FABIO FANO

L'OPERA

1. OSSERVAZIONI PRELIMINARI

Subito dopo la morte del Martucci, musicisti e critici dissero in coro - e fu nobile coro - che il Maestro aveva ottenuto il giusto riconoscimento come pianista, direttore d'orchestra e rinnovatore di gusto e di cultura musicale, ma che come compositore non era ancora abbastanza apprezzato, neppure dagli stessi italiani, e che urgeva quindi rimediare a simile mancanza. La stessa cosa si continuò a dire per parecchi anni, ma in sostanza quell'ammonimento, ripetuto come un'antifona, non ottenne l'effetto voluto, come accade di quelle prediche morali che ricalcano vecchi motivi senza infondervi calore di vita interiore, e quindi restan prive di efficacia di persuasione. Poi, a poco a poco, l'esortazione divenne pù fiacca; i gusti dominanti del mondo musicale che chiameremo per intenderci «ufficiale» si andarono, convien riconoscerlo, allontanando da Martucci, alla cui opera non fu certo serbata disistima, ma bensi un freddo rispetto, come dovuto a una di quelle nobili manifestazioni che, per nobili che siano, non vengon tuttavia riconosciute come geniali. In altri termini, si riconobbe al Martucci, anche come compositore, il merito di aver rinnovato in Italia il gusto della musica strumentale e di aver posto in tal campo la radice di una ipotetica fioritura avvenire: quindi, in sostanza, merito e valore di precursore, salvo, tutt'al più, qualche lampo di ispirazione geniale.
Tale mutamento di rotta avvenne in gran parte nell'ultimo venticinquennio circa, per la crisi generale del gusto musicale; e l'opinione che ne derivò dura sostanzialmente tuttora, per fortuna non unanime, ma diffusa in una cerchia abbastanza larga di... «competenti» della corrente più o meno d'avanguardia, talora fra quelli che hanno più voce in capitolo. È a parer nostro una delle tante prove (come non ce ne fossero già abbastanza) di quanto nel suddetto periodo siamo caduti in basso.
Ora è necessario riesaminare il problema dalla base: ristudiare cioè l'opera del Martucci, interrogarla nel suo intimo, e senza proporci a priori il compito della sua rivalutazione (benché questo proposito, in fondo all'animo di chi ami un artista non giustamente apprezzato, non possa mancare, ancorché compresso) cercar di stabilire il suo valore estetico.
In ciò, si dirà, non c'è nessuna novità di metodo; né, rispondiamo, ci potrebbe essere, giacché il compito della critica è eternamente il medesimo. E fin che questo compito in un dato caso particolare non sia stato assolto neppur per la linea fondamentale del giudizio, bisogna tornare da capo. Non intendiamo dire con questo che non vi sia stato alcun critico che finora abbia considerato l'opera di Martucci - nell'insieme o in parte con discernimento e con amore: vi fu per esempio il Torchi, che pur col suo metodo un po' antiquato mostrò di comprendere e apprezzare le due Sinfonie martucciane sin dal loro primo apparire. Ma tali voci non ebbero eco sufficiente. Conviene quindi ora riavvicinarci al nostro autore con animo vergine e con metodo spregiudicato, senza cioè riferimenti a presupposti formali o a particolari correnti di gusto. Giacché poco importerebbe, ad esempio, inquadrare l'arte del Martucci in un dato momento storico, considerarla come documento d'una crisi culturale ecc., se poi in sostanza l'animo nostro non potesse più essere aperto ad essa. Ma c'è di più: simili riferimenti spesso hanno l'effetto di confondere le idee, distogliere da quella ascoltazione ingenua: diciamo ascoltazione in senso naturalmente più complesso che quello fisico ma tuttavia implicante anche questo, e quindi valevole per la sola musica o al più per la poesia: cioè come attenzione tesa sia al suono che al significato estetico e umano dell'opera, quando naturalmente esso ci sia, attenzione intesa a stabilire se parli veramente una voce poetica o no, se una voce dica vere parole e cose o articoli dei suoni senza vita. E bisogna anche liberarsi da quella simpatia per l'autore che possa far velo al giudizio, giacché solo cosi è possibile discernere dove sia la vera ispirazione: applicare cioè l'eterno dilemma crociano «poesia o non poesia» che per quanto si sia potuto dire in contrario, esprime l'unico possibile criterio fondamentale di giudizio estetico, integrabile poi col più vasto criterio della «totalità» che poi coincide con quello della verità universale ed eterna. E cosi si rende a un autore assai miglior servigio che esaltando sue opere di minor valore o chiudendo gli occhi su difetti delle maggiori, giacché una simile indulgenza di cattiva lega può far perdere credito anche alla giusta esaltazione delle opere belle, e impedire ch'esse vengan poste nella debita luce rispetto alle altre.
Tale il compito che, con umiltà e zelo, quali convengono ad ogni ricerca del vero, ci siamo proposti. Esamineremo dunque l'opera del Martucci sin dal suo primo nascere, dai primi tentativi anche inesperti, senza tuttavia fermarci su questi troppo minutamente, ma solo quanto basti per vedere dove cominci a germogliare la personalità: e, quando crederemo di avere individuato tale momento, cercheremo di coglierne i fondamentali aspetti spirituali e formali (due cose in uno, in realtà, che conviene in astratto dissociare per poi unificare).
Volendo poi seguitare con lo stesso metodo sino in fondo, bisognerebbe a rigore, seguire l'ordine cronologico delle opere; ma a parte il fatto che esso non è sempre determinabile (rimandiamo su questo alle appendici), ciò porterebbe ad alternare continuamente l'esame delle opere di un genere e di quelle dell'altro: cioè delle opere pianistiche e di quelle da camera e vocali e orchestrali, o vocali-orchestrali, il che produrrebbe una certa confusione e frammentarietà d'esposizione. Preferiamo quindi, per motivi di ordine e chiarezza, seguire la divisione per generi. È vero, tutti o quasi tutti ormai siamo d'accordo, che i generi artistici a ragion veduta non esistono, ma sta di fatto che, solitamente, fra le opere di un dato genere di uno stesso artista c'è una certa parentela di forme e d'ispirazione che rende naturale l'associarle anche nell'esame critico: e ciò vale forse di più nel campo della musica che delle altre arti, perché in esso il genere di un pezzo si distingue anche, praticamente, secondo il mezzo sonoro per cui il pezzo è scritto (non si prende, cioè, una forma nella sua mera astrazione, ad esempio quella di sonata, ma la si distingue in sonata per pianoforte, per violino, trio, quartetto, sinfonia, ecc.); e a un dato strumento o gruppi di strumenti - intendendo qui per strumento anche la voce - un artista affida preferibilmente alcuni aspetti o sfumature particolari del suo temperamento, alcune sonorità ora più raccolte ora più vaste e solenni, e forme più o meno complesse.
Ad ogni modo, s'intende che questa partizione per generi non vuole avere nulla di rigido e, particolarmente nel caso del Martucci, non impedisce che si tenga d'occhio l'ordine cronologico, perché in buona parte le sue opere di un dato genere appartengono a un dato periodo della sua vita: le opere pianistiche cioè all'età giovanile, quelle da camera e vocali alla media, quelle orchestrali all'ultima che purtroppo non fu vecchiaia. Solo a un dipresso, naturalmente. Del resto, più di qualsiasi ordine estrinseco, conta quello connesso allo sviluppo ideale dello spirito artistico: ed è questo che, in sostanza, intendiamo seguire.
Invitiamo pertanto i lettori a fare con noi questa accurata revisione, necessaria trattandosi di un artista non ancora, per dir cosi, passato in giudizio (è vero che nessun artista è mai del tutto passato in giudizio, ma per alcuni il riconoscimento è universale, per altri meno, per altri le opinioni si dividono in partiti opposti, e così via in mille gradazioni); e invitiamo prima di tutto i musicisti di qualsiasi tendenza perché rimeditino con noi le composizioni che via via esamineremo, le considerino con animo ingenuo, e possano cosi a loro volta, se credono, aggiungere il loro contributo critico.