È la fede delle femmine...
Da Ponte cita letteralmente, a parte una modifica nel primo verso, la prima quartina di una celebre arietta del Metastasio, tratta dal «Demetrio» (1731). Sono parole di Olinto, che aspira invano al regno di Siria:

E' la fede degli amanti
Come l'araba fenice:
Che vi sia, ciascun lo dice;
Dove sia, nessun lo sa.
Se tu sai dov'ha ricetto,
Dove muore e torna in vita,
Me l'addita e ti prometto
Di serbar lá fedeltà.
Don Alfonso commette quindi una forzatura, attribuendo alle femmine quanto è invece attribuito dal Metastasio agli amanti in generale («D'ogni amator la fede / è sempre mal sicura» aveva scritto altrove il poeta); ed è una forzatura che ha il suo punto di maggior peso nell'uso della parola «femmine». Aveva detto don Alfonso che in «donne» non si può trovare «fedeltà»; ora, all'inizio del Terzetto, ribadisce che nelle «femmine», la fede non esiste. Si è ricordato forse del Petrarca, che dice «Femina è cosa mobil per natura»? Oppure aveva presente la particolare etimologia che la Scolastica proponeva per «femmina»: contrazione di «fides» e «minus», cioè fede scadente? In ogni caso, Da Ponte scelse «femmina» realizzando una forzatura nel verso: avrebbe potuto dire «è la fede delle donne», e l'ottonario sarebbe rimasto piano; scrivendo invece «è la fede delle femmine» ha proposto un ottonario sdrucciolo, la cui irregolarità è messa in opportuno rilievo da Mozart. C'è quindi una sorta di gradualità nel suo discorso, che passa dalle donne del recitativo alle femmine del Terzetto. Una gradualità molto convincente, che afferra anche i due giovani innamorati: ciascuno dei quali pronuncia nel corso del Terzetto, per ben otto volte il nome dell'amata, ma l'ottava volta sulle note del motto alfonseo: «nessun lo sa», do diesis, la, si, sol diesis. Sono già della sua opinione?
Eduardo Rescigno, [Commento al libretto] in «Così fan tutte», Programma di Sala Stagione 1982-1983, Teatro alla Scala Milano, p. 75.