L'INCHIESTA DI AUGUSTEA


ADRIANO LUALDI

In vent'anni d'arte; in dieci di milizia giornalistica e nei libri che ho pubblicati, ho tante volte sostenuta la necessità di imporre ai teatri sovvenzionati dallo Stato o da Enti pubblici - un Regolamento che ne indirizzi la politica artistica armonizzandola (se le opportunità di queste armonie non sono spontaneamente sentite) con la vita d'oggi e con gli spiriti nuovi che governano l'Italia, che mi sembrerebbe ozioso ripetermi.
Per ciò che riguarda il Teatro Reale dell'Opera, ciò che è avvenuto non mi sorprende. Me l'aspettavo anzi, dato l'errore iniziale, di affidare la gestione del Teatro di Stato ad un impresario di mestiere, legato per mille fili - come tutti i «professionisti» del genere - alla mentalità, ai mercati, agli interessi, ai preconcetti, ai pregiudizi, ai feticismi e alle fobie che hanno ridotto il teatro lirico italiano nelle liete condizioni attuali.
Rilegga, per cortesia, quello che io scrivevo in Comoedia, a proposito del Teatro Reale dell'Opera, quasi un anno fa; e mi dica se non sono stato buono (e facile, aggiungo) profeta:
[...] E neppure sarebbe stato «inutile» [costruire ex novo un teatro] se si riflette che le pietre, come le stelle, hanno i loro lati; e che è assai più difficile far- entrare nuovi spiriti fra vecchie mura, che fra mura nuove dalle fondamenta. Esempi anche recentissimi e attuali non mancano, a giustificare questo timore e a tener deste antiche preoccupazioni; tanto più se si pensa che l'ottanta per cento della odierna «crisi» del teatro lirico è rappresentato proprio dal peso morto di una decrepitezza spirituale che domina e tiranneggia la vita musicale della Nazione. (Comoedia, marzo 1928)
Quanto al «caso» Malipiero poi, dirò semplicemente che se il Direttore del Teatro Reale mostra tanto sacro terrore del Dio Pubblico, tanta sensibilità cardiaca e nervosa e tanta delicatezza d'epidermide, da negare ad un... Imputato un doveroso giudizio di appello e da abbandonarsi alle dichiarazioni e deplorazioni di cui Ella parla per il solo fatto che un'opera nuova è stata fischiata; invece di perderci in quermionie e in polemiche che lasciano il tempo che trovano, bisognerebbe oggi senza indugio, e per puro spirito umanitario, usare al Direttore del Teatro Reale dell'Opera gli stessi delicati riguardi che esso ha usato al compositore liverato.
E come questo impresario ha molto cavallerescamente preso partito per il debole e per l'oppresso (il maestro di musica) contro il forte e l'oppressore (il pubblico giustiziere) sottraendo l'opera del compositore italiano al pericolo mortale di una seconda audizione, così - posto che nessuno può pretendere che il Teatro Reale dell'Opera sia riservato unicamente alle opere passate in giudicato e agli autori morti; e siccome anche gli autori vivi hanno, dopo tutto, il diritto di farsi qualche volta fischiare così, dico, bisognerebbe subito sottrarre il Direttore-Impresario suddetto al danno e allo sconquasso di pericolose emozioni del genere di quella patita per colpa di G. F. Malipiero: togliendolo delicatamente (e per umanità) dal posto che occupa attualmente e, offrendogliene un altro, più tranquillo.
Di Direttore e impresario, magari, del Teatro Marcello: dove pericoli di fiaschi e di fischi, per ora, non ce n'è; e che avrà magari, una «dote» un po' meno grassa di quella del Teatro Reale; ma che appartiene in blocco - in compenso - all'archeologia, scienza nella quale i moderni impresari italiani mostrano per mille prove di essere particolarmente versati.