BUSONI SU MOZART
1. Dalle lettere

2. Aforismi mozartiani

3. Sui libretti di Mozart

Ho studiato ancora una volta a fondo la partitura del "Flauto Magico". Delizioso com'è, è tuttavia inferiore - nel complesso - ad altri lavori dello stesso Mozart. In tre punti è superiore alle opere precedenti: nell'Ouverture, nella sonorità della prima entrata dei tre fanciulli e nell'atmosfera mistica dei due uomini armati; per il resto la melodia è più generica e meno nobile di quanto siamo abituati con lui, e tutto l'insieme è quasi "allo stato d'abbozzo". La tragica Regina della notte che si mette improvvisamente a gracchiare mi ricorda il "System of Prof. Tarr and Dr. Fether" di E. A. Poe; ma la suprema semplicità con cui sono risolti tanti problemi è, come sempre, sorprendente. A me, personalmente, fa bene al cuore quella qualità latina che fa trattare l'arte con distaccata serenità, dando la preferenza alla forma esterna. La verità è che soltanto per opera di Beethoven la musica è andata a finire in queste acque tempestose, ha adottato quell'espressione da fronte aggrottata che è naturale in lui ma che forse dovrebbe rimanere la "sua" scelta solitaria. - Perché così arrabbiato?, verrebbe spesso fatto di domandare, soprattutto nel secondo periodo!

[Lettera a Egon Petri, Zurigo, 6 dicembre 1915]

Sto studiando le partiture delle opere di Mozart e ho l'impressione che siano più fresche di quella del Parsifal. Sono più teatrali e persino più drammatiche, per non parlare della superiore incisività espressiva. In fondo il teatro appartiene a quella nazione da cui derivano la musica e i libretti di Mozart. Se poi, negli studi preliminari che presumo stia facendo, vuol trovare un contrappeso alla leggerezza di Wolfgang Amadeus, osservi la II parte del Faust di Goethe con gli occhi dell'operista. Riunisce Mozart e Wagner e li supera tutti e due come progetto d'opera. Numerose enunciazioni di Goethe stanno a indicare ch'egli l'ha concepita come opera e che esigeva, per es., due esecutrici per Elena, una che recitasse e l'altra che cantasse. Lo stesso Goethe aveva in mente Mozart - e più in generale un compositore che fosse tedesco di nascita e latino di educazione, o viceversa. (Dunque: Wolf Ferrari). Strano a dirsi, un compositore con questi requisiti ha fatto ora la sua comparsa, soltanto che non ha talento.

[Lettera a Hugo Leichtentritt, Zurigo, 16 maggio 1916]

Poiché sto parlando di nuove conoscenze musicali, Le cito soprattutto quella, fatta nei mesi scorsi, della partitura dell'Idomeneo di Mozart. Quest'opera, scritta a 24 anni, mi ha sbalordito e riempito di ammirazione. Assolutamente giovanile nella sua virile maturità, gran copia di idee originali, un trattamento dell'orchestra (4 corni e 3 tromboni) fenomenale per il suo tempo e sbalorditivo ancor oggi. Noi, nati verso la metà del secolo XIX, abbiamo avuto un'educazione sbagliata: ci hanno insegnato che sarebbe disonorevole non conoscere un lavoro di Beethoven mentre non sarebbe un demerito ignorare un capolavoro di Mozart. Ora io mi allontano sempre più dalla serietà corrucciata del primo e vado riconoscendo sempre più la grande serietà del secondo (il quale in realtà è il primo) dietro la sua serenità. Oggi che le cose stanno cambiando, il culto simbolico-poliziesco di Beethoven dovrebbe venir riportato nei suoi giusti limiti. È arrabbiato?

[Lettera ad Hans Huber, Zurigo, gennaio-febbraio 1919]

Due sono le cose che ritengo importanti per il progresso della musica. Prima di tutto: in questo ancor giovane secolo sono stati fatti molti esperimenti; partendo da tutto ciò che è stato fatto - dal nuovo e dal vecchio - si tratterebbe ora di dare nuovamente forma a qualcosa di durevole. È quello che tento di fare io. La maestria della forma e la gioia di far musica dovrebbero riacquistare i loro legittimi diritti. Si è già rimuginato troppo, troppo si è andati alla ricerca della profondità, troppo soggettivismo c'è stato nella musica. Anche troppi inutili rumori. - Si dovrebbero esprimere cose non comuni con parole comuni, come dice Schopenhauer, non viceversa. Dunque: Mozart e Goethe."

[Lettera a H. W. Draber, Zurigo, 9 aprile 1919]

Ho rielaborato piuttosto liberamente il Finale di un Concerto in mi bemolle maggiore di Mozart (in forma di "Rondò Concertante") - un pezzo leggero, molto gradevole da suonare; in futuro diventerà sicuramente un pezzo favorito dei "Concours de piano". Ho avuto così l'opportunità di esaminare più a fondo l'orchestrazione. Uno dei segreti di Mozart sta nell'impiegare ogni strumento nel registro che gli è più naturale - per esempio nei raddoppi di un "tutti" è di questo che tiene conto, molto più che del fatto che tutte le ottave abbiano uguale forza. Così ogni strumento ha la possibilità di sviluppare il massimo della sua sonorità.

[Lettera a Philipp Jarnach, Londra, 1º dicembre 1919]

Studiando Mozart trovo sempre maggiore conferma della mia teoria che una scelta limitata di strumenti costringe a trovare nuove possibilità; perché in questo modo la routine della piena orchestra diventa irrealizzabile. Del resto - come Flaubert insegnava, un tempo, al suo allievo Maupassant a condensare una descrizione di due pagine in un'unica frase - , così bisognerebbe far arrivare l'allievo di composizione a ridurre una partitura di 30 righi a 18 righi (e anche meno). (Lo stesso vale, analogamente, per lunghe sezioni di sviluppo, modulazioni e transizioni - in cui Wagner ha perso ogni misura.) [Ibidem]
Wagner - e i due più recenti [Debussy e Strauss] - non avrebbero superato la "prova dell'acqua e del fuoco" del "Flauto magico". La cascata nella "Sinfonia delle Alpi" è il pendant dell' "Incantesimo del fuoco". Soltanto Mozart fa qui quel che va fatto. - Qui sta la differenza tra il "Flauto magico" e l' "Idomeneo". - Dell' "Idomeneo" si può quasi dire che è wagneriano: l'idea non basta ancora a se stessa - viene addobbata esteriormente. Quanto resta ancora da fare! E come sembrerà ovvio più tardi! - "Da Mozart ho imparato a dire cose importanti in forma spigliata e divertente", mi ha detto Bernard Shaw. - Inoltre mi ha scritto: "Se non ci decidiamo a coltivare in noi un volgare appetito per le melodie diatoniche, ci raffineremo fino ad arrivare al 'nulla'." - (Il nesso tra quest'ultima proposizione e la premessa non è strettamente logico). - Ma saprà estrarre Lei da tutte queste chiacchiere il nocciolo delle mie opinioni? E lo troverà giusto? Credo di sì.

[Lettera a Philipp Jarnach, Londra, 2 dicembre 1919]

Mi è stato riferito un detto delizioso di Gounod: "Beethoven c'est le plus grand, mais Mozart est unique." Ho passato in rivista i successori, la "scuola" di Mozart. Ci sono pochi discepoli, ma sono dei maestri. In primissima fila vanno nominati Cherubini, Rossini e Mendelssohn. È venuta poi la funesta "popolarizzazione" della "Nona", che ha confuso le idee e non ha prodotto alcun frutto. I seguaci di Wagner non rappresentano che un ininterrotto declino. Allora dove dirigersi? Verso la nuova classicità, ma non "all'indietro", qui sta "il nocciolo del cane".

[Lettera a Philipp Jarnach, Parigi, 22 marzo 1920]

In questi giorni ho letto alcuni madrigali di Monteverdi [...] che mi hanno fatto un'impressione enorme. L'intensa espressività, che respira e parla, la libertà e la bellezza della forma li collocano al vertice, accanto a Bach e Mozart. Quel che questo musicista dovrebbe rappresentare - ora! - per l'Italia mi è apparso talmente chiaro che ho scritto apposta una lettera sull'argomento al Ministero delle belle arti a Roma.

[Lettera a Volkmar Andreae, Berlino, 15 giugno 1921]

Il culto di Mozart aumenta qui un po' alla volta e il dominio di Wagner diminuisce lentamente. Abbiamo avuto qui una bella rappresentazione di "Così fan tutte ", io ho suonato sei Concerti per pianoforte in due serate, da giorni è andato in scena un nuovo allestimento del "Flauto magico" ed Edwin Fischer dà un concerto interamente dedicato a... Bach e Mozart ! Si va lentamente facendo piazza pulita anche delle abborracciature e imposture espressioniste. Quando sono arrivato qui, solo il dernier cri aveva valore - non importava come suonasse - (o che aspetto avesse). Questa pestilenza si trasferisce all’estero, a quanto sembra. [...] Ma, per tornare a Mozart, recentemente ho sbalordito (temo) il signor von Schillings, avanzando la congettura che a Mozart le cose siano andate male nella vita, invece relativamente bene a Beethoven. Di conseguenza Mozart ebbe abbondanti "occasioni" di scaricare il suo cattivo umore nella vita reale, tanto che per l'arte gli rimase solo la serenità (allusivamente offuscata qua e là da un accento di dolore); mentre fu il demone del più fortunato Beethoven a spingerlo a tradurre in musica il suo cattivo umore. Quest'ultima formulazione è un po' superficiale, non ho ancora trovato la forma che motivi psicologicamente ciò che per ora intuisco esser vero.
Qualcosa di simile avviene in Schopenhauer, che viveva molto comodamente a Francoforte, in piena indipendenza e proprio come gli pareva e piaceva; e in teoria trovava che tutto il mondo andasse male - cosa non del tutto falsa, ma per affermare la quale egli, da parte sua, non aveva giustificazioni.

[Lettera a Volkmar Andreae, Berlino, 16 gennaio 1922]

N.B.: Gli originali di queste lettere sono in tedesco. Esse sono tratte dalla fondamentale antologia di lettere busoniane concepita e curata da Antony Beaumont: F. BUSONI, "Lettere con il carteggio Busoni-Schönberg", scelta e note di Antony Beaumont, edizione italiana a cura di Sergio Sablich, Milano, Ricordi-Unicopli, 1988.
Aforismi mozartiani
nel 150º anniversario della nascita del Maestro
Berlino, Gennaio 1906

In questi giorni, quando ogni musicista rivolge più che mai i suoi pensieri a Mozart, ho scritto i seguenti aforismi: soggettivi e poco esaurienti, ma pure tali da aiutare a fissare le caratteristiche dell'immagine, più o meno compiuta, del "divino Maestro", che tutte le persone colte portano in sé. Vi mando queste note nella forma semplice in cui sono nate.
Questo io penso di Mozart: à la più compiuta apparizione di talento musicale che si sia avuta finora.
Il puro musicista guarda a lui, beato e disarmato.
La sua breve vita e la sua fecondità sollevano la sua perfezione al livello del fenomeno.
La sua non mai turbata bellezza sconcerta.
Il suo senso formale è quasi extraumano.
Simile al capolavoro di uno scultore, la sua arte è un'immagine finita da qualsiasi lato si contempli.
Ha l'istinto dell'animale: si pone il compito in corrispondenza alle proprie forze - fino al loro limite estremo, non mai oltre.
Non osa nulla di temerario.
Trova senza cercare, e non cerca ciò che sarebbe introvabile - forse in trovabile per lui.
Possiede mezzi straordinariamente ricchi, ma non li spreca mai.
Può dire molto ma non dice mai troppo.
È appassionato, ma serba le forme cavalleresche.
Porta in sé tutti i caratteri, ma solo come attore e ritrattista.
Insieme all'indovinello ti porge la soluzione.
Le sue misure sono sorprendentemente esatte, ma si lasciano misurare e calcolare.
Dispone di luce ed ombra; ma la sua luce non offende, e la sua tenebra lascia vedere ancora chiari i contorni.
Nella situazione più tragica ha ancora pronto un tratto di spirito - in quella più allegra può insinuare un risvolto dotto.
È universale in virtù della sua agilità.
Può estrarre ancora qualcosa da ogni calice, perché non ne ha mai vuotato alcuno sino al fondo.
Sta così in alto, che vede più lontano di tutti, e per ciò rimpicciolisce un poco ogni cosa.
Il suo palazzo è smisuratamente grande, ma egli non esce mai dalle sue mura.
Dalle sue finestre vede la natura; la cornice delle finestre è anche la cornice di quella.
Giocondità è il suo carattere più spiccato: infiora anche la cosa più spiacevole di un sorriso.
Il suo sorriso non è quello di un diplomatico o di un commediante, ma di un animo puro - e tuttavia d'un uomo di mondo.
Se il suo animo è puro non è per ignoranza.
Non è rimasto semplice e non è divenuto raffinato.
È pieno di temperamento senza alcun nervosismo - idealista senza diventare immateriale, realista senza bruttezza.
È altrettanto borghese quanto aristocratico; non mai contadino o sedizioso.
È un amico dell'ordine; miracoli e diavolerie conservano le loro 16 e 32 battute.
È religioso, in quanto religione si identifica con armonia.
In lui antichità e rococò si uniscono in modo perfetto, pur senza che ne risulti un'architettura nuova.
L'architettura è l'arte più prossima alla sua.
Non è demoniaco né trascendentale; il suo regno è di questa terra.
È il numero finito e perfetto, la somma tratta, una conclusione, non un principio.
È giovane come un giovinetto e saggio come un vecchio - non mai invecchiato, mai moderno, portato alla tomba e sempre vivo. Il suo sorriso così umano ci irradia, trasfigura ancora...

F. Busoni, «Lo sguardo lieto. Tutti gli scritti sulla musica e le arti», a cura di F. D'Amico, Milano, Saggiatore, 1977, pp. 295-297.
Sui libretti di Mozart
Berlino, fine del 1920

I tedeschi (i quali, con tutta la venerazione che prestano ai loro geni, si prendono facilmente con loro delle confidenze) negano l'eccellenza dei libretti mozartiani: li definiscono cattivi, sebbene:

1) l'infallibilità dell'istinto artistico nella scelta di Mozart resti incontrastata;

2) i personaggi delle sue opere siano vivi e non accennino a invecchiare;

3) le citazioni delle sue opere siano diventate frasi idiomatiche;

4) egli abbia dato ai tre tipi del dramma, della commedia, dell'azione simbolica, forma definitiva;

5) Goethe abbia dimostrato il suo apprezzamento per il Flauto magico in quanto poesia, scrivendone una continuazione;

6) gl'impresari di teatro non abbiano coraggio di rappresentare i lavori di prosa dai quali i libretti di Mozart sono tratti: tra i quali sono capolavori letterari e drammatici come il Don Juan Tenorio (El hurlador de Sevilla) di Tirso de Molina, e La folle journée (Le mariage de Figaro) di Beaumarchais.

Tuttavia gli esteti, i critici, gli storici tedeschi si pronunziano contro. Bene si espresse invece Grillparzer quando nel 1822 scrisse:

«Se il testo dell'opera Don Giovanni, musicato da Mozart, è tratto direttamente, e non ne dubito, dal Festin de pierre di Molière, non si può elogiare abbastanza l'arte del riduttore, la sua conoscenza di ciò che è proprio dell'opera, la sua profonda penetrazione dell'essenza della musica. La rielaborazione è un modello del genere e Kind avrebbe fatto bene a prenderla a modello per il suo «Freischütz».