LORENZO DA PONTE
Chi era Da Ponte? Per rendergli giustizia dovremmo in larga parte dimenticare i giudizi affibbiatigli dai biografi di Mozart, cosa quasi impossibile. Appare ovunque come 'personalità cangiante', definizione che pur implicando una nota di biasimo, l'elemento dell'«ambiguo» è pur sempre la migliore che gli venga attribuita, ed è però così onnicomprensiva che le si può negare a stento un contenuto di verità. Per lo più però il livello cala decisamente fino al «privo di carattere» (Erich Valentin), «privo di scrupoli » (Schurig) opportunista incallito, avventuriero immischiato in faccende di donne che soprattutto, e in tutto, avrebbe badato al proprio tornaconto, in particolare ad accaparrarsi la sua parte nella fama postuma di Mozart.
E traspare poi anche non di rado un sentimento antisemita, dissimulato eppure ben avvertibile, il cui accento risuona già a proposito della sua conversione, sulla quale ricade il sospetto naturalmente di scopi utilitaristici. In realtà il vescovo di Ceneda, monsignor Da Ponte, aveva proposto di battezzarlo all'età di nove anni, ma l'occasione si presentò solo quando il padre, Geremia Conegliano, commerciante di pellame, rimasto vedovo, decise di sposare una cattolica. Il 29 agosto 1763 fece battezzare sé e i suoi figli nati dal matrimonio precedente, uno dei quali era appunto Emanuele, allora quattordicenne, che il vescovo destinò al sacerdozio e al quale, secondo l'uso, impose il proprio nome, Lorenzo Da Ponte, assumendosi l'onere dei suoi studi e del suo mantenimento. Lorenzo doveva essere un ragazzo molto promettente.
Il 27 marzo 1773 fu ordinato sacerdote, anche se poi non svolse mai funzioni sacerdotali, non vi sarebbe stato del resto adatto. Doveva invece essere adatto, stranamente, al ruolo di educatore, la sua attività di insegnante in diversi seminari del Veneto ottenne un successo straordinario; a quanto pare aveva il dono di suscitare interesse nei suoi allievi, introducendoli in materie di cui lui stesso simultaneamente si andava impadronendo: letteratura latina classica, letteratura italiana e francese.
Divenne seguace dell'Illuminismo, seguace di Rousseau, e insieme anche homme à femmes, implicato in varie relazioni amorose. E non è del tutto chiaro quale lato di questa doppia vita lo abbia poi costretto alla fuga, se la relazione con una nobildonna veneziana che da lui ebbe un figlio o il pubblico dibattito tenuto nel 1776 nel seminario di Treviso insieme ai suoi allievi. Tema del dibattito era il porre in discussione l'ordine sociale: la questione se la civiltà basata su Stato e Chiesa abbia o non reso più felice l'uomo. Dovette ad ogni modo fuggire, e si rifugiò dapprima presso la sua - o una sua - amante a Venezia, da dove poi si recò a Gorizia.
Quando anche lì il terreno incominciò a scottargli sotto i piedi si trasferì a Dresda, dove il 'poeta della corte sassone' Caterino Mazzolà, che più tardi lavorò alla «Clemenza di Tito» , lo iniziò alla sua nuova attività. Nel 1782 Da Ponte giunse a Vienna con una raccomandazione per Salieri, lì infine ottenne un impiego come librettista, 'poeta dei teatri imperiali', e vi rimase dieci anni.
Dal barone Wetzlar, suo «compagno di tribù» (Abert!), incontrò Mozart, che di questa conoscenza informò più volte, anche se solo di sfuggita, il padre, augurandosi la possibilità di una collaborazione. Su questo importante rapporto artistico non sappiamo niente di più. Le memorie di Da Ponte infatti, pur se meritano d'esser lette, sono però inattendibili e caratterizzate dal desiderio di accaparrarsi la stima e l'ammirazione del lettore.
Da Ponte era dunque alle soglie dei quarant'anni quando lavorò ai tre libretti per Mozart, e oltre ad aver scritto testi per altri musicisti si era già lasciato alle spalle alcune professioni, e periodi di alterna fortuna. Quando nel 1789, in seguito alla guerra contro i turchi condotta da Leopoldo II, a Vienna le attività musicali e gli spettacoli subirono forti limitazioni, Da Ponte fu una delle prime vittime. Si recò a Trieste, lì si innamorò di una giovane inglese di nome Nancy Grahl o Krahl, con lei andò a Parigi e poi a Londra, dove rimase tredici anni scrivendo libretti per musicisti; di second'ordine.
Nel 1805 emigrò in America con Nancy, diventando nel frattempo tutt'altro uomo. Visse per lo più a New York come insegnante di lingue, per un certo periodo addirittura come professore al Columbia College. Da Nancy ebbe quattro figli, e la morte di uno di essi lo gettò per un anno intero in un inconsolabile dolore: l'ex avventuriero era diventato marito esemplare e amorevole padre di famiglia. Morì nel 1838, a 89 anni.
Abbiamo schizzato questo rapido profilo per accennare ad una esistenza mutevole, all'inizio certo non 'impeccabile' ma sempre improntata a fermezza e fiducia, e da ultimo integerrima, protrattasi ancora per quasi cinquant'anni oltre il suo apogeo; esistenza di un uomo che si adattò a sopravvivere a se stesso facendo buon viso a cattiva sorte, accogliendo con non comune serenità e rassegnazione i continui rovesci di fortuna, che gli procuravano una situazione sempre un po' peggiore.
Contrariamente alla vita dei numerosi avventurieri di quell'epoca, la sua non fu, per lo meno dopo il cambiamento iniziale, una lotta per aggiudicarsi sempre il ruolo del grand'uomo, ma semplicemente una lotta per la sopravvivenza, per sopravvivere se possibile nel migliore dei modi. Dobbiamo figurarcelo non più giovane, in America, come uno qualunque, in una conventicola di gente qualsiasi, una delle prime colonie italiane. Con questo declino venne a patti con dignità, per poi costruirsi, certo, un passato tanto più splendido nelle sue memorie. Non prendiamocela con lui se ha calcato la mano sulle sue piccole vittorie e sui suoi successi. Lo splendore di Mozart illumina anche lui, il suo librettista migliore - o, per meglio dire, il suo unico buono.
Dove si incontravano Mozart e Da Ponte, di che tipo era il loro dialogare, hanno litigato o si sono intesi presto? L'italiano era simpatico al tedesco? Di ciò non sappiamo nulla, ci sono note solo alcune correzioni ai libretti riportate nella partitura, minime variazioni al testo o alle note di regia, dove appare dubbio che il compositore abbia chiesto ancora il parere al librettista; e niente di più. Daremmo molto per un sia pur stringato verbale di un loro colloquio, durante il quale magari Mozart si incaponiva su una certa modifica, proponeva qualche taglio oppure desiderava un'aggiunta per far piacere a questo o quel cantante, pretesto alI'esibizione della sua voce. Né sappiamo niente di autentico su come Mozart considerasse le tre opere su libretto di Da Ponte.
Quarant'anni dopo la prima del «Don Giovanni» Constanze dichiarò che di tutta la sua produzione Mozart stimava massimamente quest'opera; non ci farebbe meraviglia. Eppure non riusciamo a immaginarci Mozart che dice «Questo Don Giovanni è proprio la cosa migliore che abbia mai scritto» . Per noi Mozart rimane colui che tace sempre, loquace solo nella diversione ed eloquente solo nella sua arte, che parla poi di tutt'altre cose, non del suo artefice.
Ha costruito per noi un edificio dopo l'altro, a quanto pare senza più soffermarsi a riguardarli. Veniva talvolta posto di fronte a questo o quel lavoro fatto in passato, la rappresentazione di una qualche opera a Francoforte o a Schwetzingen, oppure gli capitava tra le mani un suo vecchio manoscritto. Allora si mostrava 'sorpreso' della qualità. Certo ha espresso la sua soddisfazione per alcuni lavori, ma manca del tutto nel linguaggio del Mozart viennese il superlativo dell'entusiasmo, non solo riguardo a se stesso ma anche ad altri. Che cosa pensava ad esempio di Gluck? La sua ammirazione per Haydn è documentata, ma quale opera, quale movimento, quale passaggio o quale figurazione lo hanno colpito? Di quale delle sue composizioni andava veramente fiero? Quale tempo di sonata, quale numero di quale opera eseguiva di fronte ad altri?
Persino dopo aver terminato i suoi più alti capolavori non ebbe mai l'impressione di aver ' donato qualcosa al mondo '. Non riposava sugli allori ma andava avanti a scrivere, ubbidendo di volta in volta ad una necessità diversa. Nella cronaca delle sue opere regna parità di diritti, perlomeno formale, tra il programma di un'intera serata e i Disparata, e non teneva una cronaca dell'effetto suscitato dalle sue opere. Certo espresse tutta la sua gioia perché la gente per le strade di Praga cantava e fischiettava il «Figaro» , una popolarità simile non lascia indifferente nemmeno il genio più distaccato. Ma che tipo di conseguenze poteva o doveva trarne? ;
Dopo il grande successo del «Don Giovanni» ritornò all'ordine del giorno con un paio di Lieder. Dei quali il primo porta il titolo «Des kleinen Friedrichs Geburtstag» (K. 529, 6 novembre 1787) e tratta di un «bambinello, giovane e tenero» che «da bravo» va «a scuola» e «nella casa del Signore» , che comunque compie solo azioni virtuose e che alla fine viene benedetto dal Signore. Nessun estro, neanche nella musica, un Lied strofico, niosissimo, fa maggiore.
Dunque dopo il grande dissoluto punito viene il piccolo bambino modello, e ci fa l'impressione di una facezia. Ma lo era poi? Di fatto abbiamo talvolta l'impressione che Mozart abbia voluto cancellare le tracce del suo processo creativo esortandoci così ad accettare come un enigma - risolto solo dal suo artefice, ma slegato dal suo artefice - una creazione unica e possente, e a non sprecar tempo in congetture circa la misura della sua partecipazione personale, a tale creazione, come lui stesso non ha sprecato tempo in congetture sulla sua vita postuma.
Naturalmente non riusciamo a risolverci per una simile astensione. Il tentativo di seguire le tracce del genio creativo e di farcene una seppur piccolissima idea è gratificante come attività fine a se stessa, nel nostro gioco degli indovinelli è previsto il fallimento, e non ci possono essere vincitori.
Wolfgang Hildesheimer, «Mozart», Milano, Rizzoli, 1982, pp. 236-240.