Hugo von Hofmannsthal

LUCIDOR

Figure per una commedia non scritta

Da

La mela d'oro e altri racconti

Piccola Biblioteca Adelphi 132

 

Verso la fine degli anni Settanta la signora von Murska abitava un piccolo appartamento in un palazzo del centro. Portava un nome nobile, non molto noto ma tuttavia non del tutto oscuro; da quanto raccontava si poteva dedurre che un fondo di famiglia, nella parte russa della Polonia, appartenente di diritto a lei e ai suoi figli, si trovava per il momento sotto sequestro o altrimenti sottratto ai legittimi proprietari. Sembrava un poco in strettezze, ma solo momentaneamente. Con i suoi due figli, Arabella, giovinetta da marito, Lucidor, appena adolescente, e una vecchia cameriera, abitava tre camere e un salotto con le finestre sulla Kärntnerstrasse. Qui aveva fissato alle pareti alcuni ritratti di famiglia, incisioni e miniature, aveva steso su di un tavolinetto rotondo un pezzo di vecchio velluto con uno stemma ricamato, vi aveva disposto due o tre bricchi e panierine d'argento, buon lavoro francese del diciottesimo secolo, e qui riceveva. Aveva recapitato lettere, fatto visite, e poiché aveva un'inverosimile quantità di 'relazioni' in ogni ambiente, nacque così abbastanza presto una sorta di salotto.
Era uno di quei salotti un poco vaghi che a seconda della severità dei giudici vengono trovati «possibili» o «impossibili». Ad ogni modo la signora von Murska poteva essere tutto quello che si voleva, ma non era né volgare né noiosa, e la figlia di una distinzione anche maggiore nell'aspetto e nei rnodi e straordinariamente bella. Se si arrivava là tra le quattro e le sei si poteva essere sicuri di trovare la madre, e quasi mai sola; non sempre si vedeva la figlia, e il tredicenne o quattordicenne Lucidor lo conoscevano soltanto gli intimi.
La signora von Murska era una donna realmente colta e la sua cultura non aveva nulla di banale. Nel gran mondo viennese al quale ella calcolava vagamente di appartenere, senza pertanto venirne a contatto se non in modo molto periferico, le avrebbero, come a 'bas-bleu', reso la vita un poco difficile. Ma nella sua testa v'era una tale congerie di cose, di combinazioni, d'intuizioni, d'errori, d'entusiasmi, d'esperienze, di apprensioni, che non valeva la pena di soffermarsi su quanto poteva aver appreso dai libri. La sua conversazione galoppava da un soggetto all'altro e trovava i più inverosimili trapassi; la sua perpetua agitazione poteva suscitare pietà - a udirla discorrere si capiva, senza ch'ella avesse bisogno di accennarvi, che l'insonnia la faceva impazzire, e che si struggeva fra preoccupazioni, combinazioni e speranze deluse - ma era veramente divertente e valeva senz'altro la pena di starla a sentire, e, senza volerlo, poteva all'occasione essere indiscreta nel modo più spaventoso.
Per farla corta, era una pazza, ma una pazza di quelle piacevoli. Era un'ottima donna, e in fondo attraente e niente affatto comune. Ma la vita difficile, per la quale non era nata, l'aveva condotta a uno stato di confusione tale che a quarantadue anni era già diventata un personaggio bizzarro. La maggior parte dei suoi giudizi, dei suoi concetti, erano originali e di grande finezza psicologica: ma i riferimenti erano quasi sempre errati, così che non si adattavano assolutamente alle persone o alle circostanze di cui si trattava. Più vicino le stava una persona, tanto meno la comprendeva; e sarebbe stato contro ogni regola se non si fosse fatta dentro di sé l'immagine più sbagliata dei suoi due figlioli e non avesse agito ciecamente in conseguenza. Arabella era ai suoi occhi un angelo, Lucidor un piccolo essere duro e senza cuore.
Arabella era mille volte troppo buona per questa terra, per questa terra Lucidor pareva fatto apposta. In realtà Arabella era il ritratto del suo defunto padre: uomo bellissimo, orgoglioso, scontento e impaziente, facile al disprezzo, ma che sapeva nascondere il suo disprezzo sotto una forma squisita, uomo freddo, rispettato e invidiato dagli uomini e amato da molte donne. Il piccolo Lucidor al contrario era tutto cuore. Ma a questo punto preferisco dir subito che Lucidor non era un ragazzo, ma una giovinetta e si chiamava Lucilla. La trovata di presentare travestita la figlia minore per tutto il tempo del loro soggiorno viennese era balenata improvvisa come tutte le trovate della signora von Murska, ma aveva al medesimo tempo i retroscena e gli intrecci più complicati. Qui si trattava anzitutto di una mossa veramente singolare contro uno zio vecchio e misterioso, ma che per fortuna esisteva realmente e viveva a Vienna, e per amore del quale forse - tutte queste speranze e combinazioni erano estremamente vaghe - ella aveva in fondo scelto il soggiorno in quella città. Ma il travestimento aveva insieme anche altri vantaggi, vantaggi reali, questi, e immediati. La vita era più facile con una figlia sola invece che con due di età diversa; ché tra le due fanciulle correvano quasi quattro anni; si poteva così comparire con minore spesa. E poi essere la figlia unica piuttosto che la maggiore era per Arabella una condizione ancora migliore, ancora più conveniente, e il grazioso «fratellino», una specie di valletto, dava anche più risalto alla bella creatura.
Venivano poi a proposito alcune circostanze fortuite: le trovate della signora von Murska non erano mai del tutto campate in aria; esse intrecciavano soltanto nel modo più singolare i dati reali, esistenti, con ciò che appariva possibile o raggiungibile alla sua fantasia. Cinque anni prima - Lucilla, allora undicenne, s'era ammalata di tifo - era stato necessario tagliare i bei capelli della bambina. Inoltre Lucilla preferiva cavalcare da uomo; era un'abitudine presa al tempo in cui lei, coi ragazzi dei contadini bielorussi, conduceva a bagnarsi i cavalli della tenuta, montando a dorso nudo. Lucilla aveva accettato il travestimento così come aveva accettato molte altre cose. Era d'indole paziente, e anche alle cose più assurde facilmente si fa l'abitudine. Per di più, essendo terribilmente timida, il pensiero di non aver mai da comparire in salotto, né di dover sostenere la parte della fanciulla che si fa grandicella la incantava.
La vecchia cameriera era sola a parte del segreto; gli estranei non s'accorsero di nulla. Nessuno scopre facilmente da solo qualche cosa di singolare: poiché in genere non è dato agli uomini di vedere ciò che è. Lucilla aveva poi fianchi esili da ragazzo, e anche nulla di quanto avrebbe troppo facilmente tradito in lei la fanciulla. E infatti la cosa rimase nascosta, anzi insospettata, e allorché si arrivò a quel rivolgimento improvviso che del piccolo Lucidor fece una fidanzata, o perfino qualche cosa di più femminile ancora, tutti restarono molto sorpresi.
Naturalmente una giovane bella e in ogni senso attraente come Arabella, non rimase a lungo senza ammiratori più o meno dichiarati. Tra questi Vladimiro era senz'altro il più notevole. Aveva un ottimo aspetto e mani particolarmente belle. Era facoltoso e del tutto indipendente, senza genitori, senza fratelli. Il padre, di origine borghese, era stato ufficiale austriaco, la madre una contessa di notissima famiglia baltica. Di tutti quelli che si interessavano ad Arabella era l'unico vero 'partito'. A ciò si aggiungeva una particolarissima circostanza che propriamente incantò la signora von Murska. Per certi legami di famiglia egli era in buone relazioni proprio con quello zio così difficile, così inaccessibile e così tremendamente importante, con quello zio per cui si era preso appunto dimora a Vienna, e per cui Lucilla era diventata Lucidor.
Questo zio, che abitava un intero piano del Palazzo Buquoy sulla Wallnerstrasse, e un tempo era stato un signore molto in vista, aveva accolto malissimo la signora von Murska. Sebbene fosse veramente la vedova di suo nipote (per essere più precisi, del nipote del fratello di suo padre), soltanto alla terza visita le era riuscito di vederlo, e non era stata poi invitata neppure a colazione o a prendere una tazza di tè. Egli aveva peraltro permesso, piuttosto di mala grazia a dire il vero, che gli fosse mandato una volta Lucidor. Era una delle singolarità del vecchio interessante signore di non poter soffrire le donne, tanto vecchie che giovani. Esisteva invece una pallida speranza che un giorno o l'altro egli potesse interessarsi in qualche modo fruttuoso di un giovane che gli era pur sempre consanguineo anche se non portava il medesimo nome. E persino questa speranza così incerta acquistava, in una situazione tanto precaria, un valore grandissimo.
E infatti Lucidor, per ordine di sua madre, vi era andato un giorno da solo, ma non era stato ricevuto, cosa di cui egli era stato felicissimo, ma che aveva messo la madre fuori di sé, tanto più quando anche in seguito non si venne a capo di nulla e il prezioso filo parve strappato. Per riannodarlo Vladimiro, con i suoi duplici rapporti, era veramente l'uomo provvidenziale. Per avviare bene la faccenda, Lucidor fu fatto venire qualche volta in salotto, come per caso, quando Vladimiro andava a trovare madre e figlia, e fortuna volle che Vladimiro provasse simpatia per il fanciullo, e fin dal primo incontro lo invitasse a uscire qualche volta a cavallo con lui, ciò che, dopo un rapido scambio di occhiate tra Arabella e sua madre, fu accettato con vivi ringraziamenti. La simpatia di Vladimiro per il fratello minore di una persona di cui era tanto innamorato era più che naturale; inoltre nulla è più gradevole che lo sguardo di palese ammirazione negli occhi di un grazioso ragazzo di quattordici anni.
La signora von Murska era sempre più in ginocchio davanti a Vladimiro. Questo impazientiva Arabella, come la maggior parte degli atteggiamenti di sua madre, e, per quanto vedesse volentieri Vladimiro, prese quasi inconsciamente a civettare con uno dei suoi rivali, il signor von Imfanger, un tirolese elegante e amabile, mezzo contadino e mezzo gentiluomo, ma che come partito, non era neppure da prendere in considerazione.
Quando un giorno la madre osò fare dei timidi rimproveri ad Arabella, osservando che non si comportava con Vladimiro come questi aveva il diritto di aspettarsi, Arabella diede una risposta evasiva, che conteneva più disprezzo e freddezza di quanto realmente non sentisse. Lucidor-Lucilla, per caso, era presente. Il sangue le corse al cuore e subito di nuovo l'abbandonò. Una sensazione lacerante la percorse tutta: provò insieme angoscia, ira e dolore. Per la sorella sentì un sordo stupore. Arabella, lei l'aveva sempre sentita estranea. In quell'attimo le parve quasi spaventosa e non avrebbe saputo dire se l'ammirasse o l'odiasse. Poi tutto si sciolse in una pena sconfinata. Uscì e si chiuse in camera. Se le avessero detto che semplicemente amava Vladimiro, non l'avrebbe forse compreso. Agiva come le era forza agire, automaticamente, mentre le correvano per le guance lacrime di cui non comprendeva il vero significato.
Sedette e scrisse un'ardente lettera d'amore a Vladimiro. Ma non per sé, per Arabella. Che la sua scrittura somigliasse a quella d'Arabella al punto che si potevano confondere, l'aveva spesso infastidita. E se n'era imposta un'altra, una scrittura assai brutta. Ma poteva sempre servirsi della prima che era la più conforme alla sua mano. Sì, in £ondo scrivere così le veniva più facile. La lettera riuscì come riesce soltanto a coloro che non ragionano e in realtà sono fuori di sé. Essa sconfessava l'intera natura di Arabella: ma questo era appunto ciò che voleva, che doveva. Era una lettera molto inverosimile, ma d'altra parte appunto per questo in certo modo verosimile, quale espressione di un violento rivolgimento interiore. Se Arabella avesse saputo amare profondamente, con pieno abbandono, e ne fosse divenuta a un tratto consapevole, allora avrebbe certamente potuto esprimersi in quel modo e parlare con tale audacia e rovente disprezzo di se stessa, della Arabella che tutti conoscevano. La lettera era strana, ma tuttavia, anche per un lettore freddo e indifferente, non del tutto inverosimile come lettera di una fanciulla segretamente appassionata e imprevedibile. Per un innamorato poi la donna che ama è sempre una creatura sconcertante. E infine era una lettera quale un uomo in quella condizione può sempre in cuor suo desiderare e ritenere possibile.
Dico subito che la lettera giunse veramente nelle mani di Vladimiro: questo accadde già nel pomeriggio seguente, sulle scale, dove, tra cauti richiami e sussurri, egli fu raggiunto furtivamente da Lucidor in presunta veste di eccitato e maldestro messaggero d'amore della bella sorella. Vi era aggiunto naturalmente un poscritto: conteneva la preghiera, anzi la supplica, di non adirarsi se per ora non si fosse avvertito nel contegno di Arabella neppure il più leggero mutamento così verso l'uomo amato come verso gli altri. E lo si pregava e lo si scongiurava che non lasciasse neppur lui scorgere né con una parola e nemmeno con uno sguardo com'egli si sapesse teneramente amato.
Passano alcuni giorni, durante i quali Vladimiro non ha con Arabella più che brevi incontri, e mai a quattr'occhi. Egli si comporta di fronte a lei così come lei gli ha chiesto; lei si comporta verso di lui nel modo di cui l'ha avvertito. Egli si sente felice e infelice. Ora soltanto sa quanto bene le voglia. La situazione è tale da renderlo oltremodo impaziente. Lucidor, con il quale esce ora ogni giorno a cavallo, la cui compagnia è la sola in cui si può dire si senta a suo agio, osserva con gioia e terrore il mutamento dell'amico, la sua sempre maggiore impazienza. Segue una nuova lettera, quasi ancora più tenera della prima, una nuova commovente preghiera di non turbare la tanto minacciata felicità dell'incerta situazione, di volersi contentare di quelle confessioni e di rispondere tutt'al più per iscritto, tramite Lucidor.
Ora ogni due o tre giorni una lettera corre in una direzione o nell'altra. Vladimiro ha giorni felici, e così Lucidor. Il tono tra i due è mutato, hanno un inesauribile argomento di conversazione. Scesi da cavallo in uno dei boschetti del Prater e consegnata la novissima lettera, Lucidor osserva con gioia e con ansia i lineamenti di colui che legge. Talvolta fa domande che sono quasi indiscrete; ma l'eccitazione del fanciullo che si è trovato in mezzo a questa storia d'amore, e la sua intelligenza, un niente che lo fa parere ogni giorno più grazioso e più sensibile, diverte Vladimiro, ed egli deve confessare a se stesso che gli sarebbe duro, a lui solitamente chiuso ed altero, non poter parlare a Lucidor di Arabella. Lucidor posa talora a nemico delle donne, a giovanotto esperto e infantilmente cinico. Quanto egli espone non è per nulla comune; E poiché egli vi sa mescolare alcune di quelle che i medici chiamano «verità introspettive».
Ma Vladimiro, che non manca di amor proprio, gli insegna che l'amore che egli ispira e che sa ispirare a una creatura come Arabella è di una qualità affatto particolare, non paragonabile ad altri. In tali momenti Lucidor trova Vladimiro anche più degno di ammirazione e se stesso piccolo e meschino. Ma si viene a parlare di matrimonio e questo soggetto è un supplizio per Lucidor, poiché allora Vladimiro si occupa quasi esclusivamente della Arabella della vita anziché della Arabella delle lettere. Inoltre Lucidor teme quanto la morte ogni decisione, ogni profondo mutamento. Il suo unico pensiero è di prolungare la situazione così com'è. Non c'è cosa che la povera creatura non faccia per mantenere durante giorni, settimane - più in là non arriva a pensare - l'equilibrio instabile di una situazione esternamente come internamente tanto precaria.
Poiché gli è toccata la missione di ottenere dallo zio qualcosa per la famiglia, fa del suo meglio. Qualche volta Vladimiro l'accompagna; lo zio è un vecchio signore lunatico che palesemente si diverte a non prendersi soggezione dei giovani, e la sua conversazione è tale che quell'ora rappresenta per Lucidor un vero e proprio piccolo martirio. Con tutto ciò non sembra che il vecchio abbia il più lontano pensiero di fare qualche cosa per i suoi parenti. Lucidor non sa mentire e vorrebbe tanto rassicurare sua madre. La madre, quanto più miseramente naufragano le speranze che aveva riposto nello zio, con tanta maggiore impazienza vede che tra Arabella e Vladimiro nulla accenna ad avviarsi a una soluzione. Gli sciagurati dai quali dipende finanziariamente cominciano a segnare tra i crediti irrealizzabili sia l'una sia l'altra delle brillanti prospettive. La sua angoscia, la sua malcelata impazienza si comunicano a tutti, particolarmente al povero Lucidor, nella cui testa si confondono cose tanto discordanti. Ma alla strana scuola della vita, a cui ormai si è messo, è destinato a ricevere alcune altre lezioni ancora più sottili e severe.
Di una doppia natura di Arabella non s'era mai fatto parola. Ma l'idea s'impose da sé: l'Arabella del giorno era elusiva, civetta, formale, sicura di sé, mondana e fredda quasi all'eccesso, l'Arabella della notte, che al lume di candela scriveva all'amato, era tutta abbandono e infinitamente appassionata. Per caso o per destino questo corrispondeva a una segreta scissione esistente anche nella natura di Vladimiro. Come ogni creatura dotata di un'anima, anch'egli aveva più o meno il suo lato diurno e il suo lato notturno. A un orgoglio alquanto asciutto, a un'ambizione non volgare né smodata, però tesa e continua, si contrapponevano altri impulsi, o piuttosto non si contrapponevano, ma si rincantucciavano nel buio, cercavano di nascondersi, sempre pronti a sommergersi sotto la soglia brumosa della inconsapevolezza. Una sensualità piena di immaginazione, che poteva ad esempio immedesimarsi con un animale, con un cane, con un cigno, aveva in certi tempi preso quasi interamente possesso della sua anima. Quell'epoca di passaggio dalla fanciullezza all'adolescenza non la ricordava volentieri.
Ma qualcosa ne era rimasto sempre in lui, e una luce oscura, misteriosa, sfiorava ora quella parte notturna e abbandonata del suo essere, non sorvolata neppure dal pensiero e volutamente incolta e deserta: l'amore dell'altra Arabella, di quella invisibile. Se l'Arabella del giorno fosse stata per caso sua moglie o fosse divenuta la sua amante, egli si sarebbe mantenuto con lei piuttosto terra terra e non avrebbe mai conceduto a se stesso di far posto nella sua esistenza ai fantasmi di un'infanzia volutamente repressa. A quella che viveva nell'ombra pensava in altro modo e in altro modo scriveva. Che avrebbe dovuto fare Lucidor, quando l'amico chiese soltanto qualcosa di più, un segno più vivo di quelle righe tracciate su un foglio bianco? Lucidor era solo con la sua angoscia, la sua confusione, il suo amore.
L'Arabella del giorno non lo aiutava. Sembrava anzi che, spinta da un demone, lavorasse proprio contro di lui. Quanto più fredda, volubile, mondana, civetta ella era, tanto più Vladimiro sperava e chiedeva dall'altra. Seppe pregare così bene che Lucidor non trovò il coraggio di rifiutare. Se l'avesse trovato, alla sua tenera penna sarebbe mancato il modo di esprimere il rifiuto. Venne una notte in cui Vladimiro poté credere ci essere ricevuto da Arabella nella camera di Lucidor, e in che modo ricevutoI Lucidor era riuscito ad oscurare così perfettamente la finestra sulla Kärntnerstrasse che non si distinguova a un palmo di distanza. Che si dovessero abbassare le voci e sussurrare appena, era evidente: una semplice porta li separava dalla stanza della cameriera. Dove Lucidor trascorresse la notte non fu detto: ad ogni modo non era certo a parte del segreto e si era ricorso a un pretesto. Strano era che Arabella tenesse i suoi bei capelli strettamente ravvolti in un pesante fazzoletto e rifiutasse dolcemente ma fermamente alla mano dell'amico di scioglierlo. Ma questa fu quasi l'unica cosa ch'ella gli rifiutò.
Passarono diverse notti che non somigliarono a quella, ma ne seguì di nuovo un'altra che le somigliò, e Vladimiro fu molto felice. Furono forse quelli i giorni più felici della sua vita. Di fronte ad Arabella la sicurezza della sua felicità notturna gli dà, quando si trova con lei durante il giorno, un tono particolare. Incomincia a provare un singolare piacere ch'ella sia così incomprensibilmente diversa durante il giorno; il dominio che ha sopra di sé, il non tradirsi mai neppure con uno sguardo, un gesto, ha qualche cosa che lo incanta. Crede di avvertire che di settimana in settimana ella si fa tanto più fredda verso di lui quanto più tenera si è mostrata la notte. Ad ogni modo egli non vuol mostrarsi né meno abile né meno capace di dominarsi. Piegandosi così ciecamente alla misteriosa forza di quella volontà femminile, pensa di meritare in qualche modo la felicità delle sue notti. E proprio dalla duplice natura di lei incomincia a trarre il godimento più grande. Che gli appartenga colei che non sembra appartenergli affatto, che la medesima che sa donarsi così interamente sappia poi mantenersi così intatta, anzi intangibile, vivere una simile avventura dà le vertigini, come bere e ribere a una coppa incantata. Egli riconosce che deve ringraziare in ginocchio la sorte che lo rende felice in un modo così incomparabile, carpito al segreto della sua propria natura. Lo confessa senza ritegno, a confusione sua e anche di Lucidor. Nulla potrebbe atterrire più profondamente il povero Lucidor.
Arabella intanto, la vera, proprio in quelle settimane si è allontanata tanto risolutamente da Vladimiro che egli lo dovrebbe notare di ora in ora se non fosse stranamente portato a dare a tutto un'interpretazione errata. Senza che egli proprio si tradisca, ella sente tra sé e lui qualche cosa che prima non c'era. Ella si è sempre intesa bene con lui, e s'intende tuttavia; i loro lati diurni sono della stessa natura; il loro potrebbe divenire un eccellente matrimonio di convenienza. Con il signor von Imfanger non s'intende, ma le piace. Sente quindi più fortemente che Vladimiro in questo senso non le piace; e quella vibrazione inspiegabile che sembra emanare da lui verso di lei la rende impaziente. Non è sollecitazione e neppure lusinga; non sa rendersi conto che sia, ma non è di suo gusto. Imfanger deve saper molto bene che le piace. Vladimiro da parte sua crede di averne ben altre prove. Ne segue la più strana situazione tra i due giovani. Ciascuno di loro crede che l'altro abbia tutte le ragioni di essere malcontento o semplicemente di sgombrare il campo. Ciascuno trova in fondo semplicemente ridicoli il contegno, l'umore imperturbabile dell'altro. Nessuno dei due sa che pensare dell'altro, e l'uno considera l'altro un vanesio e uno sciocco.
La madre è nella condizione più penosa. Diversi espedienti falliscono. Persone amiche la piantano in asso. Di un prestito offerto sotto la maschera dell'amicizia viene richiesta senza alcun riguardo la restituzione. La signora von Murska è sempre incline alle decisioni più impetuose. Da un giorno all'altro chiuderà casa a Vienna, si congederà per lettera dalle sue conoscenze, cercherà un asilo da gualche parte, sia pure nella tenuta sequestrata, presso la famiglia del fattore. Arabella non accoglie con piacere tale risoluzione, ma disperarsi non è nella sua natura. Lucidor deve nascondere angosciosamente dentro di sé una disperazione vera, sconfinata. Erano passate parecchie notti senza ch'ella avesse chiamato l'amico. Pensava di chiamarlo di nuovo quella notte. Il colloquio della sera tra Arabella e la madre, la decisione della partenza, tutto questo la colpisce come una mazzata. E se pensa di appigliarsi a un partito disperato, gettandosi tutto dietro le spalle, confessando tutto alla madre, svelando anzitutto all'amico chi fosse l'Arabella delle sue notti, la gela il terrore della sua delusione, della sua collera. Le sembra d'essere colpevole, ma verso di lui, agli altri non pensa.
Quella notte non lo può vedere. Sente che morrebbe di vergogna, d'angoscia, di confusione. Invece di stringerlo tra le braccia, gli scrive, per l'ultima volta. È la lettera più umile, più commovente, e nulla le si adatta meno del nome di Arabella con il quale la firma. Lei non ha mai veramente sperato di diventare sua moglie. Vivere con lui anche pochi anni, un anno solo, come sua amante, sarebbe stata un'infinita felicità. Ma anche questo non è possibile. Lo supplica: non chieda, non insista. Venga a trovarla ancora una volta domani, ma soltanto verso sera. Il giorno seguente - saranno forse già partite. Un giorno, più tardi, egli forse saprà, comprenderà, ella vorrebbe aggiungere: perdonerà, ma questa parola le sembra troppo incomprensibile in bocca ad Arabella e non la scrive. Dorme poco, si alza presto, manda la lettera a Vladimiro per mezzo di un servitore. La mattinata è spesa in far bagagli.
Dopo pranzo, senza dir nulla, si fa portare dallo zio. Durante la notte le è venuta questa idea. Avrebbe trovato le parole, gli argomenti per intenerire quell'uomo bizzarro. Sarebbe avvenuto il miracolo e i cordoni cosi ben serrati di quella borsa si sarebbero aperti. Non pensa alla realtà di tali cose, ma solo a sua madre, alla situazione, al proprio amore. Col denaro o con la lettera in mano sarebbe caduta ai piedi della madre e avrebbe chiesto per unica ricompensa - che cosa? - la sua mente esausta, tormentata, rifiuta quasi di andare oltre - ma la cosa più naturale: che si rimanga a Vienna, che tutto rimanga cosi com'è. Trova lo zio in casa. Non racconteremo qui i particolari di questa scena che si svolge in modo assai strano. Questo soltanto: riesce veramente a intenerirlo - egli sta quasi per compiere l'atto decisivo, ma un capriccio senile butta nuovamente all'aria la decisione: egli farà qualche cosa più tardi, quando, non lo stabilisce, e con questo, punto e basta. Lei si fa ricondurre a casa, sale furtivamente le scale, e in camera sua, accoccolata per terra tra scatole e bauli, si abbandona tutta alla disperazione. A un tratto le pare di sentire in salotto la voce di Vladimiro. Si avvicina in punta di piedi e ascolta. È proprio Vladimiro - con Arabella, impegnati a voci piuttosto alte nel più singolare dei colloqui.
Vladimiro ha ricevuto il mattino la misteriosa lettera d'addio di Arabella. Nulla ha mai colpito così il suo cuore. Egli sente che tra loro due c'è qualcosa d'oscuro, ma non tra cuore e cuore. Sente in sé l'amore e la forza di sapere, di comprendere, di perdonare, sia quello che sia. Troppo cara gli è l'impareggiabile amica delle sue notti per vivere senza di lei. Cosa singolare, egli non pensa affatto alla vera Arabella, gli sembra quasi strano che sia lei quella a cui deve trovarsi di fronte, per calmarla, per consolarla, per conquistarla interamente e per sempre. Va a casa di lei, trova la madre sola in salotto. È cccitata, confusa e fantastica come non mai. Lui è diverso da come lei l'ha mai visto. Le bacia le mani, parla, tutto in modo commosso, impacciato. La prega di permettergli un colloquio a quattr'occhi con Arabella. La signora von Murska è incantata e rapita di colpo al settimo cielo. L'incredibile è il suo elemento. Corre a cercare Arabella, la supplica di non rifiutare il suo consenso al nobile giovane, ora che tutto ha preso una piega cosi meravigliosa. Arabella è oltremodo sorpresa.
«Io non mi trovo affatto in tali termini con lui » dice freddamente.
«Non si sa mai in quali termini ci si trovi con gli uomini» ribatte la madre e la manda in salotto. Vladimiro è confuso, commosso e ardente. Arabella si convince sempre più che il signor von Imfanger ha ragione di trovare Vladimiro un signore piuttosto strano. Vladimiro, fuori di sé per la freddezza di lei, la supplica di lasciar finalmente cadere la maschera. Arabella non sa assolutamente che cosa deve lasciar cadere. Vladimiro si fa insieme tenero e furente, una mescolanza che Arabella trova tanto poco di suo gusto che alla fine fugge dalla stanza e lo lascia solo. Vladimiro, nel suo sconfinato stupore, è tanto più vicino a ritenerla pazza, in quanto ella gli ha appena accennato di ritenerlo tale e di essere su tale faccenda dello stesso parere di una terza persona. Vladimiro a questo punto terrebbe un monologo assai sgomento, se non si aprisse l'altra porta e non si slanciasse verso di lui la più strana delle apparizioni, che lo abbraccia, e così allacciata si lascia cadere ai suoi piedi.
È Lucidor, o piuttosto non Lucidor ma Lucilla, una dolce giovinetta inondata di lacrime, in una vestaglia di Arabella, le brevi chiome maschili nascoste sotto un pesante fazzoletto di seta. È il suo amico e confidente, e insieme la sua misteriosa amica, la sua amante, la sua donna. Un dialogo come quello che ora dovrebbe svolgersi può crearlo la vita e la commedia tentare di imitarlo, ma non mai il racconto.
Se Lucidor divenisse poi veramente la moglie di Vladimiro o se alla luce del giorno e in altro paese rimanesse ciò che era stata nell'ombra della notte, la sua felice amante, anche questo sia taciuto.
Ci si potrebbe domandare se Vladimiro fosse uomo da meritare tanta dedizione. Ad ogni modo tutta la bellezza di un'anima pronta a un abbandono senza riserve come quella di Lucilla non si sarebbe potuta svelare se non in cosi singolari circostanze.