, frammisto a riporti di origine impressionistica (debussyana) e a saltuarie espansioni tardoromantiche, a reminiscenze wagneriane.
COMPOSIZIONI
PER ORCHESTRA, ANCHE CON SOLISTI
CONCERTO DELL'ESTATE, per orchestra (1928) - Nell'ambito della produzione sinfonica pizzettiana, limitata a pochi numeri d'opera, il Concerto dell'estate spicca per la disinvoltura discorsiva e la libertà strutturale, ed inoltre per l'affiorare di un tratto inconsueto nel compositore parmense: il colorismo dell'orchestra, talvolta perfino lussureggiante, respighiano. Resta inteso che la ricerca di sonorità fastose non sposta di un millimetro la problematica linguistica: si può dire che non vi sia quasi intervallo che non risulti rigorosamente diatonico, articolato sulla base degli antichi modi. Il primo tempo, «Mattutino», è il piú fresco e spontaneo anche per la resa efficientissima della strumentazione. Nel secondo i tratti rimarchevoli stanno nell'opposizione di strumenti che si levano solisticamente contrapponendosi al resto dell'orchestra: si veda, a questo proposito, il gioco dei melismi flautistici, nella parte centrale. Nel terzo tempo, «Gagliarda e Finale», prevale l'elemento ritmico di danza, e l'arcaismo si fissa come sigla armonica definitiva.
CANTI DELLA STAGIONE ALTA, concerto per pianoforte e orchestra (1930) - Il titolo dannunziano conduce al centro dell'immaginazione pizzettiana al principio degli «anni '30,» a quella sorta, cioè, di nuovo romanticismo naturalista che non si propone piú di evitare, o celare, il sovraccarico delle figure decorative, degli ornamenti sonori: i pudori sono ormai sciolti, e la vena lirica del musicista può distendersi liberamente, conservando il compiaciuto gusto per le movenze arcaiche. I Canti, che in tutto e per tutto costituiscono un vero e proprio Concerto, si articolano sui tre tempi consueti, con l'Adagio nella parte centrale. Singolare però la struttura interna del movimento conclusivo, che termina con un largo a seguito di episodi vari e non sempre saldamente cementati.
SINFONIA IN LA (1940) - La linea costruttiva della Sinfonia punta in modo autonomo verso i suoi scopi espressivi, eliminando il sovraccarico ornamentale del Concerto dell'estate e dei Canti della stagione alta; la realizzazione presuppone una concezione delle forme musicali e dei contorni melodici e armonici assolutamente determinata e non estenuata coloristicamente. Questo nuovo sintetismo di Pizzetti, non porta affatto come conseguenza l'aridità e il puro calcolo, ma anzi il contrario. La corposa sostanza del disegno conduce verso un drammatismo accentuato, sorretto da effusive parabole di tumultuoso lirismo. I tempi sono quattro: «Andante-Concitato», «Andante tranquillo», «Rapido», «Andante faticoso e pesante-Movimento di Marcia.»
COMPOSIZIONI DA CAMERA
TRE SONETTI DEL PETRARCA, per voce e pianoforte (1922) - I tre sonetti, «La vita fugge e non s'arresta un'ora», «Quel rosignol che si soave piagne», e «Levommi il mio pensier in parte ov'era», appartengono al filone intimo dell'ispirazione del musicista e non a caso i testi petrarcheschi inclinano all'elegia, al rimpianto per la morte di Laura. Le prime due liriche denunciano i persistenti legami con l'impressionismo e con il postromanticismo, e si sostanziano di un libero alternarsi di movenze diatoniche e cromatiche con funzione di reciproca ombreggiatura; la terza, invece, tende a superare il lirismo crepuscolare attraverso atteggiamenti espressivi nettamente influenzati dall'arioso monteverdiano. Tra gli aspetti significativi va annoverata la consueta cura nel perseguire la meticolosa aderenza della musica alla parola.
TRE CANZONI, per voce e quartetto d'archi (1926) - Le Canzoni sono composte su tre testi popolari italiani: Donna lombarda, La prigioniera, La pesca dell'anello. Il clima culturalistico determina la struttura linguistico-musicale, volta a stilizzare quanto di pittoresco permane nell'antica musica popolaresca senza discostarsene molto per quanto concerne la selezione del materiale melodico e armonico usato. Interessante la scrittura del quartetto strumentale: anziché fungere da semplice sfondo, o accompagnamento, i quattro archi si uniscono strettamente alla voce, liberamente ricollegandosi all'idea isoritmica che informava la musica dotta rinascimentale allorché assumeva modi propri della tradizione popolaresca.
TRIO IN LA per pianoforte, violino e violoncello (1925) - Si ha qui un esempio tra i piú tipici del gusto pizzettiano per la levigatezza armonica, per l'aerea condotto delle linee sonore e insieme per il lirismo. L'effusione melodica si fa scopertissima e i tre tempi in cui il Trio si articola, lungi dal seguire gli schemi della forma-sonata, assumono internamente un aspetto rapsodico, di libero fantasticare.
QUARTETTO IN RE per archi (1933) - Si può tranquillamente affermare che il Quartetto in re sta al precedente Trio come, in campo sinfonico, la Sinfonia del 1940 sta ai Canti della stagione alta. Il sentimentalismo, il sensualismo cedono ad una piú ferma figurazione, ad una strutturazione più salda. La costruzione è libera da reminiscenze e da scorie naturalistiche e prosegue per la sua strada sorretta dagli autonomi impulsi del linguaggio musicale, senza che per questo la materia risulti raffreddata. Dei quattro tempi («Assai mosso», «Adagio», «Scherzo», «Finale») l'ultimo è quello maggiormente elaborato costruttivamente, coerente nella stesura e al tempo stesso denso di interni capovolgimenti, di concitate iterazioni.