DESPINA
Despina si presenta mentre è alle prese con il «cioccolatte», e il pensiero corre subito alla Serpina pergolesiana, anch'essa, nella sua prima apparizione, alle prese con il «cioccolatte» che ella non vuole servire al padrone. Ma la presentazione di Despina contiene anche qualcosa d'altro: come non notare qualcosa di equivoco in questa graziosa fanciulla che «sbatte» e che poi deve soltanto sentire l'odore? «Non è forse la mia come la vostra», conclude Despina indignata: bocca?
Eduardo RESCIGNO, [Commento al libretto] in «Così fan tutte», Programma di Sala Stagione 1982-1983, Teatro alla Scala Milano, p. 75.
Stefan Kunze: Il ruolo di Despina
[Despina], la serva scaltra, vivace, dotata di spontanea arguzia, ha una lunga serie di antenati, che affonda le sue radici fin nell'antichità. Se Susanna e Zerlina hanno entrambe qualche caratteristica in comune con questo stereotipo fondamentale, nel caso di Despina Da Ponte e Mozart non hanno voluto, per così dire, annacquare la parte, cosicché nell'esperimento drammaturgico vi è almeno una grandozza precisa e invariabile. Con Despina non entra in gioco soltanto uno spirito fiero, il suo personaggio fa anche da contraltare al carattere elegiaco-sentimentale delle due ragazze. Nella commedia per musica italiana era sempre stato compito delle varie Serpine e Serpette (più tutti gli altri nomi consimili) chiamare le cose col loro nome e mostrare alla società il suo vero volto.
Come la Colombina della commedia dell'arte, Despina accetta di buon grado qualsiasi scherzo (anche licenzioso), è pronta a tutti gli intrighi e molto sagace. La sua forza nasce dal conoscere le vere motivazioni dell'agire umano, dal non farsi illusioni, dal mettere in pratica drasticamente le proprie opinioni e dal non avere affatto peli sulla lingua. Perciò è la naturale alleata di Don Alfonso. La sua condizione sociale le consente di trascurare le convenzioni e di dirlo con franchezza alle sue padrone, con un tono di ribellione molto più marcato, più radicale perfino di Leporello, pur sempre soggetto a occasionali accessi di moralità. Non a caso il suo monologo di sortita (I, 8) ricorda quello di Leporello:

Che vita maledetta
È il far la cameriera!
Il discorso cade addirittura sull'alienazione del lavoro:

Si fa, si suda, si lavora, e poi
Di tanto che si fa nulla è per noi.

Despina ha preparato la cioccolata per le due sorelle, e ciò che la fa arrabbiare non è l'odio di classe bensì l'aroma della bevanda, che la induce ad assaggiarne. È la situazione concreta che la spinge a considerazioni più generali:

Non è forse la mia come la vostra [bocca]
O garbate signore,
Che a voi dessi l'essenza e a me l'odore?

Sullo sfondo degli avvenimenti storici di quell'epoca tali parole dovettero suonare ben diverse che in passato. Nelle «Nozze di Figaro» se ne cercherebbero invano di simili. In compenso, molto più scandalo avrebbero suscitato anche nell'epoca precedente l'insegnamento che Despina ricava dalla situazione delle due ragazze rimaste sole e i consigli che impartisce loro. Infatti ella sa già in partenza cosa dovranno sperimentare le due coppie, e vi si è rassegnata con un atteggiamento che si può soltanto definire cinico. Despina parteggia per la totale intercambiabilità del partner. Non potrebbe dirlo più chiaro di così: (I, 9) «Han gli altri ancora | Tutto quel ch'han essi».
Cambiare aumenta il divertimento, e proprio a divertirsi devono mirare Fiordiligi e Dorabella: «ancora | Non vi fu donna che d'amor sia morta». (Figuriamoci come Despina avrebbe commentato Tristan und Isolde!) La fedeltà, l'amore sono favole che non si raccontano più nemmeno ai bambini. Attendersi fedeltà da uomini, da soldati, è semplicemente ridicolo. «Di pasta simile | Son tutti quanti»: questo è il tenore dell'aria brillante (n. 12) con la quale Mozart mette in scena una Despina in carne e ossa, o meglio ne disegna il ritratto con tocchi leggeri e suggestivi. La sua musica non era mai stata né sarà più così beffarda. Si dice che Mozart abbia battuto gli italiani sul loro stesso terreno; ebbene, ammesso che ci si possa esprimere in questi termini, questo è senz'altro vero per l'aria di Despina. In essa anche il testo è magistrale, basti notare con quale pregnanza vi sono strapazzate le caratteristiche maschili: «Le fronde mobili, | L'aure incostanti | Han più degli uomini | Stabilità». Dopo tante parole poco lusinghiere, l'appello conclusivo: «Paghiam, o femmine, | D'ugual moneta | Questa malefica | Razza indiscreta: | Amiam per comodo, | Per vanità!».
Despina si è adattata benissimo a questo mondo dove regnano volubilità, infedeltà e inganno, raggiungendo la propria forma di atarassia così come Don Alfonso ha trovato la sua. Nel suo colloquio con Don Alfonso (I, 13) ella ricorre ad argomentazioni non molto dissimili da quelle del vecchio filosofo; infatti quando questi la loda per le sue considerazioni ella replica che non è soltanto per precauzione ma per «legge di natura» se le ragazze accettano i nuovi spasimanti. «Amor cos'è? | Piacer, comodo, gusto, | Gioia, divertimento, | Passatempo, allegria: non è più amore, I Se incomodo diventa, I Se invece di piacer nuoce e tormenta». Quanta verità nelle sue parole! Eppure si son fatti i conti senza l'oste: senza tener conto della natura del cuore umano, come allora si diceva. Lo sa bene Don Alfonso, che altrimenti non avrebbe messo in guardia gli amici dall'esperimento. Le sentenze di Despina non rispecchiano il senso complessivo della pièce. Il peggior fraintendimento dell'opera sarebbe considerarla come un'arringa volta a dimostrare le sue teorie. Semmai il problema è come salvare i sentimenti umani nonostante gli avvenimenti che paiono dar ragione alla serva. Al contrario di Susanna e Zerlina, Despina non favorisce alcuna riconciliazione. Difficile negare, poi, ch'ella non potrebbe sostenere e mettere in pratica le proprie opinioni se a dettar legge fossero lei e il suo ceto sociale.
Anche se nell'algebra drammaturgica dell'opera Despina e Don Alfonso non danno luogo a una vera e propria terza coppia, il vecchio non può fare a meno dell'aiuto della serva. Travestita da medico o da notaio (secondo finale), ella fa sfoggio delle sue straordinarie risorse e alla prova dei fatti si rivela l'unico personaggio veramente comico; un personaggio proteiforme, la cui vera natura è appunto il travestimento. [...]
Più tardi (II, 1), davanti alle due sorelle, Despina finisce di sviluppare le sue teorie con spirito salace, battute lapidarie e riferimenti mitologici; a Dorabella, che di fronte alle sue esortazioni chiama in causa il cielo («Il cielo ce ne guardi!»), ella ribatte seccamente: «Eh, che noi siamo in terra, e non in cielo!». Addirittura, visto che il suo rango sociale glielo permette, propone di sparger la voce che i due spasimanti vanno a trovar lei, cosicché le sue padrone non debbano più preoccuparsi della loro reputazione. Molto eloquente l'argomentazione addotta a sostegno della proposta: «Non ha forse | Merto una cameriera | D'aver due cicisbei?», dove entrano in gioco sia la sua condizione sociale sia il suo codice morale. Fiordiligi e Dorabella non rappresentano la concezione morale dell'aristocrazia feudale né si sentono libere da vincoli morali come Despina. Esse sono legate a una morale borghese, oppure, si potrebbe dire, a una morale del cuore che in seguito si scoprirà borghese. È naturale che le due innamorate inorridiscano alla frase davvero sfacciata di Despina, secondo la quale si può stare senza amore ma non senza amanti. La serva riassume la sua dottrina nella sua seconda aria (n. 19). (Come a tutti gli altri personaggi, escluso Don Alfonso, le sono assegnate due arie. Soltanto Ferrando, il tenore, fa eccezione con le sue tre arie; ma la terza - Tradito, schernito, n. 27 - è un recitativo seguito da una cavatina, ossia un brano che secondo la concezione dell'epoca non andava considerato come un'aria vera e propria.)
Stavamo quasi per far torto a Despina a causa dei suoi principii amorali. In ogni caso occorre chiedersi se essi siano da prendere sul serio o se non nascano dal capriccio, dall'impulso e dallo scherzo di un momento. Né vi può essere alcun dubbio che il temperamento allegro di Despina vivacizzi tutto ciò con cui viene a contatto. Forse in lei si può scorgere qualcosa di più della cameriera della commedia: scaltra, vispa, che ne sa una più del diavolo. Se Don Alfonso è una divinità privata degli attributi mitologici, Despina può impersonare, per restare in ambito mitologico, Cupido e Amore insieme. Amore può assumere gli aspetti più diversi (come Despina), il suo compito è cogliere ogni occasione per scagliare i suoi dardi (come Despina); in quanto divinità pagana e forza vitale attiva egli è al di là del bene e del male. Inoltre Amore rende ciechi; forse è per questo che le due promesse spose non riconoscono i loro spasimanti travestiti. Del resto non li riconosce neanche Despina fino alla fine, giacché Don Alfonso non l'ha messa a parte dell'identità dei due albanesi. Il suo ruolo è credibile proprio perché ella non sa niente del rischioso esperimento. Despina - come Amore - fa da mediatrice senza riguardo per le persone, senza mire particolari o secondi fini.
Ma dato che non considera affatto l'amore come un evento scritto nel destino, in lei v'è senz'altro un po' della leggerezza e del candore spensierato e scherzoso di quei putti e amoretti che riempivano con gaio e terreno splendore gli ambienti e le rappresentazioni dell'epoca barocca. Nello straordinario personaggio di Despina la musica di Mozart e il testo di Da Ponte preservarono qualcosa di ancora più essenziale di questo universo, che nell'architettura e nella pittura aveva già fatto largo alla gravità del Classicismo.
Stefan Kunze, «Il teatro di Mozart», Venezia, Marsilio, 1990, pp. 556-560.