RECENSIONI
Neue Zürcher Zeitung, 22 febbraio 2000
Tages Anzeiger, 22 febbraio 2000
Le Temps, 22 febbraio 2000
Basler Zeitung, 22 febbraio 2000
Laureto Rodoni

«Così fan tutte»:
il trionfo di Cecilia e... dell'ipocrisia

La Bartoli incanta il pubblico dell'Opernhaus debuttando nell'impervio ruolo sopranile di Fiordiligi. Folgorante la regia di Jürgen Flimm e magistrale l'interpretazione del maestro Nikolaus Harnoncourt.

Dopo «Le Nozze di Figaro» (1998) e «Don Giovanni» (1999), domenica 20 febbraio è andata in scena a Zurigo «Così fan tutte», l'ultima opera del ciclo Mozart-Da Ponte.
Pur essendo un sommo capolavoro del repertorio lirico, fu negletta o severamente giudicata (da Beethoven e Wagner per esempio) nel corso dell'Ottocento e solo in tempi recenti la critica specializzata ha fatto luce sui suoi sublimi valori musicali e letterari. Si pensi che un fervente ammiratore e profondo conoscitore di Mozart come Ferruccio Busoni ebbe tra le mani la partitura di «Così fan tutte», restandone abbagliato, solo a partire dal 1918, ossia negli ultimi anni della sua esistenza. Fu l'allora giovanissimo Otto Klemperer a regalargliela: nelle sue memorie il grande direttore d'orchestra mise in risalto come quest'opera fosse pressoché sconosciuta prima del 1914. Ancora nel 1945, Bernhard Paumgartner scriveva nella sua fondamentale monografia mozartiana: «Il tempo per la comprensione di questo finissimo gioiello non è ancor giunto».
In breve la trama: due giovani ufficiali scommettono sulla fedeltà delle loro fidanzate. Per metterle alla prova, fingono di partire per la guerra e ricompaiono subito dopo travestiti. Sono irriconoscibili e buffi, ma pur sempre attraenti. Cercano di conquistare la fidanzata dell'altro e dicono di volerle sposare. Dopo qualche resistenza, ottengono il loro consenso. A questo punto si fanno riconoscere, suscitando imbarazzo e pentimento nelle due fanciulle. Architetto della cinica scommessa che si trasforma subito in crudele burla è Don Alfonso, il quale trova nella cameriera Despina un'abilissima ed esilarante complice.
Il «vecchio filosofo», così è definito Don Alfonso nel libretto, è paradossalmente l'unico personaggio coerente della vicenda; appare però freddo, privo di emozioni, mentre i quattro innamorati le provano tutte. Ma fino a che punto esse sono sincere? Il dubbio permane e fu forse questo aspetto ambiguo del testo dapontiano a sconcertare pubblico e critica nei tempi passati.
L'esito della première zurighese, se si eccettuano i soliti (ma questa volta sparuti e poco convinti) dissensi al team di regia guidato da Jürgen Flimm, è stato trionfale, specialmente per Cecilia Bartoli e Nikolaus Harnoncourt. Magnifiche anche le performaces di Roberto Saccà (Ferrando) e di Liliana Nikiteanu (Dorabella); di notevole interesse la prima incursione di Agnes Baltsa nel ruolo di Despina, nonostante alcuni problemi di emissione della voce che non hanno pregiudicato l'insieme della sua interpretazione, convincente anche sul piano scenico. Degni di lode anche Carlos Chausson (Don Alfonso) e Oliver Widmer (Guglielmo). Insomma Harnoncourt e Flimm han potuto costruire la loro interpretazione con un cast omogeneo e di ottimo livello musicale e scenico.
È ben nota l'amicizia e la stima che legano Cecilia Bartoli a Nikolaus Harnoncourt.
Da qualche tempo le sfide canore più temibili la celebre cantante romana le affronta per la prima volta sotto la guida dell'autorevole maestro, uno dei più profondi conoscitori del Settecento musicale in genere e dello stile mozartiano in particolare: lo scorso anno Donna Elvira in «Don Giovanni» con esiti non brillantissimi (il ruolo vocalmente non le si addice); domenica sera Fiordiligi, dopo aver interpretato superbamente negli scorsi anni gli altri due ruoli femminili, quelli di Despina e di Dorabella. Pur con qualche lievissima riserva riguardante il timbro non del tutto consono alla vocalità del personaggio, la sua performance è stata entusiasmante ed emozionante da ogni punto di vista (tecnico, interpretativo e teatrale) e il pubblico l'ha gratificata con calorosissime ovazioni, anche a scena aperta. Un vero e proprio trionfo! La Bartoli domina l'impervia parte con una disinvoltura che è ben raro riscontrare in un «Rollendebüt»: l'emissione controllatissima della voce le consente molteplici sfumature di fraseggio che danno spessore al personaggio, evidenziandone la ricchezza affettiva, la forza morale, ma anche la fragilità, l'inquietudine, la malinconia e la lacerazione interiore. La sua interpretazione del recitativo e della grande aria «Ei parte... Senti! [...] Per pietà, ben mio perdona» è stata sicuramente il vertice vocale della serata: sorretta da un magnifico accompagnamento orchestrale (un unico neo: la non perfetta prestazione dei due cornisti), la Bartoli ha alternato pianissimi quasi sussurrati (quando prevalgono nel suo animo il rimorso e la vergogna per il suo tradimento affettivo nei confronti del fidanzato Guglielmo) ad acuti e vocalizzi impeccabili e limpidissimi nei momenti di orrore e di rabbia contro se stessa e la sua volubilità amorosa. Grazie al perfetto affiatamento artistico con Harnoncourt e sicuramente anche alla guida sagace del regista Jürgen Flimm, Cecilia Bartoli ha saputo conferire al personaggio di Fiordiligi una profondità vocale inaudita. E chissà che cosa saprà aggiungere alla sua interpretazione nelle repliche e nelle future produzioni, quando avrà acquisito ancor maggiore sicurezza!
«Così fan tutte» può essere intesa come un'opera in cui trionfa la Ragione: Don Alfonso vince la scommessa e riesce addirittura a riconciliare la coppia ma declamando quella morale terribilmente scettica che intitola l'opera: «così fan tutte!» Alla fine i sei personaggi cantano i versi: «Fortunato l'uom che [...] tra i casi e le vicende da ragion guidar si fa». Ed è proprio nella vittoria del razionalismo di Don Alfonso, nel «predominio» della Ragione intesa come guida esistenziale che, secondo Eugenio Montale, è nascosto «il segreto dell'incorruttibile giovinezza di questo spartito, al quale dovrebbero andare, e andranno probabilmente in avvenire, le preferenze di tutti gli spiriti liberi, quelli che vedono nella musica un'arte di catarsi capace di giocare con le forze del Cosmo.»
Nikolaus Harnoncourt ha una visione ben più pessimistica del capolavoro mozartiano. In una recente intervista egli ha dichiarato che a suo parere «Così fan tutte» è l'opera più triste di tutto il repertorio lirico. È questa una preziosa chiave per meglio comprendere la sua magistrale lettura della stupefacente partitura, ancor più stratificata, vibrante, tesa e lacerata rispetto all'edizione discografica (ma sono passati ormai quasi dieci anni dalla lodatissima registrazione). Poco attratto dalla bellezza del suono fine a se stessa che spesso fa restare in superficie l'interpretazione, Harnoncourt privilegia l'analisi approfondita delle situazioni narrative e lo scavo psicologico dei personaggi, non rinunciando a certe asprezze sonore che mettono in risalto efficacemente aspetti fondamentali (e tragici!) dell'opera: la perdita degli ideali, la disillusione, lo smascheramento dell'ipocrisia. Da questo punto di vista la consonanza con la regia di Flimm è pressoché perfetta.
Il regista tedesco sembra a tratti alludere alla dissacrante e sarcastica satira sociale di Luis Buñuel rendendo così omaggio al grande regista spagnolo a 100 anni dalla nascita. Con l'inserimento nella scenografia del secondo atto di uno struzzo
Flimm cita in particolare il sogno e soprattutto il finale de «Il fantasma della libertà» (1974): la memorabile e inquietante inquadratura in primo piano della testa di questo enorme uccello mentre si guarda attorno attonito nel giardino zoologico in cui Buñuel conclude questo suo capolavoro. E non è forse un piccolo giardino zoologico quello che attornia il tavolo dove, nel finale dell'opera sono sedute le due coppie? Come nel film di Buñuel, anche in «Così fan tutte» vi è un ordine stabilito che si scardina a causa dell'inserimento nella trama di un elemento imprevisto e destabilizzatore (la burla); vi sono paradossali capovolgimenti (lo scambio delle coppie, il falso matrimonio incrociato)... Inoltre anche le spessissimo evocate simmetrie dell'opera, se permangono sul piano narrativo, sono però scardinate sul piano psicologico dalla
sagace guida delle dramatis personae di Jürgen Flimm (si ricordi che un protagonista del film citato di Buñuel esclama: «Detesto le simmetrie!»): Guglielmo e Ferrando nel secondo atto non sono soltanto delle marionette mosse da Don Alfonso, ma provano sentimenti veri verso la «finta» partner, sentimenti che forse non avevano provato prima. La burla è quindi ben più «reale» di quanto possa apparire a prima impressione. Alla fine dell'opera le due coppie sono ricomposte, per essere però quasi subito ingabbiate in uno «Schneewürfel», cioè in uno tra i più banali e kitsch souvernirs. Esse potranno così essere ammirate e... ri-capovolte e... re-innevate dalle generazioni future.
L'irrigidimento sotto la neve dei personaggi allude però anche, a mio parere, all'ultima scena di «Shining», in cui il protagonista muore assiderato, ma è destinato a reincarnarsi al servizio delle forze del Male: quindi la vicenda, nel film di Kubrik come nell'opera di Mozart, si conclude solo nelle sue apparenze...
A proposito del «Fantasma della libertà» (e di altri due suoi film che formano per l'autore un trittico:«La via lattea» e «Il fascino discreto della borghesia») Luis Buñuel scrisse nel suo volume «Dei miei sospiri estremi»: «Nei tre film si ritrovano gli stessi temi [...]. Parlano tutti e tre della ricerca della verità, che bisogna fuggire appena credi di averla trovata, dell'implacabile rituale sociale [...], della ricerca indispensabile, del caso, della morale personale, del mistero che bisogna rispettare.» Parole che si attagliano perfettamente alla visione pessimistica che Jürgen Flimm (la cui interpretazione è stata analizzata con sconcertante superficialità, banalità e anche disprezzo dalla critica) ha dell'opera di Mozart. Così interpretato, il finale del «Così fan tutte» rappresenta l'amaro trionfo dell'ipocrisia e assume una connotazione tragica che l'interpretazione somma di Harnoncourt mette angosciosamente in risalto.