|
|
STEFAN ZWEIG
ZWEIG, IL TERZO REICH E
RICHARD STRAUSS
________________________________________________________________________________________________
|
Testo tratto da
IL MONDO
DI IERI
RICORDI DI UN
EUROPEO
Oscar Mondadori
Milano 1979
pp. 294 - 301
|
È difficile
liberarsi in poche settimane di una fede interiore, maturata in
trenta o quarant'anni. Cresciuti nell'idea del diritto, credevamo
all'esistenza di una coscienza tedesca, europea, universale, ed
eravamo convinti che ogni eccesso di barbarie fosse tale da abolirsi
da se stesso una volta per tutte di fronte all'umanità.
Poiché io qui tento di mantenermi equo quanto mi è
possibile, debbo dichiarare che tutti noi nel 1933 ed ancora nel
1934, in Germania ed in Austria, ogni volta non ritenemmo possibile
neppure la centesima, neppure la millesima parte di quanto invece
poche settimane successive portarono con sé. Si capisce era
chiaro sin dal principio che noi scrittori liberi ed indipendenti
avremmo dovuto aspettarci talune difficoltà ed
ostilità. |
Subito dopo l'incendio del
Reichstag dissi al mio editore che i miei libri in Germania sarebbero
stati ben presto un affare finito. Non dimenticherò mai la sua
sorpresa e la sua protesta «Chi dovrebbe proibire i suoi
libri» mi disse allora nel 1933. « Lei non ha mai scritto
una parola contro la Germania, né mai si è immischiato
di politica» È chiaro: tutti gli orrori, come i roghi di
libri, le gazzarre attorno alla berlina, che pochi mesi dopo eran
tutti reali, apparivano un mese dopo la salita al potere di Hitler,
ed anche a persone di ampie vedute, eventualità inconcepibili.
|
Il nazionalsocialismo, con
la sua tecnica di inganno senza scrupoli, si guardò sempre dal
proclamare l'intero radicalismo delle sue mete prima di avervi
allenato il mondo. Questo era il suo prudente metodo: una piccola
dose seguita da una piccola pausa, poi un'altra dose. Una pillola ed
un momento d'attesa, per vedere se non era troppo forte, se la
coscienza mondiale tollerava quel dosaggio. Ma poiché la
coscienza europea - a danno e vergogna della nostra civiltà -
ostentava con grande zelo la propria indifferenza, sin che quelle
violenze avvenivano «oltre confine», le dosi si fecero
sempre più forti, ed alla fine ne fu rovinata l'Europa
intera. |
Hitler non ha attuato nulla
di più geniale di questa sua tattica dei lenti assaggi e della
sempre crescente pressione nei riguardi di un'Europa' che si faceva
moralmente, e presto anche militarmente, sempre più debole.
Anche l'azione già da tempo preparata per annientare in
Germania ogni libera parola ed ogni libro indipendente procedette
secondo questo metodo degli assaggi. Non fu promulgata una legge -
questa non venne che due anni più tardi - con cui si
vietassero senz'altro i nostri libri, si cominciò con modesti
assaggi, per vedere sin dove si potesse giungere il primo attacco
contro i nostri libri fu attribuito agli studenti nazisti, un gruppo
ufficialmente irresponsabile. |
Con lo stesso sistema con
cui si era inscenato lo «sdegno popolare» per imporre il
boicottaggio agli ebrei già prestabilito, fu data ora agli
studenti la parola d'ordine segreta perché manifestassero
pubblicamente la loro «esasperazione» contro quelle
opere. E gli studenti tedeschi, sempre lieti di ogni occasione per
manifestare la loro mentalità reazionaria, si adunarono
docilmente in ogni università, rubarono esemplari delle nostre
opere alle librerie e marciarono a bandiere spiegate recando quella
preda in una pubblica piazza. Ivi quei libri - seguendo un antico uso
germanico medievale, poiché il medioevo era di moda - furono
inchiodati pubblicamente alla berlina al «palo del
disonore» (io possedevo un esemplare di una mia opera
trapassato da un chiodo a questo modo, salvato dopo la cerimonia e
donatomi da uno studente amico), oppure, non essendo purtroppo
permesso bruciare uomini vivi, vennero arsi i volumi su grandi roghi,
mentre si recitavano versetti patriottici. |
È vero che, dopo
lunghe esitazioni, il ministro della propaganda Goebbels aveva deciso
all'ultimo momento di dare la sua benedizione a quel bruciamento di
libri, ma esso rimase tuttavia una misura semiufficiale. Nulla mostra
più chiaramente quanto poco allora la Germania si
identificasse con simili azioni, come il fatto che il pubblico non
traesse le minime conseguenze da quegli ostracismi. Benché i
librai fossero esortati a non mettere in vetrina alcun libro nostro,
benché nessun giornale più li citasse, il vero pubblico
non si lascib minimamente influenzare. Sino a quando non vi fu
pericolo di prigione o di campo di concentramento, i miei libri, nel
1933 e nel 1934, vennero venduti malgrado ogni difficoltà
quasi come prima. Ci volle il grandioso decreto «a protezione
del popolo tedesco», in cui si dichiarava delitto la stampa, la
vendita e la diffusione dei nostri libri, per staccare da noi con la
violenza i milioni di tedeschi, i quali ancora oggi preferiscono
legger noi ed accompagnare fedelmente l'opera nostra che non subirsi
certi scrittori improvvisamente gonfiati, i poeti «del sangue e
della terra». |
Il poter dividere questo
destino del totale annientamento letterario in Germania con
contemporanei eminenti quali Thomas Mann, Heinrich Mann, Werfel,
Freud ed Einstein e molti altri, le cui opere mi appaiono molto
più importanti delle mie, mi parve sempre piuttosto un onore
che una vergogna, ed ogni gesto da martire mi ripugna tanto che
ricordo qui con riluttanza di aver così partecipato al destino
comune. Ma per strana coincidenza toccò proprio a me di
mettere in imbarazzo i nazionalsocialisti, e persino Adolf Hitler in
persona. Proprio la mia figura letteraria fra tutte le altre dei
proscritti è stata oggetto per lungo tempo di grande
eccitazione e di dibattiti senza fine fra i più alti circoli
dei frequentatori della villa di Berchtesgaden, così che io
posso aggiungere alle cose gradevoli della mia vita il modesto
compiacimento di aver indispettito il più potente uomo
dell'età moderna, Adolf Hitler. |
Già nei primi giorni
del nuovo regime ero stato causa innocente di una minuscola rivolta.
Girava allora tuna la Germania una pellicola tratta dalla mia novella
«Segreto ardente», che ne aveva anche mantenuto il
titolo. Nessuno ci aveva badato, ma l'indomani dell'incendio del
Reichstag, che i nazisti tentarono invano di toglier dalle loro
spalle per gettarlo su quelle dei comunisti, accadde che la folla si
radunò davanti ai manifesti del «Segreto ardente»
ammiccando e ridendo con chiara allusione. Capirono anche gli agenti
della Ghestapo perché il titolo facesse ridere, e quella
stessa sera la polizia girò su motociclette in gran fretta a
far proibire quel film, che l'indomani era infatti sparito col suo
titolo da tutti i giornali e da tutte le strade. |
Proibire una singola parola
che desse disturbo, anche bruciare tutti i nostri libri era stato un
lavoro abbastanza semplice. Ma in un altro caso non riuscirono a
colpirmi senza nuocere insieme ad un uomo di cui essi in quel momento
critico avevano assoluto bisogno di fronte al mondo, il più
grande ed il più celebre compositore vivo della nazione
tedesca, Richard Strauss, col quale io avevo appena finito di
comporre un'opera. |
Era stata la mia prima
collaborazione col maestro. Precedentemente, dopo «Elettra e
«Il Cavaliere della Rosa», tutti i libretti delle sue
opere erano stati scritti da Hugo von Hofmannsthal ed io non mi ero
mai incontrato personalmente con Richard Strauss. Dopo la morte di
Hofmannsthal mi fece dire dal mio editore che avrebbe incominciato
volentieri un'opera nuova e che desiderava sapere se fossi disposto a
scriverne il testo. Sentii l'onore di simile offerta. |
Da quando Max Reger aveva
messo in musica le mie prime poesie, ero vissuto sempre nella musica
e con musicisti. Ero legato di buona amicizia con Busoni, con
Bruno Walter, con Alban Berg, con Toscanini. Ma non conoscevo alcun
compositore del tempo nostro al quale più volentieri avrei
offerto i miei servigi che a Riccardo Strauss, quest'ultimo campione
della grande stirpe dei purosangue musicali tedeschi, che va da
Händel ai giorni nostri, passando per Bach, Beethoven e Brahms.
Mi dichiarai pronto e subito al primo incontro proposi a Strauss di
scegliere ad argomento di opera il tema «The silent
woman» di Ben Jonson e fu una grata sorpresa per me vedere con
quanta rapidità e limpidezza Strauss accolse tutte le mie
proposte. Non avrei mai supposto in lui una cosI pronta intelligenza
artistica ed una cosi stupefacente conoscenza drammaturgica.
|
Mentre gli stavo
raccontando l'argomento egli lo plasmava drammaticamente e lo
adattava anche subito, il che era ancora più straordinario, ai
limiti della sua capacità creativa, di cui si rendeva conto
con una chiaroveggenza quasi spaventosa. Ho conosciuto molti grandi
artisti in vita mia, mai però uno che sapesse conservare in
modo cosi astratto ed indefettibile l'oggettività di fronte a
se stesso. Subito al primo colloquio, Strauss mi confessò
apertamente di sapere benissimo come un musicista a settant'anni non
possegga più l'energia originaria dell'ispirazione. Non gli
sarebbero più riuscite opere sinfoniche come «Till
Eulenspiegel» oppure «Morte e trasfgurazione»,
giacché appunto la musica pura esige un massimo di freschezza
creativa. |
Però la parola
valeva ancor sempre ad ispirarlo. Si sentiva in grado di illustrare
drammaticamente una sostanza già preesistente, perché
dalle situazioni e dalle parole si sviluppavano in lui spontaneamente
temi musicali: per questo si era dato ormai, nei suoi tardi anni, in
modo esclusivo all'opera. Sapeva anche benissimo che l'opera è
in fondo forma artistica superata. Wagner è tale vetta, che
nessuno può andare al di là. « Però
», aggiungeva con la sua ampia risata bavarica, «io me la
son cavata facendogli un giro attorno.» |
Dopo esserci messi
d'accordo sulle linee fondamentali, mi impartì ancora alcune
piccole istruzioni. Intendeva lasciarmi libertà assoluta,
giacché egli non si sentiva mai ispirato da un libretto
«su misura» del genere verdiano, ma soltanto da un vero
lavoro poetico. Avrebbe solo desiderato che ci inserissi un paio di
forme complicate, adatte ad offrire possibilità di sviluppo
coloristico. «A me non vengono in mente melodie lunghe come
quelle di Mozart. Io non arrivo che a temi brevi, ma quel che so
fare, è voltare e parafrasare poi un tema, cavandone tutto
quanto contiene, e credo che in questo oggi nessuno mi
superi.» Rimasi ancora una volta stupefatto da tanta
sincerità, giacché è vero che in Strauss non si
trovano quasi mai melodie che vadano oltre un paio di battute; ma con
quanta perfezione e pienezza vengono poi - come nel valzer del
«Cavaliere della rosa» - elaborate e sfruttate quelle
poche battute! |
Ad ogni nuovo incontro
dovevo ammirare la sicurezza e l'oggettività con cui il
vecchio maestro si poneva di fronte a se stesso nella propria opera.
Una volta gli ero accanto durante una prova senza pubblico della sua
«Elena egiziana» al Festspielhaus di Salisburgo. Non
c'era nessuno nella sala ed era buio pesto. Egli ascoltava. M'accorsi
che ad un tratto si mise a tamburellare impaziente con le dita sui
braccioli della poltrona. Poi mi mormorò: «Brutto!
Bruttissimo! Qui non mi è venuto in mente nulla». E dopo
pochi momenti: «Se potessi almeno cancellarlo! Buon Dio,
è tutto vuoto e troppo lungo, troppo lungo! ». Dopo
qualche momento: «Vede: qui c'è del buono!».
Giudicava l'opera propria con imparziale oggettività, come se
udisse quella musica per la prima volta ed essa fosse scritta da un
compositore a lui ignoto. Tale stranissimo senso della propria misura
non lo abbandonava mai; sapeva sempre con precisione chi fosse e
quanto potesse. Non lo interessava troppo invece sapere quanto gli
altri significassero in paragone a lui, ed ancor meno come lo
giudicassero gli altri. Quel che gli dava gioia era il lavoro in
sé. |
Questo
«lavorare» è un singolare processo in Richard
Strauss. Nulla di demoniaco in lui, non conosce il raptus
dell'artista, non le depressioni e le disperazioni note attraverso
alla biografia di Beethoven o di Wagner. Strauss lavora con calma e
freddezza, compone - al pari di Johann Sebastian Bach e di tutti i
sublimi artigiani della loro arte - calmo e regolare. Alle nove di
mattina siede allo scrittoio e riprende il lavoro esattamente al
punto in cui ha cessato di comporre la vigilia, traccia con
regolarità il primo schizzo a matita, poi a penna la riduzione
per pianoforte, e così continua senza pausa sino a mezzogiorno
o all'una. Nel pomeriggio giuoca a skat, trascrive due o tre pagine
nello spartito e qualche volta la sera dirige a teatro. |
Ignora ogni forma di
nervosità, conserva notte e giorno uguale chiarezza e
limpidità artistica. Quando il domestico bussa alla porta
perché indossi la marsina e vada a dirigere, si alza dal suo
lavoro, va a teatro e dirige l'orchestra con la stessa sicurezza e la
stessa calma con cui ha fatto la partita nel pomeriggio, e
l'ispirazione riprende in lui l'indomani allo stesso punto dove si
è interrotto. Strauss, per dirla con la parola di Goethe,
«kommandiert» le sue idee musicali; per lui la
derivazione tedesca della parola arte vien veramente da potere, Kunst
significa per lui können, come dimostra anche il suo motto
scherzoso: «Chi vuol essere un vero compositore deve saper
mettere in musica anche una lista delle vivande». |
Le difficoltà non lo
spaventano, ma divertono soltanto la sua maestria plasmatrice.
Ricordo con piacere come scintillavano i suoi occhietti azzurri
mentre mi diceva trionfalmente indicandomi un passeggio: «Qui
ho dato del filo da torcere alla cantante! Avrà da faticare
maledettamente prima di riuscirci». In simili rari istanti in
cui il suo occhio si illumina, si intuisce che vi è qualche
cosa di demoniaco profondamente celato in quest'uomo, il quale a
tutta prima suscita quasi diffidenza per la puntualità, la
metodicità, l'assenza di nervi, la solidità artigiana
del suo modo di lavorare. Anche il suo volto del resto dà
un'impressione di banalità con le guance grassocce ed
infantili, con la rotondità un po' comune dei lineamenti e con
la fronte dalla curva incerta: basta però guardare i suoi
occhi chiari, azzurri e fortemente radiosi, per sentire al di
là della maschera borghese una particolare forza magica. Sono
forse gli occhi più vigili che io abbia veduto in un
musicista, non occhi demoniaci, ma in certo modo veggenti, gli occhi
di un uomo che ha riconosciuto il proprio compito sino
all'estremo. |
Tornato a Salisburgo dopo
l'interessante incontro, mi diedi subito al lavoro. Curioso io stesso
di vedere se avrebbe potuto accostarsi ai miei versi, gli mandai
già due settimane dopo il primo atto. Mi rispose subito con
una cartolina che citava i «Maestri Cantori»: «La
prima strofa riuscì». Dopo il secondo atto mi giunsero,
quale saluto ancor più cordiale, le prime battute della sua
canzone «Per fortuna ti ho trovato, bimba diletta» e la
sua gioia, anzi il suo entusiasmo, trasformarono la mia fatica in un
indicibile piacere. Richard Strauss non ha mutata una riga di tutto
il mio libretto, pregandomi soltanto una volta di aggiungere tre o
quattro versi per avere un'altra voce. Si stabilirono così fra
noi i rapporti più cordiali, egli fu ospite in casa nostra ed
io andai da lui a Garmisch, dove mi suonò al pianoforte con le
sue belle dita lunghe e magre tutta l'opera nel suo primo abbozzo.
Senza che ci fosse contratto od obbligo, fu stabilito come cosa ovvia
che finita quell'opera gliene abbozzassi un'altra, di cui aveva
già approvato l'idea. |
Nel gennaio 1933, quando
Adolf Hitler giunse al potere la nostra opera «La donna
taciturna» era pressoché pronta nella riduzione per
pianoforte, mentre il primo atto era già strurnentato. Poche
settimane più tardi fu emanato il rigido divieto per tutti i
teatri tedeschi di rappresentare opere di non ariani, od anche quelle
di cui fosse stato collaboratore in qualunque forma un ebreo. La
grande scomunica fu estesa anche ai morti e, con sdegno dei musicisti
del mondo intero, la statua di Mendelssohn venne allontanata dal
Gewandhaus di Lipsia. Io ritenni che con quel divieto fosse conclusa
la sorte della nostra opera ritenni cioè naturale che Richard
Strauss rinunciasse a compietarla e si accingesse a cominciarne
un'altra con altro libretto. Egli invece mi scrisse lettere su
lettere per dirmi che ero pazzo, che al contrario io pensassi a
preparare il testo dell'opera prossima, intanto che da parte sua
istrumentava la prima. Non pensava affatto a subire imposizioni circa
la collaborazione ed io debbo dichiarare apertamente che nel corso di
tutta la vicenda egli ha conservato verso di me fedeltà di
sodale, finché questa fu possibile a conservarsi. |
È vero che in pari
tempo prese delle misure a me molto meno simpatiche si accostò
ai nuovi signori, si incontrò sovente con Hitler, Goering e
Goebbels, ed in un periodo in cui persino Furtwängler osava
aperti gesti di resistenza, si lasciò nominare presidente
della Reichsmusikkammer nazista. Questa sua aperta adesione tornava
in quel momento di enorme importanza ai nazionalsocialisti. Con loro
dispetto avevano voltate le spalle al nazismo non soltanto i migliori
scrittori, ma anche i musicisti più notevoli, ed i pochi
solidali con loro o transfughi dall'altro campo erano degli
sconosciuti al gran pubblico. In simile penoso momento l'alleanza del
musicista più celebre della Germania aveva in senso decorativo
un enorme valore per Goebbels e Hitler. Questi che, come mi
raccontò Strauss, già negli anni del suo vagabondaggio
viennese, col poco denaro chissà come racimolato era andato a
Graz per assistere alla prima rappresentazione della Salomè,
gli rendeva onore con ostentazione; nelle serate di gala a
Berchtesgaden, oltre ai Lieder di Wagner, non si cantavano che quelli
di Strauss. |
L'adesione invece da parte
di Strauss aveva fini precisi. Nel suo egoismo artistico, che egli
sempre apertamente e freddamente confessava, ogni regime gli era in
ultima analisi indifferente. Aveva servito come direttore d'orchestra
il Kaiser e istrumentate per lui marce militari, poi era stato nella
stessa qualità a Vienna per l'imperatore d'Austria, e si era
infine conservato persona gratissima tanto nella repubblica austriaca
che in quella germanica. Andare incontro ai nazi era inoltre di
vitale interesse per lui, giacché egli, dal punto di vista
nazionalsocialista, aveva un passivo notevolissimo. Suo figlio aveva
sposato un'ebrea ed egli aveva motivo di temere che i suoi
adoratissimi nipotini potessero venir esclusi come reprobi dalle
scuole; la sua ultima opera era compromessa dal mio nome, quelle
precedenti dal nome non «puramente ariano» di
Hofmanosthal, il suo editore era un ebreo. Gli parve insomma urgente
crearsi un sostegno alle spalle, e a questo mirò con la
massima tenacia. Andò a dirigere dovunque i nuovi padroni
ordinassero, mise in musica un inno per le olimpiadi e in pari tempo
nelle sue liberissime epistole si espresse con me con ben poco
entusiasmo per quell'incarico. In realtà, nel suo «sacro
egoismo» d'artista egli si preoccupava di una cosa sola
conservare la viva efficacia dell'opera propria e ancor più
vedere rappresentato il nuovo melodramma particolarmente caro al suo
cuore. |
Per me naturalmente simili
concessioni al nazionalsocialismo riuscivano penosissime. Era facile
infatti che nascesse l'impressione di una mia segreta
complicità o anche solo del mio consenso ad accettare per la
mia persona un'unica eccezione al vergognoso boicottaggio. Da tutte
le parti i miei amici insistevano perché io pubblicamente
protestassi contro una rappresentazione dell'opera nella Germania
nazista. Ma in primo luogo io ho per principio orrore di ogni gesto
pubblico e patetico, in secondo mi ripugnava creare difficoltà
ad un uomo geniale dell'altezza di Richard Strauss. Egli era il
maggior compositore vivente, aveva settant'anni, aveva dedicato tre
anni di lavoro a quest'opera dimostrandomi durante tutto questo tempo
la sua cordiale amicizia, la sua correttezza e persino il suo
coraggio. Ritenni perciò fosse giusto da parte mia attendere
in silenzio e lasciare che le cose avessero il loro corso. Sapevo
inoltre che con nessun altro mezzo come con la mia perfetta
passività avrei potuto crear difficoltà ai nuovi
protettori della civiltà tedesca Il Ministero della propaganda
e il sindacato degli scrittori aspettavano soltanto il pretesto per
giustificare la proibizione anche del loro maggior
musicísta. |
Venne per esempio richiesto
il libretto da tutta una serie di uffici e di personaggi, certo nella
segreta speranza di trovarvi un pretesto al veto. Come sarebbe stato
comodo se quella «Donna taciturna» avesse contenuto una
situazione un po' scabrosa' come quella del «Cavaliere dolla
rosa», in cui un giovanotto esce dalla camera di una donna
maritata! Si sarebbe potuto fingere di dover proteggere la morale
tedesca Invece, con gran delusione, il mio testo non conteneva nulla
di sconveniente. Furono studiati allora gli schedari polizieschi e
riveduti i miei vecchi libri. Ma anche in essi non c'era nulla da
scoprire, perché io non avevo mai pronunciato una parola di
disprezzo per la Germania, come del resto per nessun'altra nazione
del mondo, e mai avevo preso parte alla politica. Checché
facessero e tentassero, la decisione ricadeva su di loro: se impedire
cioè davanti al mondo intero al loro decano, al quale avevano
affidato lo stendardo della musica nazista, l'esecuzione della sua
opera o se invece permettere - giorno della vergogna nazionale! - che
il nome di Stefan Zweig, la cui omissione quale librettista non era
tollerata da Richard Strauss, dovesse contaminare ancora una volta,
come tanto sovente in passato, i manifesti teatrali germanici. Fra me
e me godevo delle loro preoccupazioni e del loro rompicapo: capivo
che, anche senzafar nulla, o meglio proprio non facendo nulla, la mia
commedia musicale si sarebbe fatalmente risolta in una gran chiassata
politica. |
Il partito evitò di
prendere decisioni fin che fu possibile, ma al principio del 1934
dovette risolvere se menersi contro i propri stessi decreti o contro
il maggior musicista del tempo. Non vi era più luogo a
rimandò gli spartiti, le riduzioni per pianoforte, il
libretto, tutto era stampato e pronto; al teatro di Corte di Dresda i
costumi erano ordinati, le parti assegnate ed anzi già
studiate, mentre le diverse istanze, Goering e Goebbels, sindacato
letterario e consiglio culturale, Ministero dell'istruzione e gruppi
estremisti dell'antisemitismo, non riuscivano a mettersi d'accordo.
Per quanto ciò possa oggi apparire incredibile e assurdo,
l'affare della «Donna tariturna» finl per farsi grave
davvero. Nessuno osava assumersi la responsabilità di una
chiara decisione, così che rimase un'unica via affidare la
faccenda al responso personale del signore della Germania,
nonché del partito, ad Adolf Hitler. |
I miei libri avevano
già prima avuto l'onore di esser letti largamente dai nazisti;
specialmente «Fouché», quale esempio di assenza di
scrupoli, veniva di continuo letto e discusso. Ma non mi sarei mai
immaginato di dover procurare, oltre che a Goebbels e a Goering,
anche ad Adolf Hitler in persona la fatica di leggere ex novo i tre
atti del mio libretto lirico. La decisione non gli tornò
facile. Ci fu, come m i fu poi riferito per numerose vie segrete,
tutta una serié di conferenze. Alla fine Richard Strauss venne
chiamato davanti all'onnipotente, e Hitler gli comunicò in
persona che permetteva la rappresentazlone m via eccezionale,
benché essa contravvenisse a tutte le leggi del nuovo Reich
tedesco, una decisione che aveva probabilmente presa non meno di
malavoglia e non meno slealmente di quando firmò il trattato
con Stalin e Molotov. |
S'avvicinò
così quella nera giornata per la Germania nazional-
socialista, in cui venne ancora rappresentata una opera che ostentava
su tutti i manifesti murali il nome di Stefan Zweig. Naturalmente io
non assistetti alla rappresentazione, ben sapendo che la sala sarebbe
stata piena di uniformi brune e che Hitler: medesimo era atteso per
una delle esecuzioni. L'opera ottenne un grande successo, ed io debbo
anche dire ad onore dei critici; musicali che nove decimi di essi
approfittarono con entusiasmo di quell'occasione per rivelare ancora
una volta, e per l'ultima la loro opposizione interiore al criterio
razzista, facendo cioè i più cordiali elogi del mio
libretto. Tutti i teatri tedeschi, Berlino, Amburgo, Francoforte,
Monaco annunciarono subito per la stagione seguente la nuova
opera. |
Ma d'un tratto, dopo la
seconda rappresentazione, venne il fulmine. Tutto fu sospeso e
l'opera venne da un giorno all'altro proibita non solo per Dresda ma
per tutta la Germania. Non basta si lesse con stupore che Richard
Strauss aveva presentato le sue dimissioni da presidente della
Reichsmusikkammer. Ognuno sapeva che doveva esser successo qualcosa
di grosso, ma passò qualche tempo prima che io arrivassi a
conoscere l'intera verità. Strauss mi aveva scritto un'altra
lettera, insistendo perché mi accingessi subito a preparargli
il libretto di una nuova opera, ed esprimendo con troppa
libertà il punto di vista personale. Questa lettera era
cascata in mano alla polizia segreta e, presentata a Strauss
medesimo, lo aveva costretto a dare le dimissioni, mentre l'opera
veniva proibita. |
Essa non è andata in
scena in lingua tedesca altro che nella libera Svizzera ed a Praga
Più tardi fu rappresentata alla Scala di Milano con il
particolare consenso di Mussolini, il quale allora non si era ancora
sottomesso al criterio della razza. Il popolo tedesco non ha
più udito una nota di quest'opera senile, ma in parte
affascinante, di uno dei suoi più grandi musicisti. |
|
|