Beniamino Dal Fabbro

Verità d'arte
e menzogna di sentimenti
in «Così fan tutte»

Per le ore dieci del 31 dicembre 1789 Mozart aveva invitato alcuni amici, nel suo nuovo alloggio della Judenplatz, per una «piccola prova» di «Così fan tutte». Davanti agli artisti italiani che una ventina di giorni dopo, all'Hofburgtheater di Vienna, sarebbero stati i primi interpreti dell'opera, si trovavano di certo due confratelli di Mozart in Massoneria, il commerciante Puchberg e Giuseppe Haydn: da ambedue Mozart s'aspettava, e si può pensare che abbia avuto, una favorevole «stima» dell'opera, dal primo convertibile in un altro anticipo, sui futuri guadagni, di fiorini o di gulden, dal secondo in ben più preziosa moneta di consigli, d'incoraggiamenti, di speranze. La moglie Costanza, appena uscita da un grave malanno, di cui rimanevano molti conti da pagare a «farmacisti e dottori», non avrà ascoltato che suo malgrado, da una camera all'altra, l'amara e melodiosissima denegazione d'una virtù che il suo nome prometteva ma il suo cuore non era forse molto proclive a mantenere.
Ma quando Mozart, seduto al cembalo, diede il segno d'inizio, erano le dieci di mattina o di sera? E c'era, accanto a lui, suo librettista per la terza volta e per un altro capolavoro, Lorenzo Da Ponte? Con precisione, non se ne sa nulla; ma che fosse la notte di San Silvestro può lusingare la nostra fantasia, evocando questo remoto episodio della vita di Mozart, e che il Da Ponte fosse tra gli intervenuti alla straordinaria veglia è più che verosimile, nonostante le poche righe cadute molti anni dopo, a proposito di «Così fan tutte», dalla penna del loquace memorialista emigrato in America: «Scrissi 'La scala degli amanti', con musica di Mozzart [sic], dramma che tiene il terzo loco tra le sorelle nate da quel celeberrimo padre dell'armonia.»
Invero il contributo del Da Ponte, che orgogliosamente limita Mozart alle opere composte con la sua collaborazione di «poeta» teatrale, ha in «Così fan tutte» un peso maggiore che non nelle altre due. Per il «Don Giovanni» il librettista s'era rifatto a una ricca e antica tradizione europea, per «Le nozze di Figaro» s'era trovato a ridurre e ad ammorbidire la grande commedia di Beaumarchais, ma in «Così fan tutte» non erano suoi soltanto il taglio delle scene, la distribuzione della materia drammatica, la nuova configurazione di personaggi e di situazioni preesistenti e la versificazione. Tutto era suo nella «terza sorella», anche se la favola, come pare, sia desunta da un fatto di cronaca dell'epoca, accaduto a Vienna o a Trieste, e se forse è stato lo stesso imperatore Giuseppe II a suggerirne la farsesca trama all'ingegnoso e versatile «Poeta del Teatro Imperiale». D'ancor più personale il Da Ponte ha portato nel libretto il suo facile cinismo di piccolo Casanova, la sua morale da ridotto e da boudoir, e una sorta di realistica spregiudicatezza veneziana, o veneta, che tuttora persiste negli abitanti d'una regione in cui all'affettuosa e sensuale indole italica s'aggiungono influssi più o meno palesi d'inquietudine slava e di nordico rigore.
Ma fuori dall'esperienza teatrale, che altro aveva in comune Mozart col Da Ponte? E come avrà accolto, sul principio, la dimostrazione tra comica e scacchistica che «la donna è mobile», che non ci si può fidare di lei, che qualsiasi bellimbusto ultimo venuto può far dimenticare a una donna il suo promesso, e tanti languori e giuramenti? Ora, se è chiaro che il Da Ponte, in «Così fan tutte», ha fatto agire persone di ben poco conto, poco più che dei fantocci, artisticamente e moralmente di ben scarsa umanità, Mozart, moralmente estraneo, nei suoi ultimi anni di vita, a ogni leggerezza, avrà avuto le sue buone ragioni per nutrire di musica e di canto due «fraschette» o «squinzie», per dirlo alla maniera di Goldoni, come Dorabella e Fiordiligi, due «martufi» come Ferrando e Guglielmo, e Despina, la servetta interessata e mezzana, e quel Don Alfonso che mena la vicenda e la infiora, ex cathedra, dei suoi vieti aforismi di vissuto uomo di mondo, che non crede più a nulla, nemmeno alle rosee illusioni d'amore dei giovani.
Bisogna considerare che Mozart, al tempo di «Così fan tutte», era vecchio, in quanto ormai prossimo alla morte; era l'uomo che meno d'un anno dopo avrebbe scritto, da Francoforte, «se la gente potesse vedere nel mio cuore, n'avrei quasi vergogna; tutto m'appare freddo, freddo come ghiaccio»; era un marito che di Costanza, la diletta «Stanzerl», conosceva ormai tutta la pochezza affettiva, oltre che intellettuale.
Proprio al Da Ponte era toccato di proporgli via via, coi tre libretti famosi, altrettanti capitoli d'una sorta di «educazione sentimentale»: il «Don Giovanni» è il poema d'eroismo e di ribellione della conquista giovanile, il momento della sfida che il sangue fa al marmo statuario del Commendatore; con «Le nozze di Figaro» si celebra la pienezza virile del matrimonio giusto, ottenuto traverso gli ostacoli sociali e i desideri altrui; «Così fan tutte» rimette in gioco ogni cosa, proclama che «tutto nel mondo è burla», che i sentimenti non esistono, o esistono soltanto se qualcuno finge, agli altri come a se stesso, di possederli. A questi estremi non giungono i caratteri razionali, gli uomini gelidi e sempre padroni di se stessi, ma proprio le anime appassionate e ardenti quando non abbiano trovato di che pascersi, di che saziarsi.
E nella vita amorosa di Mozart ha un'importanza molto maggiore l'ingiuria dialettale ch'egli pronunciò, sedendo furiosamente a un pianoforte, quando gli dissero che Aloysia Weber intendeva disinteressarsi di lui, che non la lettera da buon figliolo, piena di sagge enunciazioni morali, ch'egli inviò a suo padre per comunicargli l'intenzione di sposare Costanza, sorella dell'infedele Aloysia. Di certo è mancato a Mozart, a quanto si sa, un amore d'intensità pari alla durata, una trasfiguratrice passione d'artista; avrebbe potuto darglielo la bella figlia del fornaio di Salisburgo, dai grandi occhi pieni d'ammirazione, fors'anche la florida pianista Josephine Aurnhammer, o la misteriosa Magdalena Hofdemel, o la cantante Anna Selina Storace... Ma il mancato matrimonio con Aloysia e il matrimonio di ripicco con Costanza tennero inutilmente chiuso il cuore di Mozart. Non era alieno dalle piccole avventure di locanda e di palcoscenico, con donne che di certo somigliavano alla cuginetta Maria Anna Tecla, con cui tenne da ragazzo un carteggío licenzioso; e non furono che repliche anticipate di Dorabella e Fiordiligi, le due svaporate di «Così fan tutte», che s'adoperano, secondo il consiglio di Despina, a «trattare l'amore 'en bagatelle'»; e lui, Mozart, somigliava si ai due giovani ufficiali Guglielmo e Fernando, ma alle ultime scene dell'opera, disincantato dalla burla e non bisognoso dei consigli e della sapienza da veneto caffè dell'abate Da Ponte, anch'esso nelle vesti goldoniane di Don Alfonso.
Tutto questo sottofondo librettistico un po' ambiguo, anche se non riferito a circostanze biografiche, ha nuociuto, sin da principio, a «Così fan tutte». L'opera, nonostante la perfezione quasi parnassiana della musica e la puntigliosa versificazione del libretto, fu scambiata per un canovaccio, per una commedia dell'arte, che fosse lecito rifare, rimaneggiare, accomodare. Soltanto un secolo dopo, a Vienna nel 1891, fu eseguita com'era nell'originale, dopo innumerevoli contraffazioni europee, intitolate, con varia fantasia, «La prova magica», «La dama fantasma», «Peines d'amour perdues», «Tit for Tat» e persino «Le due colombe di Milano».
Mozart sovente ebbe a soffrire nella sua carriera, della «cabala degli italiani» ai suoi danni, dagli intrighi di Corte all'accusa di veneficio a Salieri, romanticissima leggenda a cui purtroppo Puskin, in una delle sue «piccole tragedie» ha prestato l'efficacia di persuasione della poesia; ma ben più grave, dopo la morte di Mozart e contro di lui, è stata la cabala dei tedeschi. In fondo, i suoi connazionali, sin quasi ai nostri giorni, non gli hanno mai perdonato di aver composto ben tre capolavori teatrali con libretti in lingua italiana; la stessa «Così fan tutte» quando fu ripresa a Vienna nel 1794, dopo che nel 1790 la serie delle repliche era stata interrotta dal lutto per la morte di Giuseppe II, era in traduzione tedesca.
Di qui, il costante vituperio germanico per il Da Ponte, «frivolo e abile librettista» e «Così fan tutte» ridotta a una sequela di «arie, duetti pezzi d'insieme» che Mozart «a seconda del calore che destavano in lui musicò in maniera da conferirgli sempre un'espressione esattamente proporzionata al contenuto.» Quest'elogio a doppio taglio, assai noto, è di Wagner in «Opera e Dramma», il quale, inoltre, si compiace con Mozart per aver egli trovato «per 'Così fan tutte' una musica diversa dal 'Figaro'», evitando di «disonorare deplorevolmente la musica» e di ricorrere al «trucco dei nostri moderni compositori, che fabbricano sgargianti torri musicali su testi senza valore e che fingono estasi e rapimenti là dove il testo del poetastro è superficiale e senza consistenza per poter meglio dimostrare quanto grande sia il potere del musicista e come tutto gli sia permesso, persino il creare qualcosa dal nulla, precisamente come fa il buon Dio...» Wagner, che pretendeva di rinforzare la parte strumentale del «Don Giovanni» e che per conto suo ha eretto «sgargianti torri musicali» sui generici eroi e sulle nebulose trame della saga nibelungica, ha una penna particolarmente infelice quando ragiona di Mozart e gli vuol attribuire a tutti i costi, a lui, creatore dell'«opera», le ragioni romantiche del «dramma».
È vero soltanto che Mozart ha inventato per «Così fan tutte» una musica diversa dal «Figaro» e da tutte le altre sue opere. Da una parte, lo schematismo della trama lo ha aiutato a riconoscere nei sei personaggi che agiscono un ideale quartetto di voci, pronto a dividersi in due duetti e ad accrescersi a sestetto; nessuna costrizione di caratteri gli è venuta da figure sceniche che non ne hanno, in quanto sono tipi teatrali allo stato puro, semplici portatori dei sentimenti che la vicenda gli attribuisce. Dall'altra, lasciando fare al Da Ponte e alla sua sceneggiatura, egli ha potuto prendere «alla lettera» i brani successivi che gli erano offerti, e musicarli come tali, secondo il significato dei versi, ottenendo con questo risultati musicali d'irraggiungibile perfezione e insieme e i più evidenti effetti teatrali.
Cadono con questo le ipotesi di parodia, le tesi brillanti ma insostenibili sulla musica come «arte della menzogna», il sospetto di un'ambivalenza espressiva di cui soprattutto Mozart si sarebbe giovato. Quando Fiordiligi e Dorabella si disperano per la partenza dei loro promessi ed emulano, con le loro grandi arie drammatiche, Donn'Anna o Donna Elvira, quando Fernando e Guglielmo implorano amorosa pietà, sotto mentite spoglie, sperando intimamente di non essere esauditi, non sono le due «dame ferraresí», non sono i due «martufi» che cantano: è Mozart che presta a quei fantocci d'una sprovveduta giovinezza, d'una disarmata condizione umana, il suo cuore ardente e inesaudito, il suo inno di congedo dall'amore, dalla passione, dalla vita.
Per questo in «Così fan tutte» le voci femminili s'intrecciano con grazia sì estenuata e tutta l'aridità della burla, coi travestimenti alla Fregoli della servetta Despina, rimane nelle pieghe del libretto e della palandrana di Lorenzo Da Ponte. Come fa il poeta col nudo traliccio delle accentuazioni metriche e con la vuota formula della strofe, Mozart ha incarnato i versi nei suoi arabeschi di musica, ha convertito due sciocche donnine in due angeli a colloquio, ha tramutato «con estasi e rapimenti» una favoletta da teatro in un'opera che non tollera descrizione in quanto è unicamente se stessa.
Beniamino Dal Fabbro, Mozart. La vita. Scitti e appunti 1945-1975, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 83-88