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Elvio Giudici
INTERPRETARE «COSÌ FAN TUTTE»
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L'opera in
CD e video.
Guida all'ascolto.
[Milano, Il Saggiatore, 1995, pp.
477-478.]
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È questa, probabilmente, l'opera più
difficile ed enigmatica di Mozart. Molti i motivi: il suo carattere non
immediatamente definibile la mancanza d'un'atmosfera ben precisata come
quella che, ad esempio, il ritmo febbrile o comunque vitale - quindi
positivo, se non proprio ottimistico - conferisce alle «Nozze»;
l'assenza di una figura carismatica come «Don Giovanni»; senza
che tali mancanze siano compensate dal clima atemporale proprio del
«Flauto». |
È un'opera che tratta essenzialmente
dell'amore: ma un amore intriso dello scetticismo connaturato al
Settecento, e nel cui vortice d'ineludibile attrazione fisica ruolo
determinante gioca il capriccio se non addirittura la noia. Il che
beninteso, non significa affatto che secondo Mozart non si potesse provare
sentimento alcuno: anzi, il «Così fan tutte» è
proprio un inno all'amore, che solo non vuol essere sublime, eterno,
ideale, per restare soltanto - ma anche soprattutto - amore e basta. Di
conseguenza, è l'opera di Mozart che più d'ogni altra
è stata sempre contemporanea all'ascoltatore. |
Come tale, stupisce pochissimo fosse del tutto
incompresa nell'Ottocento: che del quotidiano aveva orrore, e che l'amore
così come Mozart o De Laclos intesero ed esaltarono vorrà
trasformare in Ideale col rivestirlo di forza morale per non dire di
misticismo. E siccome nessun'epoca più della romantica ha pesato sul
doppio versante dell'esecuzione e del modo d'intendere la tradizione
musicale, per lunghissimo tempo il «Così fan tutte»
è stata opera dimenticata d'un autore cui il romanticismo assegnava
ruolo importante nella storia musicale solo perché autore del
«Don Giovanni», figura più d'ogni altra
romanticizzabile. E basterebbe, al riguardo, ricordare i giudizi
pesantemente negativi che dell'opera, per ragioni diverse ma equivalenti,
formularono Beethoven e Wagner. |
Un modo sostanzialmente nuovo di guardare a Mozart
si cominciò a intravedere con Fritz Busch: il quale, con le
proprie direzioni straordinariamente vive e scintillanti, tentava di
scrostare le pesanti stratificazioni romantiche dal «Don
Giovanni» e dalle «Nozze» (codificate e, per dir
così, imbalsamate per i posteri dalle famose esecuzioni viennesi di
Mahler) ma nel contempo riportava alla luce il sottovalutatissimo
«Così fan tutte» e il dimenticato
«Idomeneo». Busch non era e neppure era stato l'unico,
beninteso, ma solo il punto finale d'una corrente che aveva timidamente
preso le mosse da Strauss, era stata accolta da Krauss e portata avanti da
Walter: ma con Busch s'affermava solidamente, grazie anche alle
registrazioni che avevano fatto seguito alle recite di
Gyndebourne. |
Busch, in definitiva, aveva vivificato
quella superciliosa ideologia romantica appiccicata a Mozart (e che molti
direttori grandi e grandissimi tuttora seguivano e avrebbero continuato a
seguire) con la naturalezza, il dinamismo e la spontaneità di timbri
più leggeri, più liricheggianti, in genere anche più
belli di quelli impiegati per così lungo tempo. Alla ferrigna
staticità d'un'ideologia, cominciava a opporsi una teatralità
più sfumata e aperta a diverse soluzioni: che tuttavia, proprio per
questo - in una musica dall'enorme e modernissimo contenuto, sì, ma
di struttura pur sempre settecentesca - si prestava a un manierismo lezioso
e ripetitivo. Così che, irradiandosi dall'Austria e contapiando ben
presto Germania, Inghilterra e di riflesso anche l'Italia, le
interpretazioni di Mozart diventarono sempre più ossequiose a uno
stereotipato cliché che prevedeva soprattutto un suono orchestrale
costantemente bello, morbido, variegato in sottili sfumature, ma pochissimo
fantasioso nelle differenziazioni dinamiche. |
Il «Così fan tutte» poi, ha
sofferto anche nel nostro secolo, fino ben oltre il dopoguerra,
d'un'incomprensione molto maggiore rispetto alle altre due del trittico
dapontiano, e solo leggermente inferiore a quella subita all'epoca del
romanticismo. La quotidianità del «Così» ha
sempre spaventato, perché la si avverte come cosa che ci riguarda
molto da vicino. Di sorriso in sorriso, in un susseguirsi di dolcissime
melodie carezzevoli e di finte passioni che hanno - meglio sembrerebbero
avere; meglio ancora, vorremmo che avessero - l'impeto della verità
più vera, quando arriviamo alla fine si scopre invece come nulla sia
restato in piedi: l'amore più puro si specchia nella menzogna senza
per questo essere meno intenso, l'amicizia si dimentica, pli alti ideali
s'annacquano nel volgere di poche ore, la fedeltà più
incrollabile svanisce con lo svanire d'una canzone fuori scena. È un
gioco certo: ma terribilmente serio, fin quasi alle soglie del cinismo.
Giacché anche questo, per non dire soprattutto questo, è il
«Così fan tutte». La vita come gioco casuale, un
qualcosa di lieve, di imprevedibile, di fatuo: e quindi un qualcosa di
molto crudele, ma la cui inevitabilità è pienamente accettata
sì da far coesistere nella stessa piega delle labbra l'amarezza e il
sorriso, senza che nessuno dei due prevalga ma entrambi essendo ben
avvertibili. |
Detto in altri termini, nessun altro autore ha
messo a perno del proprio universo sentimentale l'ambiguità. Che del
disincanto è il tratto più sfumato, più ricco
d'implicazioni, più poetico; e che nessuna forma artistica
più della musica, con la sua infinita possibilità di dire una
cosa e di sottenderne un'altra magari opposta, è in grado di
sfruttare altrettanto a fondo, così come da nessun altro più
di Mozart questa possibilità è stata adoperata fino a farne
l'essenza stessa della propria poetica. Come in un'architettura di
Borromini - elegante e raffinatissima ma che tuttavia dà la
sensazione d'esser lì lì per scoppiare tanto teso allo
spasimo è il gioco interno delle contrapposizioni volumetriche -
allo stesso modo godiamo nel «Così fan tutte» della
perfezione di forme elaborate e sapienti: ma non si può non
avvertire il disagio derivante da una potenzialità drammatica
esplosiva, compressa perché alla passione, nel Settecento, si soleva
soltanto alludere. Anche nel Settecento di Mozart che era già
Ottocento nella sostanza ma assolutamente non nella forma. |
Per molto tempo s'è avuto proprio paura del
vero contenuto del «Così fan tutte». E lo si è
quindi esorcizzato col detestabile «stile mozartiano» che detta
legge - dagli anni Cinquanta fin nel pieno degli Ottanta - col manierismo
d'un eccedente impiego del «carino» e del
«divertente»: le cui orride incrostazioni volgevano
nell'inoffensivo ottimismo della burla la fondamentale sfiducia di Mozart
nei cosiddetti eterni sentimenti, cari invece al romanticismo. Così
che i recitativi infarciti com'erano di coccolezzi facevano retrocedere i
sani personaggi femminili di Mozart da esseri di carne e sensi a pupattole
leziose inoffensive nelle loro boccocce a cuore e nel loro ditino alzato in
posa civettuola, la cipria stemperava gli acri umori di tante situazioni
ambigue e scabrose, gli stucchi rococò irrigidivano movimenti tra i
più indiavolati oppure morbidamente allusivi mai immaginati dal
teatro musicale: cosa che, oltretutto, ha reso moltissime esecuzioni sia
teatrali sia discografiche del tutto intercambiabili quanto a profilo
interpretativo. |
L'altro grande equivoco - un po' meno frequente
solo perché presuppone doti esecutive molto maggiori - è
stato il vedere nel «Cosí» qualcosa di asetticamente
metafisico, una sorta di ideale estetico in musica, la cui perfezione
esclude di per sé ogni tensione drammatica: a parte poi il fatto che
il canto, e quello femminile in ispecie, molto spesso è stato
monopolizzato dal gusto anglotedesco e quindi tanto bello non era, con
tutte le note fisse stile fischietto e le agilità aspirate che ben
abbiamo imparato a conoscere e a temere. |
Da qualche anno, tuttavia, s'è assistito a
un cospicuo mutamento del modo d'intendere e di realizzare Mozart. I
recitativi (tra l'altro pronunciati ormai molto meglio, relegando nel
passato l'accento orripilante che infarciva tante edizioni discografiche
anche celebri) sono articolati, mossi, personali e non più
fotocopiati da un'edizione all'altra. L'orchestra è meno relegata
alla pura e semplice ricerca d'un suono il più bello e raffinato
possibile, ma partecipa al gioco teatrale: il quale, a sua volta, è
infinitamente più frastagliato, più dinamico, più
ricco di chiaroscuri e di ambiguità, in una parola più
appannaggio di personaggi realmente vivi e quindi mutevoli nell'una e
nell'altra interpretazione anziché di stereotipi sempre
ripetuti. |
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