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Friedrich Cerha

IL TERZO ATTO DI «LULU»

 

Dopo diciotto mesi di studio, ho iniziato a padroneggiare i risultati del mio lavoro e a poterli reciprocamente comparare. Ero conscio di dover procedere in modo particolarmente prudente nella valutazione degli argomenti, tenuto conto del pro e del contro carico d'emozione che avevo trovato all'interno della Cerchia Schönberg, largamente all'oscuro delle fonti e, entro certi limiti, nell'ambiente dei musicologi; ma anche tenuto conto del mio personale entusiasmo per l'intera questione.
Ho perciò dapprima cercato di mettere insieme tutti. i punti negativi. In primo luogo, occorreva prendere in considerazione le integrazioni da apportare al testo musicale. Per quanto concerne la stesura di un passaggio da inserire, necessario per il secondo concertato dal punto di vista drammaturgico, è assai probabile che Berg si sarebbe concesse maggiori libertà di quante la mano esterna abbia potuto. Non sono da escludere piccole incertezze nelle aggiunte alle riprese. Fondamentalmente, tuttavia. Ia struttura corrisponde al disegno dell'autore.
Nelle parti completate nel terzo e nel quarto concertato, è verisimile, data la quantità delle varianti possibili nello sviluppo delle parti di canto, derivate da quella d'orchestra, che il mio testo non corrisponda in ogni particolare a quello che avrebbe composto Berg. Per esprimere un giudizio su questo fattore negativo, occorre valutare l'importanza degli esempi citati rispetto alla forma musicale in quegli stessi passaggi, e quali conseguenze ne derivino per l'opera nel suo complesso. In ambedue i casi, la frase musicale esiste nella sua forma completa, così come la voce di canto principale.
Nel terzo concertato, l'incertezza non riguarda che un aspetto secondario, chiamato da Berg «Rhabarba» nel primo. Rispetto alla totalità della forma, i particolari integrati hanno scarsa importanza: Berg vuole che le voci principali da lui stabilite si staglino al di sopra del «brusio» delle altre.
Le cose vanno diversamente nel quartetto. Certamente, si tratta anche in questo caso di parti di canto secondarie che devono derivare dalla frase, ma che sono significative all'ascolto per circa 52 secondi, durante i quali costituiscono tutte insieme un'unità strutturale con la voce principale cui sono subordinate. I dubbi sono co munque limitati, nella misura in cui taluni sviluppi musicali della frase si rivelano immediata mente e particolarmente adatti ad essere ripresi in parti di canto. Si possono naturalmente indicare altre possibilità, oltre a quelle da me scelte per l'armonizzazione tonale del «Canto del liuto» di Wedekind. Ma non si può porre in discussione la funzione di citazione tonale dell'Organetto di Barberia nei passaggi citati (terzo atto, batt. 737 e seg., 827 e seg.).
I due brevi passaggi (terzo atto, batt. 1088 e seg., 1264/65) che ho trattato secondo il corrispondente contesto, così come le battute che devono essere interpretate, hanno un'importanza secondaria. In secondo luogo, occorreva fissare nuovamente l'attenzione sul campo della strumentazione. Sui 64 minuti di durata complessiva del terzo atto, Berg ha strumentato di propria mano circa 19 minuti. Sulla base delle mie ricerche, ad essi può venire aggiunto un primo gruppo di episodi - per circa 17 minuti - la cui versione strumentale non può venir discussa, visti gli imprestiti diretti o molto significativi tratti dal materiale già esistente: un secondo gruppo - per circa 20 minuti - è costituito da parti la cui strumentazione, nello spirito di Berg, è stata possibile sulla scorta dell'abbondante materiale di corrispondenze; il terzo gruppo, in cui le soluzioni adottate contengono un certo grado di dubbio, comprende circa 8 minuti di musica. Per quanto concerne il fraseggio, l'articolazione e la dinamica, è stato quasi costantemente possibile limitare le divergenze da un'eventuale versione autentica, grazie alla ricchezza del materiale comparativo esistente. Ciò è stato possibile al punto che tali differenze non superano le dimensioni che comunque assumono quando vengano eseguite diverse edizioni di un brano musicale, o quando vi si cimentino differenti interpreti. Ciò le colloca dunque a semplice livello redazionale.
Di conseguenza, rimangono questi punti seriamente negativi:

- dubbi circa il testo musicale nei passi citati e in gradi diversi, per 88 battute delle 1326 che costituiscono complessivamente il terzo atto: massima importanza tra queste hanno quelle del quartetto, per la durata di 52 secondi.

- dubbi di strumentazione che riguardano diversi passi, per una durata totale di circa 8 minuti di musica.

Ma d'altra parte si deve considerare che il terzo atto costituisce un organismo coerente che dura più d'un'ora, e di cui solo 6 minuti sono stati sino ad oggi conosciuti attraverso le due ultime frasi dei «Pezzi Sinfonici» (Lulu-Symphonie), mentre anche solo le stesse proporzioni che abbiamo evidenziato rendono significativa l'esigenza di conoscere ciò che, rispetto ad esse, comporti di positivo la ricostituzione del terzo atto.

Partiamo anzitutto dal testo. Karl Kraus, nel suo discorso del 1935, ha rilevato con estrema chiarezza e senza concessioni i risentimenti nei confronti del terzo atto a partire da considerazioni morali: «La poesia di bassa lega diventa poesia dei bassifondi, la sola che può condannare l'imbecillità ufficiale che preferisce la cattiva rappresentazione di un palazzo a una buona raffigurazione di un canale di scolo. Ma non è su una siffatta scena che si trova la verità: essa vi sta dietro». Nei bassifondi parigini, che dominano il primo quadro dell'atto terzo, cadono col tono di una confessione le parole di Lulu che valgono a giustificarla e a scoprirne l'intima natura: alla proposta del prosseneta che intende inviarla in un bordello del Cairo, essa risponde: «Non sono adatta per quel mestiere». Più avanti, afferma: «... Se pecco contro la mia ragione, mi sento il giorno dopo sporca nel corpo e nell'anima» e «verrò con te in America, in Cina. Ma non posso vendere la sola cosa che mai sia stata mia.» È da questo 'peccato' che deriva, nel secondo quadro, la sofferenza nella miseria della mansarda londinese, sovrapposta a ricordi suscitati dal ritratto di Lulu che risale all'epoca precedente. Berg rende chiara la situazione facendo impersonare gli attuali clienti di Lulu dai mariti di un tempo.
Dice Karl Kraus: «A questo punto, quando entrano in gioco rivoltella e coltello da macellaio, da questi abissi di un mondo greve e brutale echeggiano i suoni più puri. Gli avvenimenti inauditi che qui hanno luogo possono respingere chi chiede all'arte null'altro che un divertimento, o che essa almeno non superi le sue personali capacità di sopportazione. Ma il giudizio sarebbe debole quanto i suoi nervi se egli volesse negare la grandezza di questa concezione.»
Il 21 marzo 1934, Berg scrisse a E. Kleiber: «Soltanto adesso che posseggo una visione d'insieme sono pienamente convinto della profonda morale del dramma - l'ascesa e la caduta di Lulu si controbilanciano; al centro sta il grande rivolgimento. Sino a che, finalmente come Don Giovanni, essa viene portata via dal demonio. Coloro che rifiutano il terzo atto di Berg accettano, nella soluzione oggi abituale - e con l'eccezione delle frasi della «Lulu Symphonie» con la scena delI'assassinio che viene nuovamente aggiunta - la conclusione del secondo atto come finale dell'opera. Vi si vede una Lulu, restituita alla vita e al mondo degli uomini, che, tra le braccia del suo amante, pone la questione di sapere se per caso il divano su cui essi sono distesi non sia ancora quello su cui il padre di lui «è morto perdendo sangue»: quel Dottor Schön che essa ha ucciso a colpi di pistola e che è stato il solo uomo a cui Lulu si sia sentita più profondamente legata. È l'unico momento di questa doppia tragedia che possa realmente urtare il moralista a causa del suo contenuto blasfemo. Il fatto di propendere verso questa soluzione finale del dramma di Lulu rivela riserve d'ordine morale, ed esprime una mancanza di riflessione non comune, oppure ipocrisia.
Obbiettivamente, è la negazione della concezione drammatica di Berg, che è giunta all'estrema maturazione e che ormai esalta quella di Wedekind. Ad esempio, attraverso il rapporto istituito tra i mariti e i clienti di Lulu. Lo studio dei collegamenti tra il libretto di Berg e i drammi di Wedekind è assai illuminante. Come accade in Woyzeck, essi offrono una brillante conferma del senso berghiano dell'essenziale drammatico. La «fine della storia» non migliora nulla, ma è piuttosto il coronamento dell'incomprensione e della distruzione.
La costruzione musicale corrisponde in modo grandioso al disegno drammaturgico: essa è già stata con chiarezza esposta nei suoi principi in quanto è stato sino ad oggi scritto a proposito di Lulu.
Se da ciò emerge una visione d'insieme, rimane tuttavia affascinante non solo seguire la complessità delle implicazioni, dei rimandi, la ricchezza di rapporti tra i vari elementi, le parti della costruzione, ma anche osservare ciò che è stato lasciato in bianco. Chi va alla ricerca della funzione drammatica di talune figure musicali impiegando diverse strade, acquista grazie a ciò considerevoli conoscenze circa la collocazione del terzo atto nell'organismo completo.
Alcuni esempi: La «musica da circo» svolge un ruolo predominante nel primo quadro del terzo atto; i tre concertati che costituiscono l'ossatura di questo quadro e la pantomina sono dominati da tale musica. Nel primo e nel secondo atto essa è del tutto assente. Di contro, essa compare nel prologo - subito dopo l'invito del domatore ad entrare - all'inizio del testo propriamente detto (batt. 9 e seg.) e poco prima della conclusione (battuta 73 e seg.), quando termina. Il circo è per Berg come per Wedekind - ambedue figli dell'Espressionismo - un'immagine per la osservazione a distanza delle relazioni umane.
Nel secondo quadro del terzo atto, il modello citato, che vi corrisponde e che viene ogni volta modificato in modo caratteristico, appare ancora due volte: quando Schigolch, in modo secco e perfettamente triviale spiega l'arrivo della contessa Geschwitz nel quartiere povero di Londra (batt. 896 e seg.) e - a livello dei corni chiusi - nel momento in cui Jack, dopo aver ucciso Lulu e affondato il coltello nel corpo di Geschwitz, non chiede che un asciugamani pulito (batt. 1308 e seg.). Se il terzo atto scompare, non rimane, di questa «musica da circo» che qualche battuta nel prologo, mentre essa è così caratteristica e significativa della natura dell'intero dramma. Compare esclusivamente nell'ultimo atto il «Canto del liuto# di Wedekind.
La frase delle variazioni che sino ad oggi è stata nella pratica corrente unita al secondo atto, non è che un corpo estraneo in questo contesto, non previsto da Berg. Il suo significato drammatico non si scorge che nella costruzione generale del terzo atto. Il «Canto del liuto# viene ascoltato per la prima volta nell'assolo di violino durante la canzone del prosseneta (terzo atto, batt. 103 e seg.) sulla base della struttura della prima variazione, e poi, nel momento in cui il prosseneta parla del ritratto di Lulu - questa volta variato nella melodia - in relazione con le armonie del quadro (terzo atto, batt. 172 e seg.). Le stesse quattro variazioni costituiscono la musica per il cambiamento di scena tra il primo e il secondo quadro del terzo atto (batt. 693 e seg.) e sfociano (batt. 737 e seg.) nel vero e proprio tema che compare nella sua forma pura per la prima volta al levar del sipario e in riferimento alla miseria della soffitta londinese, così come la citazione tonale dell'organetto di Barberia.
Esso accompagna il dialogo Schigolch-Alwa e ritorna ancora suonando, giungendo da lontano, durante il loro dialogo successivo, quando Lulu è scomparsa nella camera con il Professore (batt. 827 e seg.). Il significato drammatico della lamentosa bitonalità dei legni nella seconda variazione diventa evidente quando questo passaggio si ripresenta nel momento in cui Alwa parla della malattia che Lulu gli ha trasmesso dal prosseneta (batt. 1024 e seg.); la terza variazione (Funebre) si rivela, quando viene riproposta, come musica funebre di Alwa (batt. 1110 e seg.).
La contessa Geschwitz non compare come personaggio che nel secondo atto. I passaggi per quinte che appartengono ai suoi connotati musicali si presentano per la prima volta all'inizio di questo atto. Alla morte del Dottor Schön che la scorge morendo ed esclama «Il Diavolo», essi tornano combinati questa volta con quei ritmi - specchi rovesciati - che rimarranno in seguito legati a loro. È solo nel secondo quadro del terzo atto che essi acquistano tuttavia un'importanza formale, perché intere sezioni sono costruite su di essi (batt. 888-894, 900-906, 1123-1137, 1146-1174).
Le dodici variazioni corali della scena Lulu-Marchese costituiscono esse pure un elemento indipendente del terzo atto. Lo stesso corale deriva dalla disposizione, uno di seguito all'altro, degli accordi finali delle diverse sezioni del corale del primo atto (batt. 1113). Al contrario degli esempi sin a qui citati, la cui parte essenziale si trova nel terzo atto, i caratteri galanti della Gavotta e della Musetta per esempio (compreso il tema della Sonata del primo atto, batt. 597 e seg.) - quest'ultima è ripresa nuovamente nella scena Alwa-Lulu al termine del secondo atto (atto secondo, batt. 1087 e seg.) - questi caratteri non trovano più posto nel terzo atto.
Altre forme musicali rivestono un ruolo in tutti e tre gli atti, con momenti importanti diversamente collocati. La musica di seduzione di Lulu, la sua musica di «ingresso in scena» per esempio compare nel prologo (batt. 44 e seg.), è importante nel secondo atto in occasione di diversi mutamenti d'azione (secondo atto, batt. 145 e seg., 209 e seg., 953 e seg., 1001 e seg., 1030 e seg., 1080 e seg. e ritorna nel terzo atto una sola volta - si è tentati di dire beffardamente - nel momento in cui Lulu rivolge a Jack le sue parole piene di sofferenza: «Vi amo talmente. Non mi lasciate più mendicare.»
L'opera nella sua totalità si presenta come un organismo estremamente complesso, in cui ogni parte assume il proprio significato in rapporto con l'insieme. Se si sopprimono degli elementi, si vela, necessariamente, la funzione di tutti gli altri; e presentare due atti non permette affatto di cogliere almeno due terzi dei contenuti significanti, proprio perché le relazioni con tutto l'insieme non sono in tal modo possibili.
Se a ciò si contrappone il grado di dubbio, di possibili perdite d'autenticità nella ricostruzione del terzo atto, allora non può sussistere alcun dubbio - neppure applicando il massimo di scrupolo -: ciò non è importante, rispetto al recupero di una architettura d'insieme che non ha pari nella letteratura lirica del nostro secolo. È certamente alla scarsa conoscenza generale del materiale del terzo atto che si deve il mancato riconoscimento delle rappresentazioni dell'opera così come hanno avuto sino ad oggi luogo per quello che esse erano in realtà: un attacco contro uno dei nostri maggiori compositori di drammi musicali. Mi sembra necessario aggiungere che, su questo punto, non si tratta di opporre un'opinione a un'altra; esistono invece fatti concreti che, al contrario esigono una ricostituzione del terzo atto, quánto più possibile autentica.
Si deve sperare che la prossima comparsa dei Particell e della partitura permetta a tutti di prender conoscenza degli elementi più profondi della mia ricerca, della mia interpretazione e della mia decisione.

(Traduzione di Luigi Ferrari)

© Programma di sala del FESTIVAL BERG 1979, Teatro alla Scala, Milano, p. 89.