IL «COSÌ FAN TUTTE» DI MOZART
SECONDO HARNONCOURT

ALL'OPERNHAUS DI ZURIGO

Intervista al Maestro


____________________________________________________________________________________________






Charlotte Margiono Fiordiligi
Delores Ziegler Dorabella
Anna Steiger Despina
Deon van der Walt Ferrando
Gilles Chachemaille Guglielmo
Thomas Hampson Don Alfonso
Royal Concertgebouw Orchestra
Nikolaus Harnoncourt

Poche cose, nel panorama interpretativo contemporaneo, han diviso gli animi come le esecuzioni di Nikolaus Harnoncourt. Il quale, com'è noto, di recente ha abbandonato quasi del tutto il suono degli strumenti originali per puntare piuttosto alla ricreazione d'uno stile originale, che in quanto tale può esser conseguito anche con l'impiego di strumenti moderni, dal non lieve vantaggio d'essere più costanti nell'intonazione e più gradevoli nel timbro. Con questo nuovo intendimento, Harnoncourt ha affrontato diversi autori, di cui Mozart è senz'altro il più interessante. Ma l'ha affrontato, all'inizio, con un metodo che ne ha compromesso il risultato: ridurre il canto al rilievo da conferire ai recitativi, disinteressandosi se poi le voci erano miserande sotto il duplice profilo della qualità timbrica e della capacità di dominare la tutt'altro che agevole scrittura mozartiana. Metodo dei cui limiti, in tempi più recenti, sembrerebbe essersi reso conto, visto il ben più alto livello dei cast: che puntualmente ha reso assai più ampio il ventaglio delle sue possibilità espressive.

Nel «Così », ci sono in primo luogo diverse novità esecutive. Che non concernono solo questioni di organico (ovviamente ridotto, con conseguente maggior rilievo del settore fiati), o di puntuale adesione alla dinamica d'una partitura di mutevolezza ritmica pressoché inesausta; ma implicano la massima differenziazione di sonorità, anche nell'ambito d'una stessa famiglia strumentale, a seconda delle diverse situazioni narrative. E in tal campo rientra anche la decisione d'affidare Alfonso a Thomas Hampson, ovvero a una potente voce di baritono, mentre Guglielmo è assunto da Cachemaille, timbro più grave (nel video il problema si pone meno, giacché Montarsolo ha un canto d'incerto confine col parlato, e quindi si potrebbe anche sostenere che Furlanetto abbia voce più grave della sua): decisione del tutto in linea con una partitura che ad Alfonso assegna sempre una linea superiore rispetto a quella di Guglielmo, nonché una nutrita serie di acuti, per non parlare della mezzavoce richiesta in «Soave sia il vento», Darticolarmente ostica per un basso.
Ma le novità di gran lunga più rilevanti riguardano, com'è ovvio, il versante interpretativo. Qui, l'incessante libertà in materia di tempi si traduce in una varietà espressiva frastagliatissima, che getta una luce affatto inedita su parecchi episodi: qua e là eccedendo, allorché il disincantato scetticismo - che il romanticismo mai volle accettare tra le caratteristiche di Mozart - si muta in vetriolico cinismo atteggiamento invece alieno all'universo sentimentale di Mozart. Harnoncourt affascina e convince tutte le volte che il sorriso fatuo e lezioso di tempi saltellanti così come li voleva la tradizione, diviene invece sensualità predatoria di ritmi distesi e dilatati, con pause d'avvolgente abbandono: come, ad esempio, «Non siate ritrosi» oppure il duetto Dorabella-Guglielmo. Affascina moltissimo nel suo approfondire in misura capillare ogni parola di ogni recitativo, inserita in un ordito teatrale di stupefacente, modernissima complessità. Convince meno, invece, nei momenti di più intensa partecipazione affettiva, che pure nell'opera ci sono e che vengono inquinati da una certa acidità intellettuale.
Il cast dell'edizione solo audio aderisce, con la forza traente di notevoli personalità, a quanto Harnoncourt fa in sede di concertazione. Hampson è un Alfonso d'inedita statura col suo timbro robusto e bellissimo capace di stagliare un personaggio a tratti inquietante. Cachemaille è un Guglielmo morbido e delicato molto più del consueto, con un'inedita sfumatura d'indolente noncuranza. Molto bravo van der Walt, timbro chiaro ma di vibrante incisività anche in zona acuta, con un'emissione compatta e morbida al servizio d'un interprete sensibile. Un tantino dura e non immune da diverse vetrosità invece, l'emissione della Margiono, che tra l'altro non è molto fonogenica: è però interprete intensa, con un fraseggio di forte spicco. Meno personale come interprete la Ziegler, la quale in compenso canta parecchio meglio, con un timbro ricco d'ombreggiature seducenti. Infine Despina. Parte quanto mai infida, che Harnoncaurt risolve in modo non dissimile da quanto fece Solti, affidandola a una voce scura. Ne vien fuori un personaggio adulto, carico d'esperienza e di scetticismo, che più agli antipodi della tradizionale soubrette non potrebbe essere, diventando anzi persino più inquietante, a tratti d'Alfonso: Anna Steiger canta bene, ha una consistente statura d'interprete, e il taglio teatrale proposto da Harnoncourt vien fuori, ma certo un'italiana - quanto meno un'italiana brava - avrebbe aderito con altro mordente a certi interessantissimi coloriti orchestrali.

CAST

Edita Gruberova Fiordiligi
Delores Ziegler Dorabella
Teresa Stratas Despina
Luis Lima Ferrando
Ferruccio Furlanetto Guglielmo
Paolo Montarsolo Don Alfonso
Wiener Philharmoniker
Nikolaus Harnoncourt
Jean-Pierre Ponnelle


Tre anni prima, Harnoncourt aveva collaborato con Ponnelle alla realizzazione di quest'opera come film girato in studio su base musicale preregistrata. Data la stretta vicinanza temporale l'interpretazione di Harnoncourt anticipa tutte le linee generali presenti nella registrazione Teldec, sovrapponendosi a essa se non per un percettibile disagio dei Filarmonici di Vienna (che non l'hanno mai nascosto, del resto: più duttili e disposti a mutare il proprio suono viceversa, gli olandesi) nel sentirsi chiedere li limitare o comunque di porre in secondo piano il completo dispiegarsi del proprio splendore sonoro, sacrificato alla nitidezza dell'articolazione interna e alla brusca ruvidità di certi attacchi solitamente ben diversi nella consueta tradizione vlennese.
Ma è nella fusione della musica con le immagini che il «Così» di Harnoncourt-Ponnelle s'afferma come una delle letture più originali e interessanti, ancorché non del tutto riuscita. Ogni parvenza di comicità viene drenata via, lasciando allo scoperto solo la lucida crudeltà d'una dimostrazione di come a reggere i rapporti umani sia l'istinto, la frivolezza, l'avidità, il cinismo. Tra i quali può fiorire l'amore, beninteso, ma soltanto un amore di sensi, un erotismo che non conosca ideali o giuramenti per seguire invece l'inclinazione del momento e del luogo, intenso e incolpevole, apportatore di struggente sofferenza, anche, ma nondimeno summa d'ogni scetticismo: questo finale primo, con Ferrando a torso nudo e Guglielmo con la camicia aperta che calamitano occhiate sempre più turbate delle ragazze sotto lo sguardo cinico di Alfonso e Despina, ci porta dritti nel clima delle «Relazioni pericolose».
Il gioco dei travestimenti rappresentò una costante, nel teatro settecentesco, ma nessuno più di Mozart l'ha impiegato con tale abilità per scandagliare regioni oscure dell'animo: pure, l'ultimo atto delle «Nozze», i travestimenti di «Don Giovanni» e le maschere indossate nella notte da Anna, Ottavio ed Elvira, sembrano solo preparare il terreno ai travestimenti che reggono per intero il «Così». Travestimenti che sono però il mezzo per capire la verità delle cose: e Ponnelle, audacemente, li elimina, sottolineando come il vero, l'unico travestimento sia all'interno delle coscienze, come il vedere o no la realtà dipenda interamente da noi. Solo un tenue velo colorato davanti al viso cela i volti di Ferrando e di Guglielmo; la chiave da Fiordiligi consegnata a Despina perché le rechi l'uniforme di Ferrando è una finta, al pari delle vesti militari che dovrebbero trasformarla; nel principiare il duetto finale, Ferrando si toglie del tutto il velo azzurro che gli copriva il viso, e la nuda realtà del desiderio fisico prende possesso della scena con un'evidenza persino dolorosa, prolungata nelle scene del finto matrimonio e del «ritorno» degli antichi fidanzati, in entrambe le quali ognuno è uguale a se stesso.
E alla fine, mentre Alfonso conta le banconote della scommessa, Fiordiligi e Dorabella si levano le due immense parrucche candide e vaporose, quasi ultimo orpello a nascondere la nuda verità delle cose: ognuno dei personaggi ai quattro angoli della scena, separato dagli altri, cui è legato ormai solo dalla consapevolezza amara di quanta solitudine si celi dietro le sovrastrutture idealistiche che ognuno si fabbrica attorno a sé, fingendo non solo con gli altri ma soprattutto con se stesso - estremo e peggiore dei travestimenti - di crederci. Molto drastica, come soluzione, non c'è dubbio. Di straordinaria efficacia, però, nell'elevare l'ambiguità sentimentale e la sua presa di coscienza - sotto il cinismo avido e prezzolato di chi l'ha già fatto molto tempo prima - a unico perno drammatico dell'opera: un'efficacia enormemente potenziata dall'essere la scena legata a filo doppio con la lucida narrazione orchestrale.
La compagnia di canto, quindi, è prima d'ogni altra cosa una straordinaria compagnia d'attori. In testa a tutti porrei Montarsolo: che Alfonso in pratica lo parla, ma con tale sottigliezza, tale naturale e comunicativa spontaneità - frutto anche d'una rinuncia pressoché totale a ogni lazzo o frizzo superfluo - che finisce con l'essere persino dlfficlle accorgersene, tanto la sua presenza letteralmente «buca» lo schermo. Lima e Furlanetto sono perfetti come presenza fisica non meno che come recitazione: ma se il secondo canta piuttosto bene, il primo - al di là del timbro gradevole - è un mezzo disastro tutte le non saltuarie volte che Ferrando dovrebbe alleggerire e sfumare il suono, come nell'«Aura amorosa» una delle peggio cantate di tutta la discografia. La Gruberova ha timbro un po' leggerino, che limita parecchio il lato sensualeggiante di Fiordiligi: canta in modo impeccabile, tuttavia, e se il registro grave è sfocato, quello acuto è in compenso scintillante e sicurissimo, mentre la coloratura è padroneggiata con aplomb persino insolente oltre che con gusto squisito. La Ziegler ripete, con esito ancora migliore, quella Dorabella che sicuramente è stato finora il personaggio a lei più congeniale. Autentica sciagura, invece, la Despina della Stratas, ben più deteriorata rispetto alla già pessima registrazione Erato: vocetta arida, fissa, aspra e sgradevole come gesso strisciato sulla lavagna, senza alcun corpo in basso e tagliente come una lama seghettata in alto, estremamente manierata sia nella recitazione sia nell'accento (i due travestimenti sono di gran lunga i peggiori che si possano udire in qualsivoglia registrazione) è soprattutto lei ad abbassare sensibilmente di livello una produzione che vale comunque la pena conoscere.

L'opera in CD e video.
Guida all'ascolto.

Milano, Il Saggiatore, 1995
pp. 491-493.


L'école de l'amour
ou la confusion des sentiments


Un entretien de Nikolaus Harnoncourt
avec Anca-Monica Pandelea

[Sul booklet si trova il testo originale in tedesco e anche la traduzione in inglese del testo dell'intervista.]


Problèmes de la réception de Mozart

Pandelea: Vous avez dit un jour de Mozart que c'était un compositeur romantique. Pouvez-vous expliquer cette épithète qui peut paraître à première vue déconcertante.
Harnoncourt: A vrai dire, je ne dirai pas d'une manière générale de Mozart que c'est un compositeur romantique. Mais je ressens chez lui certaines œuvres et certains sons comme romantiques et je crois aussi que d'un point de vue historique, ce n'est pas foux, car cette notion de romantisme nous vient de la littérature et existait déjà tout à fait à l'époque de Mozart.
Plusieurs spécialistes de littérature pensent que le «romantisme» commence avec les «Années d'apprentissage de Wilhelm Meister» ou avec «Werher», ce que j'admets aussi.
Je trouve par exemple que, dans le premier opéra de Mozart adulte «Idomeneo» déjà, il existe de très nombreux éléments romantiques - dans la relation à la nature, dans l'instrumentation. Et, chose curieuse, c'est la combinaison des cors et des clarinettes qui produit un son très doux - bien que le critère de romantique ne soit pas accepté pour définir un son. J'appelle romantiques, la manière dont Mozart utilise ces sonorités et les situations qui les amènent. C'est pourquoi l'on a, peu de temps après la mort de Mozart, dans les symphonies écrites pour des familles de bois classiques (deux hautbois et deux cors), remplacé les hauthois par des clarinettes parce que la sensibilité romantique trouvait le timbre du hautbois trop insistant et trop direct, pas assez mystérieux. L'aspect mystérieux qui était très important pour le romantisme ressortait mieux avec la clarinette.
Il en existe, dans «Così fan tutte», un très bon exemple. Dans les trois premiers morceaux, lorsque les hommes disputent de la fidélité de leurs femmes, il s'agit d'une scène très concrète, très réaliste qui se déroule dans un espace intérieur et l'on utilise ici un orchestre normal. Puis il y à changement de tableau et l'on se retrouve dans un jardin ou bord de l'eau où les deux jeunes femmes s'exaltent en regardant les portraits de leurs amoureux ou fiancés qui sont absents. Chaque auditeur devrait à vrai dire être frappé que le timbre, cette première intervention de l'orchestre avant que les femmes ne se mettent à chanter, sont tout à fait nouveaux. C'est un procéde très ancien (qu'autant que je sache Monteverdi à déjà utilisé au début du 17e siècle) qui consiste à évoquer un tableau par un timbre, de créer pour ainsi dire un décor sonore. Les deux jeunes femmes qui se trouvent dans un cadre ancien, et non à l'intérieur d'une habitation, se voient associer, en relation avec la nature, un espace et un sentiment mystérieux. Mozart obtient ici cet effet par l'intervention des clarinettes et des cors. C'est ce à quoi je pensais lorsque je parlais de «romantisme».
C'est un fait aussi que nombre de phrases que nous qualifions de schubertiennes apparaissent tout d'abord chez Mozart. A cette différence que chez Mozart c'est une phrase parmi mille autres et l'on s'étonne : «Ah ah, Mozar écrit déjà comme Schubert.» - Mais uniquement parce que nous connaissons Schubert. Mais quelque part, les racines de ce langage musical, romantique par excellence, tel que Schubert l'utilisera, vingt ans après la mort de Mozart, existent déjà chez Mozart.
Nous savons avec une relative précision, comment Mozart ne voulait pas être joué. Mais savons-nous avec autant de détails comment il souhaitait être interprété?
Je pense que sans la possibilité de l'interroger lui-même, nous ne le saurons jamais. Si nous examinons l'histoire de l'interprétation des 200 dernières années, nous constatons, que chaque génération à toujours cherché à interpréter et à comprendre Mozart comme il le souhaitait. Et chaque génération a corrigé la précédente et dit que celle-ci s'était trompée sur toute la ligne. Je crois qu'il en est réellement ainsi et qu'il en sera de même pour nous.
Cela peut paraître bizarre si je parle à présent de mode, mais la musique présente de nombreux parallèles avec la mode, les «phénomènes de mode». Ce qui plaît aujourd'hui, ce qui est considéré comme juste, on s'en amuse déjà quelques décennies plus tard. C'est ce que l'on constate lorsqu'on écoute des disques consacrés à des interprétations de Mozart enregistrées en 1908, par exemple: on perçoit très bien ce que voulaient les interprètes. Je présume qu'ils ont joué les œuvres avec un grand amour et en très grands professionnels. J'admire la maîtrise technique qui est parfois vraiment impressionnante. J'engagerais sans la moindre hésitation certains chanteurs que l'on entend sur ces disques tout simplement parce qu'ils sont excellents. Mais ils font des choses qui - présentées aujourd'hui à une assemblée de connaisseurs - déclencheraient l'hilarité générale. Je trouve cela très injuste. J'en conclus aussi, qu'après le même temps, disans: dans 80 ans, nous ferons rire les gens. A mon avis, nous reconnaissons les fautes qui ont été faites par les musiciens qui nous ont précédés et nous ne les refaisons pas. Mais nous faisons de nouvelles fautes.
Mozart est si grand qu'il supporte chaque nouvel éclairage donné à ses compositions. Nous pensons en savoir plus que nos prédécesseurs. Nous croyons comprendre mieux ses notations. Nous croyons posséder des antennes pour son langage musical. Mais mesurée à la justesse globale de l'œuvre, ce que nous faisons n'est jamais qu'un faisceau lumineux éclairant un point.
J'ai un jour utilisé la comparaison d'un scarabée et d'une fourmi qui avancent sur une colline. Les insectes, c'est nous et la colline, c'est Mozart. Quelle interprétation réellement juste pourrions-nous bien avoir si nous nous trouvions à 2 mètres de cette colline et que nous voyons l'ensemble de la colline qui serait l'œuvre intégrale, qui serait le tout. (Je m'imagine que c'est ainsi que Mozart à interprété ses œuvres.) Si nous avançons sur cette colline, nous ne voyons guère plus loin que quelques centimètres; c'est ce que nous reconnaissans et tout le reste nous le négligeons.
Cela signifie bien sûr que le prochain qui vient s'avance à son tour vers un autre point et met à son tour autre chose en lumière. Rien ne m'importe autant, bien entendu, que de comprendre le plus grand nombre possible des intentions du compositeur. Je crois que l'amour qu'un interprète porte aux œuvres du compositeur est aussi un moyen pour comprendre le plus grand nombre possible de ses intentions.
Il reste aussi à se demander si c'est vraiment si foux que cela de participer à ce langage à la mode. Il est tout à fait possible que nous ne pourrions faire accepter au public, qui n'a pas d'antenne particulière pour cette époque révolue, une réalisation que nous voudrions mener avec toute la justesse souhaitée. Car les gens sont tout à fait différents qu'il y à 200 ans et saisissent peut être bien mieux la substance si l'œuvre est présentée avec une erreur potente. Il existe la de nombreux aspects à prendre en compte.

Le dit et le vrai dans «Così fan tutte»

La première partie de «Così fan tutte» est considérée comme gaie, voire exubérante et la deuxième comme triste. Vous avez vous-même dit un jour que «Così fan tutte» est l'opéra le plus triste de l'histoire de la musique. Est-ce bien vrai?
Oui, je le trouve toujours. Mais je ne verrais pas ainsi cette séparation entre le premier et le deuxième acte. Ce qu'on appelle le «quintette de l'adieu», que Mozart n'appelle pas «quintette» mais «récitatif», est à mes yeux l'un des morceaux les plus tristes que je connaisse. C'est pour moi l'un des points qui permettent de déceler la véritable intention de Mozart avec «Così». Les deux jeunes femmes sont bouleversées à l'idée que leurs fiancés doivent partir: ces derniers savent très bien que tout cela n'est que de la comédie. Les quatre chantent alors un quatuor en bredouillant tout simplement ce qui leur passe par la tête à l'instant: «Écris-moi donc tous les jours et, je t'en prie, ne m'oublie pas.» Le mot le plus fort est «Addio» que chacun dit à l'autre. Il n'est alors plus possible de distinguer entre celui qui dit ce qu'il pense et celui qui feint. (Le seul qui dit ce qu'il ressent est justement celui parle de l'extérieur: Don Alfonso, qui rit pour ainsi dire dans une tout autre diction.) Je crois que Mozart se met si bien dans la peau des personnages qu'à ce moment les jeunes gens eux-mêmes ne mentent pas parce qu'à travers leurs propres mots d'adieu, ils vivent réellement cet adieu.
Je crois que l'effet en retour de la parole sur celui qui parle représente l'un des arrière-plans les plus profonds de l'œuvre. En psychologie on connaît la situation qui veut qu'un homme triste qui dit des paroles gaies retrouve la gaieté et qu'un homme gai disant des paroles tristes est gagné par la tristesse, qu'une chose que l'on verbalise devient réelle. Il y a certaines choses qu'il ne faut pas dire parce qu'elles ne peuvent être reprises. Dans cette œuvre, cela vaut surtout pour la déclaration d'amour. Chacun des jeunes gens fait une fausse déclaration d'amour à la fiancée de l'autre sans penser un seul mot de ce qu'ils disent. Mais on ne peut impunément abuser ainsi de la parole. Lorsqu'on dit trois, quatre fois à quelqu'un «Je t'aime», ces paroles acquièrent une telle force que l'on est soi-même, ainsi que le partenaire, transformé par leur seul pouvoir. C'est pourquoi il ne s'agit pas ici d'un jeu avec le feu, mais de la ruine du sentiment.
L'une des choses qui me fascinent véritablement, c'est que chaque mot mis en musique signifie toujours un peu plus que s'il était simplement prononcé. Souvent il existe pratiquement pour un même passage musical deux ou trois textes qui sont chantés ensemble. Il suffit de penser à «Un'aura amorosa», l'air de ténor avant le finale du premier acte. Qui écoute cet air entend un grand air d'amour. Mais le texte de Guilelmo qui précède dit: «Et on ne mange pas aujourd'hui?» Le public a certainement dû rire à entendre les deux parler tout bonnement de manger. Ferrando répond: «A quoi bon? A l'issue de la bataille, nous apprécierons mieux le repas.» Et tout de suite après cette plaisanterie sur le manger il chante: «Un souffle d'amour de notre trésor sera une douce nourriture pour notre cœur. Ce cœur qui vit des espoirs de l'amour n'a pas besoin d'autre nourriture.» La lecture en raccourci du seul texte donnerait cette plaisanterie amusante: «A part de l'air, il n'y à rien à manger ici.» Que, dès le milieu de l'opéra, cette remarque se mue en une déclaration d'amour à la vraie fiancée, est néanmoins trèsambigu. La parole chantée et prononcée ne sont pas ici la même chose. Ce qui est chanté, c'est l'amour, ce qui est dit est à vrai dire une plaisanterie ...
Prenons encore un autre exemple, le trio «Soave sia il vento». Le texte dit: «Que la brise soit douce et l'onde tranquille. Et que tous les éléments soient propices à nos vœux.» Lorsque je lis ces phrases ou je les mets en scène dans une pièce de théâtre, cela signifie: ils ne doivent pas faire naufrage, le bateau ne doit pas sombrer et la brise doit les ramener aussi vite que possible. Mais le texte ignore encore que Mozart compose sur le mot «desir» une harmonie très dissonante, magique qui dit autre chose. L'auditeur perçoit une anomalie très forte et véritablement magique qui dit: il y à quelque chose qui n'est pas en harmonie avec nos vœux. Mais il n'est rien dit de plus précis.
Les jeunes femmes veulent que leurs fiancés reviennent. Mais il y à la quelque chose qui se passe, il va y avoir quelque chose, peut être ne seront-ils plus les mêmes lorsqu'ils rentreront ou peut être encore ... Peut être serons-nous terriblement trompées dans nos vœux dans les deux heures qui vont venir. Cette harmonie magique peut signifier aussi: peut être que, quelque part, ne souhaitons-nous même pas ce que nous souhaitons. A ce moment, rien ne permet encore de le dire. Mais ce «second texte» se profile comme un diable derrière un ange et tous disent le même mot et pensent cependant à tout autre chose.
Je pense qu'on ne doit pas interpréter avec la connaissance que l'on à déjà du livret. Cet opéra est composé pour l'auditeur qui l'entend pour la première fois. Si je suis déjà ce qui va arriver et comment tout va être résolu sur le plan musical, je vois beaucoup trop loin dans mon interprétation.
Mozart n'utilise aucune forme ancienne d'une manière traditionnelle, mais il lui ajoute toujours quelque chose, ce qui la rend totalement adaptée à l'époque. L'air «Come scoglio» de Fiordiligi, par exemple, ne pourrait jamais se trouver dans un opéra antérieur (on dit souvent qu'il est «baroque»). Un trait caractéristique de l'air baroque est que les paroles du chanteur sont amplifiées par la musique: il existe donc l'air de la vengeance, lair de l'amour etc. Pour moi «Come scoglio» est en revanche l'exemple type montrant que la musique exprime le contraire de ce que dit le chanteur.
Le rocher est tout d'abord mis en place. Fiordiligi dit «Come scoglio immoto resta» - comme le rocher reste immobile, telle est ma fidélité. L'auditeur est bercé d'une certaine sécurité. Il n'y à rien qui puisse faire chanceler un cœur fidèle. Vient ensuite une tempête de l'orchestre qui est comme un ébranlement, ce ne sont plus des points d'interrogation, dans le vocabulaire musical c'est un effondrement. Autrefois tout le monde savait ce que signifie: voici le rocher qui s'ecroule. Et après qu'il est tombé, elle dit: «Comme le rocher qui reste immobile.» Sur le plan musical il n'est plus question de rocher «immobile», il est déjà tombé.
Aucune des personnes présentes sur la scène ne le remarque. Seul le spectateur s'aperçoit de quelque chose: «Celle qui parle le plus clairement de la grandeur de sa fidélité est déjà perdue.» Cet air fait grande impression sur Ferrando, c'est la première fois qu'il entend une femme réagir à une déclaration d'amour comme le fait Fiordiligi. Et jamais il ne peut avoir entendu chose pareille de Dorabella. C'est vraisemblablement à ce moment précis qu'il tombe amoureux de Fiordiligi et se rend compte: «Il se peut bien que je n'aie pas choisi la bonne.» ll à alors devant lui une femme qui rabroue tout amoureux qui se présente. Sa Dorabella est sans doute tout à fait différente. Cet air dit ou public: «Voilà une femme magnifique - Mais elle est déjà perdue.»
Qui est Don Alfonso? Est-il quelque chose comme un montreur de marionettes de la commedia dell'arte?
Il y à dans cet opéra six personnages et ma sympathie tout comme mon antipathie peut aller à chacun d'entre eux selon mon sentiment personnel. Je peux dire qu'Alfonso est un type répugnant, qu'il est un cynique, qu'il est le destructeur. Don Alfonso est donc bien plus qu'un montreur de marionnettes. Son pari est un jeu avec quelque chose de terrible. On à le sentiment qu'une chose très belle cette harmonie qui règne entre les quatre jeunes gens est mise entre parenthèses.
A l'époque de Mozart, Alfonso est sans aucun doute un philosophe des Lumières qui ne croit pas aux valeurs éternelles et a connu de très fortes déceptions personnelles qu'il transmute en cynisme. Mais c'est pousser un peu loin l'interprétation. On pourroit encore le voir d'une autre manière sans changer un mot ni une seule note. On pourrait voir en lui quelqu'un qui veut ouvrir les yeux des hommes et veut les empêcher de vivre en aveugles. Ce n'est pas ainsi que je le vois. Pour moi, il est plus un cynique et n'a pas ma sympathie. Mais je peux comprendre l'auditeur qui trouve Don Alfonso très raisonnable et très sympathique et dit: les hommes avancent en titubant vers leur propre malheur tant qu'ils ne savent pas. C'est une interprétation tout à fait plausible.
Et il en va pratiquement ainsi avec chaque personnage. Je peux enrager à propos de Guilelmo et dire: voilà un coureur de jupons vaniteux qui, lorsqu'il est une victime, se met à pleurnicher jusqu'à en devenir ridicule. Et on pourroit procéder ainsi pour chaque personnage ...
Chez Ferrando qui est une âme exaltée, très sensible, je ne vois rien de négatif.
Le fait qu'il séduit la fiancée de son meilleur ami par de réels mensonges ne révèle un comportement des plus sympathiques.
Mais il est accompagné d'une musique merveilleuse. Mozart lui attribue les airs les plus beaux, les plus tendres et les plus chargés de sentiment.
Le duo Guilelmo-Dorabella estle seul véritable duo d'amour de tout l'opéra. Bien qu'ils ne se soient pas encore trouvés, leur histoire commence par un duo d'amour. Il est très inhabituel que ce couple - la «frivole» (terme que je voudrais maintenant presque mettre entre guillements) Dorabella et le «frivole» Guilelmo qui, en d'autres occasions, se vante de ses succès auprès des femmes - se mettent alors à chanter un duo d'amour. Le duo Ferrando-Fiordiligi n'est pas un duo d'amour, mais il correspond à un parcours qui va d'une crainte et d'une très forte répulsion réciproques jusqu'ou «Je ne peux plus» et jusqu'à la rencontre.
Cela tient à Fiordiligi qui, des quatre, est celle qui fait le moins de compromis. Pour elle il n'existe pratiquement qu'une seule issue.
Elle est comme cela si vous voulez. Les personnages sont réellement comme des hommes de tous les jours. Pour qui les aime, ils sont sympathiques, pour qui ne les aime pas, ils sont antipathiques. Je pourrais, si je le désirais, inverser aussi l'opinion courante sur Fiordiligi et Dorabella qui veut que Fiordiligi soit la femme constante et déterminée et Dorabella la femme frivole. Ni Mozart ni Da Ponte ne sont définitifs dans la caractérisation des personnages. Ils sont définitifs au moment où un personnage s'exprime. Mais il existe le plus souvent, dans la musique, un autre texte qui remet en question ce qui est en train de se dire. C'est comme si nous nous trouvions en face d'hommes et de femmes réels avec lesquels nous ne sommes jamais sûrs de rien non plus. Il n'est pas possible d'aller voir ce qui se passe à l'intérieur des individus, chaque homme reste un mystère pour l'autre. Même si notre sympathie pour lui est grande, il est toujours possible qu'il soit aussi la cause d'une terrible déception. Cette possibilité existe en permanence pour les personnages de «Così fan tutte». Le dernier mot n'est jamais dit, rien n'est terminé ni accompli, nous avons affaire à des individus tout à fait vrais, pitoyables. Il n'y a pas de héros dans cet opéra.
Dans quelle mesure la casse finale peut-elle être reparée
Dans le contexte de ce que je viens d'exprimer, c'est une question que l'on peut considérer de très différentes manières.
Et comment le voyez-vous?
Pour moi c'est totalement irréparable. Je pense que l'élément cynique de la personnolité de Don Alfonso qui ne peut supporter le bonheur autour de lui à été fortement souligné par Mozart. Je ne peux m'imaginer d'aucun des quatre intéressés qu'il puisse jamais avoir une relation pure avec un nouveau partenoire - pas plus qu'avec son ancien partenaire. Je peux m'imaginer qu'ils retournent vers leurs anciens partenaires et qu'ils mènent la vie commune d'un couple retors, sans illusion et sans la pureté des débuts de leur relation. Mais les idéaux sont perdus. Je vois là une terrible tristesse.
Je vois de la tristesse également dans le fai tque la trahison peut cotoyer l'amour d'aussi près.
Bien sûr. Cette fin d'une gaieté de commande, ce finale turbulent ne rendent cette tristesse que plus profonde encore - c'est comme si l'on se mettait maintenant à philosopher sur l'avenir.
Nous n'avons pas encore, je pense, parlé de Despina. Son rôle offre de beaux exemples de ce que la musique peut ajouter au texte. Il est frappant que ses deux airs soient de la musique populaire autrichienne authentique. Cela me dit, ainsi qu'ou spectateur de jadis, sans doute, que, comme la plupart des domestiques, Despina vient de la campagne et peut être même de tel ou tel village où l'on joue cette musique. L'imitation des instruments campagnards, de la vielle et de la cornemuse est très frappante. Ou encore l'utilisation de la valse qui n'était alors dansée que dans les couches populaires les plus basses.

Le réalisme dans «Così fan tutte»

Bien que «Così» puisse être considéré comme l'opéra le plus artificiel de Mozart, il est aussi pour moi l'un des plus réalistes. «Così» n'est-il pas peut être l'apéra où il s'est montré le plus?
C'est l'opéra plus réaliste en ce sens que les hommes sont représentés avec plusieurs visages. Mozart ne peut certainement montrer les hommes que tels qu'il les connaissait, tels qu'il les voyait. Nous avons affaire ici à six personnages multiples, à six personnes ou caractère très versatile. Chaque personnage possède le caractère énigmatique de l'homme en général: on ne soit jamais, dans le fond, comment ils vont réagir à la situation qui va suivre. Les réactions authentiques et spontanées tiennent manifestement ou fait que Mozart s'identifie à tout moment au personnage pour lequel il est en train de composer. On croit, après «Così fan tutte», en savoir plus sur Mozart car il doit dire tant de choses sur lui-même lorsqu'il décrit chaque personnage et en même temps on ne sait rien. Mozart n'est pas saisissable en tant que personne. Tandis qu'il écrit un air pour Guilelmo, il est Guilelmo, il ne peut le faire sympathique ou antipathique car il ne le façonne pas de l'extérieur, mais de l'intérieur.
C'est, à mon avis, l'une des raisons pourquoi il n'existe pas à vrai dire de personnages antipathiques dans les opéras de Da Ponte. Si vous lisez le livret de «Don Giovanni», vous ne souhaitez rien autant que tordre le cou au héros et dire: «Voilà la crapule la plus vile et le criminel le plus grand.» Lorsqu'en revanche on entend l'opéra, c'est à lui, en tout cas, que va la sympathie du public. Cela n'est possible que parce que le compositeur - peut être sans le savoir - s'est identifié à ce personnage au cours de la composition et dit lui-même ce que dit le personnage. C'est en ce sens que je crois que l'on ne pourra jamais saisir Mozar ten tant que personne. Il se cachera toujours derrière ses personnages.
Pourquoi «Così» si on le compare aux autres opéras de Mozart, surtout aux opéras de Da Ponte, eut-il au début, si peu de succès? Le public ne peut-il supporter le mensonge, la tromperie, l'ironie?
«Così» ne reproduit pas le schéma habituel d'une pièce de théatre et d'un opéra. Il n'y à pas ici de héros, de personnage auquel on peut s'identifier. Habituellement le public veut donner sa sympathie à un personnage, n'importe lequel. Ce n'est pas un problème dans «Figaro» avec le couple Figaro-Susanna, c'est très net aussi dans «Don Giovanni». On à certes affaire à un héros scélérat que l'on trouve quelque part fascinant. Dans «Così» on n'a pas de rôle principal, mais un jeu entre six personnes qui jouent cartes sur table.
De pouvoir montrer cela sur scène était nouveau à l'époque. Et l'on comprend facilement que l'on ne pouvait avoir de succès auprès d'un large public. Je trouve que l'œuvre est morale en ce sens qu'elle amène le spectateur à réfléchir et qu'elle le rend meilleur. On y voit pas que le Bien triomphe du Mal. Chaque spectateur qui à vu l'opéra doit réfléchir ensuite à de nombreuses questions qui le préoccupent personnellement. Chacun y trouve un miroir pour soi-même et se sent interpellé de manière très personnelle. Et il sort changé de cet opéra. Ainsi devait-il tout d'abord choquer le public! C'est ce qui explique les nombreuses remarques que l'œuvre a certes une musique merveilleuse, mais ...
Un mauvais livret.
Oui, mais il n'est pas possible de trouver ce livret réellement mauvais!
Mais c'est ce qu'on a dit au début. Cette «mascarade» à laquelle personne ne pouvait plus croire...
La question de savoir si la mascarade est crédible ou non ne se pose même pas. Si l'on s'intéresse à cette œuvre, on accepte alors la prescription que Guilelmo et Ferrando ne doivent pas être reconnus. Ils n'ont même pas besoin de se coller des fausses barbes, on ne les reconnaît pas, un point c'est tout. Nous n'avons pas besoin de rendre ce fait vraisemblable ou invraisemblable.
Et qu'y a-t-il de nouveau dans cette partition par rapport à «Don Giovanni»? Dans l'orchestration, l'utilisation des instruments? Est-ce que ce sont les trompettes qui viennent en plus?
Ce ne sont que des détails qui sont nouveaux. Je n'irais pas jusqu'à dire qu'on entend des choses inouïes jusqu'alors sur le plan de la pure technique instrumentale ou sur le plan musical. Je vois plutôt le tout, en tant que pièce, comme nouveauté. Avec la représentation des relations réciproques de six personnages, c'est une forme d'opéra tout à fait nouvelle. Je ne peux que constater que chacun des trois opéras de Da Ponte a un son qui lui est propre. Il y a un son «Figaro», un son «Don Giovanni» et un son «Così fan tutte» et chacun des opéras présente une gamme d'expressions qui va du plus simple et du plus intime au plus dramatique et ou plus débridé. Cette gamme est exploitée dans toutes ses nuances et il est néammoins possible d'affirmer qu'un morceau donné n'appartient à un opéra bien précis.
Vous avez dit un jour que la graphie de «Guglielmo» était erronée.
Il s'agit tout simplement d'une forme moderne du prénom. Da Ponte a écrit Guilelmo. Guilelmo est une forme ancienne de Guillaume en italien. Da Ponte et Mozart lui ont donné ce vieux prénom et nous ne souhaitons pas le moderniser en Guglielmo. Da Ponte écrit aussi un italien nettement influencé par la langue du Frioul dont il est originaire. De là viennent aussi les plaisanteries et jeux de mots qui sont nombreux dans «Così», doubles sens intraduisibles qu'il vaut mieux ne pas traduire car ils sont en partie d'une très grande obscénité. Nous avons utilisé tous les jeux de mots qui se trouvaient dans l'original. Nous n'avons pas, par exemple, corrigé «Astrolicarti» en «Astrologarti», parce que nous savons le plaisir qu'éprouvait Mozart à ces jeux de mots: «Astrolicarti» ne signifie rien du tout, c'est un mot composé d'astrologie et de cartes pour faire allusion à la chiromancie ...

A propos de la distribution

«Così» est tout d'abord une œuvre pour ensemble et son véritable personnage principal n'est pas un individu mais un quatuor. Je pense, que pour un enregistrement de «Così» il est très important que l'œuvre ait été jouée sur scène dans la même distribution et que les chanteurs aient travaillé ces rôles ensemble.
Oui. Le tempérament et la qualité de la voix doivent être ajustés l'un à l'autre de manière à ce que chaque solo et chaque ensemble se réfèrent tout naturellement aux relations réciproques des différents personnages.
Il est très difficile, je crois, de produire un opéra comme celui-là en studio exclusivement. Les nœuds relationnels doivent avoir réellement subi l'épreuve de la scène. Il faut que la multiplicité de sens de chaque répartie ait été vécue. Dans «Così» les personnages sont ambigus. Ils ne sont pas A et B ou oui ou non, mais toujours les deux à la fois. Tout cela doit avoir été expérimenté sur scène, il fout avoir réellement éprouvé les nombreuses réactions possibles. Notre enregistrement prolonge un cycle de représentations de «Così» à l'Opéra d'Amsterdam.
Vous avez suscité la surprise en confiant, pour cet enregistrement, le rôle de Don Altonso à Thomas Hampson. On s'attend en général à un chanteur d'un certain âge et à un baryton de tessiture plus grave.
J'ai attaché beaucoup d'importance à ce que les voix de basse et de baryton soient distribuées ainsi et que Don Alfonso ait une voix de baryton haute et Guilelmo une voix grave. Cette distribution ressort clairement de la partition. Tous les passages graves oppartiennent ou rôle de Guilelmo, il est toujours la voix la plus basse de l'ensemble. Il y à plusieurs passages, dans le trio «Soave sia il vento» où Don Alfonso doit chanter un mezzovoce très léger et aigu. L'association que nous faisons aujourd'hui est le plus souvent celle-ci: plus un homme est âgé, plus sa voix est profonde. C'est ainsi que l'on utilise une voix basse pour Don Alfonso. Dans l'ensemble on intervertit souvent les voix. On ne laisse Don Alfonso chanter lui-même que chaque fois que la situation l'exige absolument parce que Guilelmo et Ferrando sont déjà partis, et ce n'est alors pas une partie de plaisir pour lui... Mozart a donné la voix plus haute à Don Alfonso, l'homme d'un certain âge à chez Mozart un registre plus élevé.
Figaro, Leporello et Guilelmo représentent une catégorie de voix et le Comte, Don Giovanni et Alfonso une autre catégorie. Malheureusement il arrive que, dans «Don Giovanni», le rôle-titre soit chanté par une basse, ce qui ne répond pas aux intentions de Mozart.

A propos du «style mozartien»

Je souhaiterais pour conclure revenir une fois encore au point de départ de notre entretien. Cette année justement il est beaucoup question du style mozartien. Quelle serait votre définition?
Je crois que le style Mozartien est vraiment indéfinissable. Mozart se comporte, pour ce qui est du style, exactement comme ses contemporains. Il écrit dans le longage musical de son époque. Il est seulement un peu meilleur en tout. Il compose dans le même style que Haydn, il écrit comme Dittersdort et Salieri. D'autres compositeurs sont, sur de nombreux points, bien plus à l'avant-garde de leur temps que Mozart lui-même. Il existe de Salieri des pièces, des tours et des groupes de mesures qui annoncent le jeune Verdi, ils sont dans l'art du bel canto et de l'instrumentation en avonce de 40 ans. Chez Haydn, il y a des choses audacieuses qui renvoient très loin dans le 19e siècle.
Dans le domaine purement technique et stylistique, Mozart procède de manière analogue à Bach: il reste attaché à l'usage du langage musical de son époque. Dans le domaine affectif en revanche, il est bien loin devant. Là où il décrit des sentiments, l'étendue et la profondeur du vécu, des choses les plus simples aux abîmes les plus profonds, personne ne l'égale. C'est ce qui, à mon avis, fait l'intemporalité de Mozart. Il est curieux que la musique de Mozart ne vieillisse pas. Je ne crois pas qu'il y ait d'autre compositeur que chaque génération aborde, de manière aussi nette, avec la même spontanéité. On a l'impression que Mozart vit encore aujourd'hui et qu'il a quelque chose à nous dire dans notre langue. Peut être cela tient-il ou fait qu'il n'est pas très fixé du point de vue du style. Il fait toujours des choses auxquelles on ne s'attend pos. Lorsque nous l'imaginons d'une folle audace, il n'est pas audacieux ou bien dans des gestes extrêmement minuscules. Il n'en fait jamais trop ni trop peu. Je crois que c'est un personnage insaisissable que nous ne sommes pas du tout en mesure de l'analyser. Nous ne disposons pas de mètre-étalon pour les dimensions correspondant à sa qualité.

MAGAZIN OPERNHAUS ZÜRICH

In der Publikumsgunst stand «Così fan tutte» lange hinter den anderen Mozar-Da Ponte-Opern zurück, was Nikolaus Harnoncourt nicht zuletzt darauf zurückführt, dass diese Oper nicht dem damals üblichen Schema eines Theaterstücks folgt. Hier geht es nicht um einen Helden, um eine Figur, mit der man sich identifizieren kann, sondern um ein Spiel von sechs höchst vielschichtigen Personen, von denen jede ein vollständiges und doch nahezu unergrundliches Charakterprofil besitzt.
Anders als in einer Opera seria, in der jede Figur ihren festen Charakter, jede Arie ihren Affekt hat und sich erst in der Gesamtheit die aufgefächerte Vielfalt ergibt, besitzt in diesem psychologischen Kammerspiel Mozarts jede Figur einen tolal fluktuierenden Charakter und beinhaltet immer zugleich auch das Ganze. Man weiss im Grunde nie, wie sie auf die nachste Situation reagieren werden. Weder Mozart noch Da Ponte legen sich in der Charakterisierung der Figuren fest. Sie legen sich zwar fest in dem Moment, in dem eine Person etwas sagt.
Aber da ist noch ein anderer Text in der Musik, der das Gesagte in Frage stellt. Ein Paradebeispiel dafür, dass die Musik durchaus das Gegenteil von dem sagen kann, was im Text steht, ist die Arie «Come scoglio»: Zuerst wird der Felsen gleichsam hingestellt. Fiordiligi sagt: «So wie der Felsen unbewegt steht, so steht auch meine Treue.» Dem Zuhörer wird Selbstsicherheit suggeriert, zugleich aber malt das Orchester Turbulenzen und Zusammenbrüche; der Fels steht also keineswegs sicher und unverrückhar; die Musik spricht einen Subtext zum verbalen Text.
Ähnlichen Irritationen sind wir auch in Fiordiligis Rondo «Per pietà, ben mio» ausgesetzt. Schon die Tonart E-Dur verrät, dass sich Fiordiligi entgegen den mit sicherer Bestimmtheit geäusserten Treueschwüren in hochster Verwirrung befindet. Zusätzlich fordert Mozart in dieser für Hörner sehr unbequemen Tonart so halsbrecherische Figurationen, dass die Ernsthaftigkeit ihrer Entschlossenheit entschieden in Frage gestellt wird. Ein Beispiel anderer Zwiespältigkeit ist die Arie «Un'aura amorosa»: Wir hören eine grosse Liebesarie. Davor aber fragt Guilelmo: «Gibt's heute kein Essen?» und Ferrando antwortet ihm: «Wozu denn? Es wird uns nach unserem Sieg besser schmecken». Und dann singt er: «Ein Liebeshauch unseres Schatzes wird dem Herzen süsse Kraftigung bringen. Dem Herzen, das genährt von Liebeshoffnung bessere Nahrung gar nicht haben kann.» Schaut man sich den Text alleine an, so hätte man einen komischen Witz über «Es gibt nichts zu essen ausser Luft und Liebe» machen können. Dass das musikalisch zu einer Liebeserklärung an die wirkliche Braut umgedeutet wird, ist schon eine sehr doppelLödige Sache.
Das ganze Stück hindurch bewegen sich die handelnden Personen - und wir uns mit ihnen - auf sehr unsicherem Boden und am Ende lautet das traurige Fazit: Nichts, was einmal sicher schien, ist es wirklich. Mozart komponierte das abschliessende «Fortunato l'uom che prende ogni cosa per buon verso» in C-Dur. Doch das traditionell Festliche und Positive dieser Tonart schlägt im Gesamtzusammenhang des Werkes in das Gegenteil um. Bis zum Terzett «Una bella serenata» könnte man C-Dur noch im herkömmlichen Sinn verstehen, doch mit Beginn von Don Alfonsos Rezitativ «La commedia e graziosa» wird zunehmend klar, dass das C-Dur immer im Bunde mit dessen Experiment am lebendigen Menschen steht. Die Musik sagt am Ende nicht «fortunato», sondern «infortunato»; die aufgesetzt-heitere Turbulenz des Finales ist abgründig.
In «Così fan tutte», so Nikolaus Harnoncourt, wird in negativem Sinne gezeigt, was Zynismus zustande bringen kann; es gibt keine Schuldigen, wohl ausser Don Alfonso und teilweise Despina nur Betrogene. Im Grunde ist das Stück in dem Sinne moralisch, dass es die Menschen zum Nachdenken bringt.
Was für die hochkomplexe Verbindung von Wort und Musik sowie die nicht wirklich auflösbare Tonartendramaturgie gilt, zeigt sich auch in der Architektur der Tempi, die in einer ganz komplizierten Weise aufeinander bezogen sind. Leopold Mozart schreibt über die Bedeutung der Tempi: «Der Tact macht die Melodie: folglich ist er die Seole der Musik. Er belebt nicht nur allein dieselben, sondern er erhält auch alle Glieder derselben in ihrer Ordnung. Es ist also an dem musikalischen Zeitmasse alles gelegen...
Man setzet zwar vor jedes Stück eigens dazu bestimmte Wörter, als da sind: Allegro, lustig; Adagio, langsam u.s.f. Allein das Langsame sowohl als das Geschwinde und Lustige hat seine Stufen. Und wenn auch gleich der Componist die Art der Bewegung durch Beyfügung noch anderer Beyworter und Nebenwörter deutlicher zu erklären bemühet ist: so kann er doch unmöglich jene Art auf das genaueste bestimmen, die er bey dem Vortrage des Stückes ausgedrücket wissen will. Man muss es also aus dem Stücke selbst herleiten. Jedes melodische Stück hat wenigstens einen Satz, aus welchem man die Art der Bewegung, die das Stück erheischet, ganz sicher erkennen kann.»
In «Così fan tutte», so Nikolaus Harnoncourt, differenziert Mozart die Tempi mit etwa fünfzig verschiedenen Angaben. Dabei gibt es ein Tempo, das Andante C vom Anfang der Ouvertüre, das durch die ganze Oper hindurch an entscheidenden Schlüsselstellen wiederkehrt und damit als eine Art Rückgrat oder Achse des Werkes angesehen werden kann. Die hier so zahlreichen und unterschiedlichen Tempi können nicht einfach verschiedenen Charakteren oder Situationen zugeordnetwerden, weil sie immerzugleicl auch deren Infragestellung miteinbeziehen.
Es ist ähnlich wie bei der Lasurmalerei, derer verschiedene Schichten untereinander sicht bar bleiben. Mehrfach erscheinen dieselber Motive in verschieden schnellen Stücken und sind daher, um gleichschnell dargestellt zu werden, in unterschiedlichen Notenwerter notiert - auch dies für den Dirigenten Aus druck der Vielschichtigkeit, die in «Così» herrscht.