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LAURETO RODONI
UN RITRATTO DI G. F. MALIPIERO
con una lettera inedita ad Adriano
Lualdi
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In questi ultimi due anni il
mio Archivio, incentrato sulla figura cosmopolita di Ferruccio
Busoni, si è arricchito di una quarantina di lettere di G. F.
Malipiero (Venezia 1882 - Treviso 1973), con cui Busoni ebbe
sporadici contatti. Nell'articolo che segue ho cercato di redigere un
ritratto umano del grande musicista veneto basandomi soprattutto su
documenti in mio possesso. Una lettera indirizzata ad Adriano
Lualdi è riprodotta integralmente nel corso
dell'esposizione. Di altre sono citate spezzoni.
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Di animo inquieto [1], scorbutico e pessimista [2], diffidente [3] e solitario [4], caustico [5] e impietoso [6], Gian Francesco Malipiero si fece molti
nemici [7] nel corso della sua
lunga vita: «Cerco di rimanere fuori dal mondo musicale
perché senza volere, distrattamente, leggo sulla faccia di
quelli che vi appartengono, l'ostilità che ispiro: essi
indovinano tutto ciò che io devo pensare sulla loro
personalità. Il mio silenzio non mi
salva,» scrisse con pungente ironia in un libro di memorie.
[8] |
Nel 1921 si incrinarono i
rapporti anche con Ildebrando Pizzetti, esponente come lui della
cosiddetta 'generazione dell'80'. Non
si trattò soltanto di una polemica attorno a fatti musicali,
[9] come sosteneva Pizzetti. Secondo Malipiero «l'attacco
pizzettiano» fu invece «tutto personale»:
«Voi [10] non sapete quante
noie egli mi abbia procurate, soprattutto a Parma, [11] ove egli ha voluto dare un'arma in
mano a un suo amico (credo massone come lui) per fare campagne contro
di me. Il suo amico era uno dei
bocciati nel concorso per la cattedra da me vinta e scrive su un
giornalucolo di qui.» [12] |
Solo nel 1937 vi fu la
riconciliazione, dopo che Pizzetti ebbe pubblicato un articolo su
alcune musiche di Malipiero: «Mio carissimo Ildebrando, un
abbraccio, soltanto un abbraccio fraterno potrebbe dirti quello che
ho sentito leggendo il tuo articolo. Non sono facile alla commozione,
ma mi è sembrato di ringiovanire di 30 anni quasi: si è
realizzato quello che da tanti anni desideravo si realizzasse, la
nostra amicizia deve essere completa, dobbiamo collaborare per i
nostri ideali. [...] La mia vita è difficilissima, cammino sul
filo di una spada, ché sto scontando un mio grave errore. Non
è possibile discutere. È così. Non c'è
via di uscita. Per questo la tua amicizia m'è doppiamente
preziosa.» [13] |
Il «grave errore» di cui parla Malipiero
potrebbe essere connesso ai suoi rapporti con il fascismo, tutt'altro
che idilliaci e sereni: dal regime era poco amato sia per il suo
passato sperimentale e avanguardistico, sia per le peculiarità
della sua musica, ritenuta troppo cerebrale [14] e quindi distante dal gusto
corrente: «Le musiche di Malipiero
devono essere condannate (e lo sono già dal popolo)
perché frutto dello snobismo e del cerebralismo
ebraico-internazionale,» fu scritto [15] negli anni Trenta. |
La goccia che fece
traboccare il vaso fu la rappresentazione dell'opera, su testo di
Luigi Pirandello, La favola del figlio cambiato. L'esito disastroso della serata («L'ira
degli dèi era nulla in confronto di quella scatenatasi sul mio
capo la sera del 24 marzo 1934» [16] ) fu subdolamente fomentato da un
gruppo di fascisti e Mussolini, presente alla serata circondato da un
nugolo di questurini, vietò furibondo [17] le repliche dell'opera. [18] Devastante fu l'impatto sullo
scrittore siciliano che da quel momento si rifiutò di
collaborare con dei compositori. [19] |
«Oggi si può riconoscere» scrisse Cecilia
Palandri [20] «come e quanto
sia stato problematico convivere col regime per Malipiero,
così come per tutti quegli intellettuali che, pur non aderendo
ideologicamente al fascismo, non si erano sufficientemente motivati a
forme di resistenza come l'esilio, cedendo al sentimento di non
volere/non potere abbandonare la cultura patria in balia di quel
destino e si erano quindi 'costretti', piuttosto, a cercare forme di
compromesso, di sofferto quieto vivere, o anche di ambigua
collaborazione, sia pur faticata». |
Malipiero non
dichiarò mai apertamente la sua posizione politica durante il
fascismo. Non mancano però allusioni al tenore di vita imposto
dal regime. Per esempio, in una
lettera a Guido M. Gatti del 26.9.1931 [21] scrisse: «[...] ho passato
giorni di grandi angustie: mia moglie indisposta e il disastro
finanziario completo. Che accadrà? Non lo so. Devo cercare un
posto. Dove? Quale? Mi vorranno?» Un paio di mesi dopo, in una
lettera ad Adriano Lualdi[22] che fa parte del mio archivio,
Malipiero fu più esplicito: |
Caro Lualdi,
ho inviato l'articolo
all'Italia letteraria. [23] Spero sia arrivato a tempo e che ti soddisfi.
Non sapevo come intavolare una questione apparentemente materiale, ma
in sostanza spirituale. Speriamo bene. Credo che a Venezia io possa
fra qualche giorno rivedere tutti gli influenti.
Ed ora per la prima
volta vorrei chiederti un favore e, spero, in avvenire di non
annoiarti una seconda volta. Io vivo solo
ad Asolo da 8 anni [24]
e potevo farlo
perché vivevo dei miei editori ESTERI, [25] ché, all'estero le mie opere andavano
sempre meglio... [26] La crisi mondiale [27] cambiò la mia situazione [28] e siccome anche ad Asolo si deve
«mangiare», «vestire» e «pagar le
tasse» (quest'ultime me le hanno affibbiate in modo indecente)
ho dovuto escogitare un modo per «salvarmi». Pensai
che il Conservatorio di Venezia era in decadenza, [29] pensai che qui ad Asolo subivo
un continuo pellegrinaggio di giovani che (gratuitamente) venivano in
cerca di miei consigli, [30] pensai che
una cattedra di perfezionamento al Conservatorio di Venezia
[31] avrebbe potuto dar vita al
Conservatorio e un utile materiale a me, pensai infine che avendo sempre tenuto
molto, molto alto il nome del mio paese all'estero [32] e avendo avuto dalla mia patria soltanto delle
«cose ignobili», era venuto il momento di fare qualche
cosa per me. Me ne interessai. Col Podestà di Venezia
tutto andava a gonfie vele, pareva quasi combinato, ma oggi vengo a
sapere che il Podestà è stato preso da scrupoli, teme il mio modernismo [33] e un mio amico mi scrive che
dubita di qualche pulce messa nell'orecchio del Podestà da
amico mio,musicista. Se tu non sei del parere dell'amico seminatore
di pulci (e se non lo sei, ti dirò che io ho guidato parecchi
giovani appoggiandoli sugli antichi, mettendoli in guardia contro la
faciloneria e contro le strambellerie cosiddette moderne, [34] ma ormai vecchie assai) vorrei
pregarti di scrivere due righe al Podestà di Venezia
consigliandolo di non ascoltare gli imbecilli e dicendogli come ho
guidato certi giovani. Labroca,
[35]che ha studiato con me, te lo
può dire.
Perdona la noia che ti reco e usami la cortesia di
dirmi sinceramente quello che hai scritto o che hai voluto scrivere
(onde io possa regolarmi) qualora tu non volessi scrivere.
Capirai bene, contro le opinioni e contro le proprie
convinzioni non si può andare. In ogni modo grazie e non
è il caso di guastare la nostra amicizia qualora tu non ti
sentissi di accontentarmi. È vero che parti per l'America?
Dimmene qualche cosa.
Cordiali saluti e ossequi a tua moglie.
Il tuo aff.mo G. Francesco Malipiero
Asolo (Treviso)
3 - XII - 1931
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Forse anche grazie
all'aiuto di Lualdi, nell'autunno del '32 a Malipiero fu attribuita
la cattedra di composizione al Liceo (poi Conservatorio) Benedetto
Marcello di Venezia, carica che tenne fino al 1940. Un anno prima
divenne anche direttore dell'Istituto.
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Dopo la Liberazione,
pubblicò il citato libello di ricordi Cossì va lo
mondo. Il primo spezzone lo dedicò a una riflessione sul
Ventennio, intrisa di amarezza e dignità: «Dopo quello
che abbiamo visto e vissuto non è possibile anzi è
più che impossibile renderci conto se viviamo o se siamo
già morti. Che valore possono avere queste nostre ossa e le
poche libbre di carne che le ricoprono di fronte alla morte dello
spirito? L'unica speranza che ancora possiamo nutrire è che
sia soltanto caduto in un profondo letargo. Ventitré anni son
passati dal giorno in cui le campane dei comuni squillarono per la
vittoria di una nascente dittatura. Il corrompersi degli ideali, la
minaccia di una guerra fratricida, mille e mille forze negative
avevano assopita la nostra chiaroveggenza. Ciò non ostante
siamo colpevoli del nostro cieco egoismo. Non potevamo credere, ma
spesso abbiamo sperato, ci siamo imposti di sperare perché,
nati in un clima ancor vibrante di autentico amor di patria, non
potevamo disinteressarci alle sorti politiche d'Italia. Chi va ad
abitare un edificio di recente costruzione e fiducioso vi trasporta
tutto quello che possiede, può essere responsabile se crolla?
Forse responsabile d'aver avuto fiducia nell'architetto? Chi poteva
immaginare che il materiale fosse tarato e irrimediabilmente
condannato a sgretolarsi?» |
Malipiero trascorse
coraggiosamente il periodo dell'occupazione tedesca (dal '43 al '45)
all'interno del Conservatorio, riuscendo, grazie al suo prestigio, a
sottrarre insegnanti e allievi al servizio militare e ai campi di
concentramento: «Nonostante le minaccie, le denunzie, le
intimazioni, il Conservatorio ebbe soltanto vetri rotti dallo scoppio
del 21 marzo 1945, ma si salvò con tutto il contenuto!»
E aggiunse con amara ironia: «Confesso che dal 28 aprile 1945
in poi, cioè per quasi cinque mesi, ho atteso che 'qualcuno'
(sognavo cortei di gente solenne, sindaci, prefetti, sottosegretari
in cilindro e redingote) venisse a dirmi grazie per quello che ho
fatto per il Conservatorio Benedetto Marcello durante la
guerra.» |
Ci fu invece chi macchinò per spodestarlo
poiché avrebbe scritto musica «per fare l'apologia del
fascismo». [36] La devastante accusa lo prostrò a tal
punto che scrisse all'amico Gatti: «Mi vergogno d'essere
veneziano prima e italiano poi.» [37]
Anche grazie alla stima di insigni musicologi e intellettuali come
Massimo Mila e Fedele D'Amico, Malipiero mantenne la direzione del
Conservatorio fino al pensionamento, nel 1952. |
A Gatti scrisse il 23 giugno del 1945: «Mio carissimo
Guido, sopravissuti miracolosamente, visto cose inverosímili,
sopportato l'insopportabile. [...] Ho lavorato, ora aspetto
perché non so se vivo o sogno. Respiriamo fisicamente, dunque
i nostri corpi vivono, speriamo poter respirare spiritualmente e di
poter vivere anche con la mente. Quante nubi. Quanto nero. De
profundis, o Te Deum? Si vedrà.» [38] |
NOTE
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[1] All'inizio del 1919 scrisse a
Hélène Casella: «La guerra è finita.
È finita per molti, ma non per tutti però. Intendo dire
che non a tutti è concesso di vivere in pace mai. Mai. Ed io
mi credo tra questi.» [A.R. = Archivio L. Rodoni, Biasca] SU |
[2]«Quando mi rendo conto delle discussioni dei
mutamenti e deformazioni che devono subire le opere non protette dal
defunto loro autore, vorrei dare alle fiamme (anche per risparmiarle
al macero) tutte le mie opere, come genitore che uccida i figli per
risparmiarli alla bomba atomica. Immagino a chi questa mia idea fa
venire l'acquolina in bocca.» («Da Venezia lontan»,
Scheiwiller 1968, p. 47.) Cfr. anche «Cossì va lo
mondo», Il Balcone 1946, p. 45: «[...] attraverso quali
dati positivi potrò rendermi conto se sono uscito dal
melanconico cimitero dell'aurea mediocrità? Unico mio punto di
riferimento sono le feroci inimicizie, le fastidiose punture di tanti
parassiti, le quali dimostrano che io sono quasi come vorrei essere e
valgono a orientarmi da me stesso.» SU |
[3]«Non esiste essere umano, amico o
nemico mio, al quale io abbia fatto confidenze di sorta. Ho due o tre
amici per i quali metterei le mani sul fuoco, e anche con questi non
ho mai parlato di nulla, nonostante io abbia avuto nella mia vita
momenti difficili.» [Lett. a Giulio Bas, 23.5.1922, A.R.]
«Cave canem? Cave hominem!» si intitola
significativamente un brano delle sue memorie. Fra quei «due o
tre amici» c'era sicuramente Alfredo Casella, che Malipiero
conobbe a Parigi nel 1913 (due lettere del mio Archivio, del '15 e
del '17, sono indirizzate proprio al compositore torinese). Cfr.
anche la nota 19. Su Casella scrisse in Da Venezia lontan, p. 36:
«Nonostante i miei buoni rapporti d'amicizia con Alfredo
Casella, non esiste nessun mio legame musicale con lui. Molte sue
opere mi piacciono, le ascolto volentieri (il che per me non è
poco) ma fummo sempre agli antipodi e forse la nostra lontananza
musicale ci riunì.» SU |
[4] «Purtroppo è
difficile evitare il commercio con gli uomini senza isolarsi, ma non
è impossibile, basta farlo spontaneamente.» (Di Venezia
lontan..., p. 9) SU |
[5]«Io dedico all'edizione monteverdiana (cfr.
nota 27) tutto il tempo che i miei colleghi dedicano a dir male di
me. Per questo l'edizione procede molto rapidamente.»
(Testimonianza raccolta da Adriano Lualdi e pubblicata nel suo volume
Viaggio musicale in Europa, p. 468.) Cfr. inoltre Da Venezia lontan,
p. 42: «Spesso nella sua [di Schönberg] e in quella di
molti suoi seguaci, pare che la morte non abbia interrotto il
colloquio di Tristano con Isotta.» SU |
[6] «Non riuscii a pescare quell'asino di
[Domenico] de Paoli. Da tre mesi egli non scrive. Credo che
ciò sia un capriccio derivante dal fatto ch'io non sono
riuscito ad ottenere la pubblicazione del suo «Abate
Perù» presso l'Universal Edition. Egli non comprende che
questo editore se ne infischia dei giovani italiani.» [A Giulio
Bas, 27.3.1927, A.R.] Qualche giorno dopo (5 aprile), riprese
l'argomento in un'altra lettera a Bas: «In quanto a de Paoli,
è un imbecille [...]. L'Universal Edition se ne infischia di
lui e della sua musica, io ho fatto il possibile [...].» Ma
anche in questa faccenda, Malipiero si dimostrò comprensivo e
generoso: «Nonostante le difficoltà e i difetti del
carattere di de Paoli, gli voglio bene e se fossi ricco lo aiuterei
in qualche modo positivo, purtroppo la vita è difficile per
tutti.» [27.3.1927, A.R.] SU
|
[7] «Ho troppi nemici in Italia. Posso poco o
nulla,» scrisse per esempio a Hélène Casella nel
1921 [A.R.] SU |
[8] «Da Venezia lontan...»,
pp. 47-48. SU |
[9] In sostanza Pizzetti lo accusava di essere
iconoclasta, di aver pronunciato ingiurie contro i musicisti
dell'Ottocento, tra cui Verdi. Così si difese Malipiero:
«Non ho mai pronunziato il nome d'un musicista italiano
dell'ottocento, ingiuriandolo, non ho mai pubblicato apprezzamenti
che possano offendere gli autori che pendono dalle pareti della tua
stanza. Dico e sostengo, perché mi vanto di avere un'opinione
mia su tutti i problemi che mi interessano, che oggi c'è una
grande miseria musicale, specialmente nel nostro paese, e ne cerco le
cause. Sono convinto che tutta la musica, persino quella che dovrebbe
essere la continuazione diretta dell'ottocento melodrammatico
italiano, soffre dalle condizioni attuali: anche quelli che non se ne
accorgono, sono schiacciati dalla mania generale per tutta la musica
dell'ottocento e dall'esaltazione che se ne fa. Ecco perché
affermo che bisognerebbe considerarla come la musica degli altri
secoli e somministrarla a piccole dosi.» (Cit. in G.F.
Malipiero. Il carteggio con G. M. Gatti, a cura di Cecilia Palandri,
Olschki, 1997 [= PALANDRI] p. 111.) SU |
[10] Giulio Bas (1874 - 1929), organista, didatta e
teorico della musica. SU |
[11] Nel 1921 fu incaricato dell'insegnamento di alta
composizione al R. Conservatorio di Parma. Trasferito nel '24 al
Conservatorio di Firenze, rinunciò alla carica, probabilmente
perché l'Istituto era una roccaforte pizzettiana. SU |
[12] Lett. del 28.5.1922. Il 10.1.1921 aveva scritto
a Guido M. Gatti una lunga lettera in cui non lesina le parole
grosse: «mascalzonaggine», «infamia»,
«farabutto», «ignobile individuo» ecc.
(PALANDRI, p. 110). SU |
[13] Cfr. l'edizione de L'armonioso labirinto curata
da Marzio Pieri, Marsilio 1992, p. 548. SU |
[14] «Naturalmente sarebbe un errore pensare
[...] che l'artista si trovasse [...] al riparo dagli attacchi della
critica. Uno schieramento unanime di giudizi sulla sua opera non vi
fu, e ciò non solo perché i trascorsi
sperimental-avanguardistici lo rendevano uno dei bersagli preferiti
delle forze più reazionarie, ma anche perché la
qualità della sua produzione non era ovviamente destinata a
soddisfare gli appetiti più gastronomici e triviali che il
regime tendeva ad acquietare [...]. Ma non c'è dubbio che
dalla difficoltà di misurarsi con il gusto corrente e d'altro
canto per il timore dell'isolamento [...] si radicassero sempre
più nell'animo di Malipiero fantasie compensatorie e
regressive che gli impedivano di cogliere con lucidità e
fermezza i confini reali della storia [...] formulando previsioni
fallaci in un futuro che la storia si sarebbe incaricata di smentire
[...]» (Fiamma Nicolodi, Musica e musicisti nel ventennio
fascista, Discanto-La Nuova Italia 1984, pp. 233-234.) SU |
[15] Brano citato nel magnifico libello di memorie
Cossì va lo mondo, p. 34-35. SU |
[16] «Cossì va lo mondo», p. 31.
SU |
[17] Come poteva Mussolini avallare la Weltanschauung
del Figlio, sempre tormentato dal dubbio? Cfr per esempio:
«Niente è vero e vero può essere tutto, basta
crederlo»? La stampa fu ferocissima nei confronti dell'opera
che «non rispondeva alle esigenze del tempo fascista, che era
una diffamazione di tutte le spiritualità che il fascismo si
sforzava di imprimere nel popolo italiano, che contrasta in pieno con
lo spirito dell'etica fascista, che era diarrea musicale.»
(Cit. in Cossì va lo mondo, pp. 31-32) SU |
[18] Così Malipiero raccontò la serata:
«Ci vuole una errata (sic) notizia giornalistica per ricordarmi
un'altra brutta avventura, ma romana questa volta. La sera della
prima rappresentazione della Favola del figlio cambiato al teatro
Reale dell'opera a Roma (24 marzo 1934) io non abbandonai per un solo
istante Pirandello. Scendendo le scale, alla fine dello spettacolo,
incontrammo Mussolini; con una mia logica personale proposi a
Pirandello di salutarlo, ma egli non volle e affrettò il passo
verso l'uscita. Non capisco come un giornale rispettabile osi
scrivere che affacciandosi alla porta spalancata del palco
"forse con l'intento di attenuare (nel Duce) il significato
sgradevole del giudizio espresso da parte del pubblico, di colpo la
porta venne chiusa, direi addirittura sbattuta sul viso di
Pirandello". Colui che racconta questo episodio afferma di
essere stato "presente in teatro per motivi professionali"
e non s'accorge che offende la dignità di Pirandello, il quale
mai si sarebbe umiliato correndo a non necessari ripari.» (Da
Venezia lontan..., pp. 24-25) SU |
[19] «L'offesa gratuita e brutale che
c'è stata fatta mi tiene lontano perfino dai Giganti della
Montagna. Quella ch'è forse la mia opera maggiore di teatro
m'è restata lì da allora». Così egli mi
scriveva quattro mesi dopo la serata ingloriosa. E i Giganti della
montagna non furono mai condotti a termine. (Ricordi e pensieri, in
L'Opera di GFM, Edizioni di Treviso, 1952, p. 298.) SU |
[20] Nell'introduzione al ponderoso e superbo
carteggio Malipiero - Gatti (PALANDRI), p. XIII. SU |
[21] PALANDRI, p.309. Il carteggio comprende 791
lettere. Una, inedita e piuttosto importante, scritta il 28.6.1917,
fa parte del mio Archivio. SU |
[22] Adriano Lualdi (1885-1971), compositore,
operatore culturale, direttore d'orchestra, critico musicale. Fu uno
dei pilastri del regime in ambito culturale (cfr. Arte e regime del
'29), acceso assertore del nazionalismo musicale. SU |
[23] Sull'«Italia letteraria» non
uscì alcun articolo di Malipiero nel 1932 e nel 1933. Il
riferimento a un articolo del '33 nel Catalogo delle opere
malipieriane (1952) intitolato Svecchiare nel campo musicale è
quindi errato. Probabilmente è uscito su un'altrarivista
oppure Lualdi si è rifiutato di pubblicarglielo. SU |
[24] A questo proposito Malipiero
scrisse in un'altra lettera a Lualdi: «Ho scelto quale dimora
Asolo, onde evitare le ipocrisie e le vicende degli ambienti
musicali, perché mi disgustano. Tengo soltanto che gli editori
pubblichino le mie opere [...] così possono automaticamente
seguire il loro cammino. Naturalmente ho conservato i miei rapporti
cogli amici più fedeli, alcuni si sono dimenticati di me ecc.
ecc. » (20.01.1929, A.R.). Nel volumetto Da Venezia lontan...
(pp. 47-48) precisò questo pensiero: «Cerco di rimaner
fuori dal mondo musicale perché senza volere, distrattamente,
leggo sulla faccia di quelli che vi appartengono, l'ostilità
che ispiro: essi indovinano tutto ciò che io devo pensare
sulla loro personalità. Il mio silenzio non mi salva.»
Infine in Ricordi e pensieri, p. 314: «Nel 1923 lasciai la
città perché il rumore è sempre stato il mio
più grande nemico.» SU |
[25] Riferimento all'Universal
Edition di Vienna: «Io 'sono stampato' dall'Universal Edition
perché conviene alla casa editrice ma non ho nessuna
influenza. [...]. Io sono uno straniero per l'Italia. Credo la causa
sia mia perché non voglio barattare dei favori»
(27.3.1927, A.R.), pensiero ripreso nel 1968 nel volumetto di memorie
Da Venezia lontan..., p.9: «La libertà, per quanto
universalmente proclamata indispensabile alla dignità
dell'uomo, si deve pagar cara se si vuole conservarla intatta e il
rifiuto di barattarla contro vile moneta, provoca strane e pericolose
reazioni.» SU |
[26]L'8 marzo del 1930 scrisse a
Lualdi (A.R.): «Non ti lagnare se sei poco noto all'estero.
[...] Io ho due Quartetti, uno da Ricordi, uno da Chester. Quello
pubblicato da Chester ha fatto il giro del mondo [...], il secondo
è stato eseguito soltanto quando per caso i quartettisti
poterono scoprire la sua esistenza. È così.»
SU |
[27]
Riferimento alla grande crisi
del 1929 che provocò una profonda depressione economica e
sociale con un aumento vertiginoso della disoccupazione. In Italia la
situazione volse al peggio nel 1931. In una lettera a Casella scritta
nel giugno dello stesso anno manifesta preoccupazioni per la sua
situazione economica (Cfr. Fondo Casella L. 3647). Cfr. anche
Cossì va lo mondo, pp. 20-21: «Sempre qualche santo mi
ha aiutato, quando le condizioni materiali potevano compromettere la
mia passione. Difatti, appena dimessomi da «insegnante»
(nel 1924, cfr. nota 11) venne a battere alla mia porta un grande
editore straniero [Universal Edition Wien]. Egli volle accaparrarsi
tutte le opere che avrei scritto fra il 1924 al 1930, e per poterle
scrivere la vita nella casa di Asolo, lontano dalla rumorosa
città, era la più propizia. Dipendere poi da un editore
abile e accorto che aveva in mano le chiavi della musica
internazionale, voleva dire non marcire e allo stesso tempo non
subire il nostro ambiente musicale. Difatti fra il 1924 e il 1932 [in
realtà 1931] vissi intensamente nel mondo della musica senza
occuparmi di quelle «pratiche» che distruggono la
serenità e corrompono il musicista.» SU |
[28] Non si può escludere che questa crisi
finanziaria abbia provocato anche l'interruzione per molti anni, dal
'32 al '41, del titanico lavoro sull'opera omnia di Monteverdi
(1926-1942), culminato con la pubblicazione di XVI tomi, anche se in
Ricordi e Pensieri (p. 332) afferma di essersi fermato
«perché ero saturo di Monteverdi, e fu
ingratitudine». Questa attività filologica segnò
indelebilmente il lunghissimo percorso artistico di Malipiero. In
molti scritti, tra cui alcune lettere del mio Archivio, il
compositore veneto esprime entusiasmo per questo lavoro, parallelo a
quello compositivo: «Io faccio questa edizione a tempo perso,
non a scopo di lucro, ma per il grande amore ch'io nutro per il
Divino Claudio.» (Lett. a un Commendatore, probabilmente Tito
Ricordi jr.) In questa stessa lettera manifesta apprensione per la
sorte degli spartiti monteverdiani e parla della principale
difficoltà incontrata nel corso del lavoro di trascrizione:
«È doloroso pensare che se per una sfortunata
combinazione bruciasse la biblioteca di Bologna, soltanto due delle
opere corali [VIIº e VIIIº libro dei Madrigali] e due
melodrammi [L'Orfeo e L'Incoronazione di Poppea] resterebbero ancora
di questo grande musicista.» [...] «Le edizioni delle
opere corali non esistono in partitura, ma le parti staccate soltanto
sono state pubblicate durante la vita dell'autore. Per conoscerle
bisogna dunque metterle in partitura.» [2.1.1927, A.R.] SU |
[29] Malipiero fu sempre molto critico nei
confronti della scuola e degli insegnanti. Nel 1949 scrisse al
critico e giornalista Goffredo Bellonci una lettera in cui si rifiuta
categoricamente di entrare in contatto con tre insegnanti che
«considera deleteri per la scuola e che per arrancare al
conservatorio ne hanno fatte di tutti i colori. Io sono uno che da
molti anni lotta per l'insegnamento della musica nelle scuole,
però se [...] riconoscessi validi i tre personaggi verrei meno
a tutti i miei principi e subirei una vera offesa personale.»
(A.R.) In Cossì va lo mondo (pp. 48-49) espresse il suo
pensiero utopico sul ruolo della musica: «Se superando le
difficoltà burocratiche si potesse riformare la scuola, la
musica potrebbe diventare il centro di tutte le arti, ché i
teatri, la danza, la scenografia abbracciano l'architettura, la
scultura e la pittura. La poesia si fonde con la musica e insieme le
fondono tutte.» SU |
[30]«Non ho mai cercato l'insegnamento, e se mi sono
circondato di discepoli l'ho tatto perché volevo essere ad
ogni costo ottimista. [...] L'idillio tra me e i giovani è
durato poco.» (Ricordi e pensieri, p. 301) SU |
[31]Qualche giorno dopo aver scritto questa lettera, il 14
dicembre 1931, espresse a Casella incertezza circa le sorti del corso
di perfezionamento a Venezia (F.C. L.3656). SU |
[32]La musica di Malipiero era infatti più eseguita
all'estero che in Italia. Per esempio la prima rappresentazione
dell'opera La favola del figlio salvato ebbe luogo a Braunschweig nel
marzo del '34, due mesi prima della famigerata première romana
(cfr. note 16-19). SU |
[33]Cfr. nota 15. SU |
[34]Quasi sicuramente Malipiero fa riferimento anche a
Schönberg e alla sua scuola: «[...] lo spirito
schönberghiano [...] straziò la musica fra il 1920 e il
1932» (Ricordi e pensieri, p. 300). Ma ecco il testo completo:
«L'idillio fra me e i giovani è durato poco. La
nuovissima generazione non è ancora classificabile. Un
esempio: mi si presentava nel gennaio del 1942 un giovane, non ancora
ventenne, refrattario alla scuola. Egli aveva però al suo
attivo alcune opere interessanti, sia per il contrappunto che per
l'armonia e la forma. Purtroppo erano dominate da quello spirito
schoenberghiano che straziò la musica fra il 1920 e il 1932.
Lo considerai un fenomeno (non certo un innovatore, caso mai un
ritardatario), e gli dedicai tutta la mia attenzione. Forse, per
innato ottimismo, mi son lasciato ingannare da un volgare plagiario,
che si rivoltò contro di me il gìorno che gli accordai
un immeritato diploma.L'importanza di questa dolorosa e miserabile
vicenda, sta solo nel fatto che quasi tutti i musicisti giovanissimi
son privi di idealità.» SU |
[35] Mario Labroca (1896-1973), compositore, operatore culturale
e critico musicale. Fu allievo di Malipiero, Respighi e Casella.
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[36]Cfr. PALANDRI, pp. 406 ss. SU |
[37]Cfr. PALANDRI, p. 409. SU |
[38]Cfr. PALANDRI, p. 405. SU |
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