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Claudio Casini - Maria Delogu

Ritratto di Tchaikovsky

 

 

Dal volume Caikovskij, Milano, Rusconi, pp. 7-12.

 

 

«Vorrei illustrare con la musica le parole di Cristo:

Venite a me voi che soffrite e siete oppressi.

In queste magnifiche parole c'è l'amore infinito e la compassione per l'uomo. L'aspirazione appassionata ad asciugare le lacrime di dolore e ad alleviare i tormenti dell'umanità sofferente.»

[Klin, 7 ottobre 1893]

 

Un uomo sta appoggiato a una ringhiera di legno intagliato e dipinto, una sigaretta fra le dita, i capelli bianchi in disordine. Il volto scavato, la fronte aggrottata, lo sguardo torvo, profonde occhiaie scure, la bocca serrata, seminascosta dalla barba grigiastra. Sembra scrutare assorto e corrucciato qualcosa: forse l'ignoto fotografo, forse il vuoto.
È l'ultima sconvolgente immagine di Tchaikovsky nel 1893. Ha soltanto cinquantatré anni ma appare precocemente invecchiato. È celebre, ha successo e denari, ma sembra un naufrago. Il futuro lo spaventa; del passato, in quel momento sembra ricordare soltanto i giorni difficili. Non ha nessuna concreta ragione che giustifichi il dolore e la disperazione che si leggono sul suo volto eppure è divorato dall'angoscia che lo ha tormentato per tutta la vita e che gli ha rovinato anche i momenti più belli.
Tutto sommato è stato un uomo fortunato, o almeno non più sfortunato di altri: è nato in una famiglia agiata e molto unita; per i primi anni ha vissuto persino nel lusso; ha ottenuto grandi soddisfazioni artistiche: con determinazione e forza di carattere in pochi anni è passato dalla condizione di musicista dilettante a quella di professionista e di compositore di successo, riconosciuto e ammirato in patria e all'estero. A trentasette anni la generosità di una fervente ammiratrice gli ha consentito la più grande libertà d'azione, al riparo dalla necessità di impegni fissi e sgraditi: non ha avuto responsabilità, ha potuto viaggiare, trascorrere lunghi periodi in campagna alimentando quella che definisce la sua «misantropia» e che spesso somiglia pericolosamente all'egoismo. Poi sono arrivati il successo e la fama internazionali: le tournées, gli onori, le gratificazioni.
Nadezda Filaretovna von Meck
Certo, a momenti la vita è stata per Tchaikovsky più difficile: nella prima infanzia e nell'adolescenza i rovesci di fortuna del padre, i continui spostamenti della famiglia; a dieci anni il trauma della vita in collegio; a quattordici la morte della madre; a diciannove la necessità di accettare un fastidioso impiego ministeriale; a venti la consapevolezza di essere omosessuale, accompagnata da un divorante conflitto interiore; a ventitré la decisione di diventare musicista e l'inizio di anni duri; a trentasette l'esperienza devastante di un matrimonio di convenienza, il primo tentativo di suicidio e la rottura definitiva di un pur labile equilibrio interiore.
Fragile per natura, un «bambino di vetro », come lo aveva definito la sua governante, fin dall'infanzia ha percepito in maniera esasperata le minute gioie quotidiane come le minime contrarietà. Diventato adulto, è stato incapace di godere dei molti privilegi ottenuti, se non per brevissimi istanti: la libertà e la mancanza di responsabilità sono diventate dolorosa solitudine e vuoto affettivo; i viaggi, vagabondaggi disperati alla ricerca di una serenità che non è riuscito a trovare in se stesso. La creazione artistica è stata il riscatto da una condizione umana subita con vergogna; ma la tensione creativa gli ha procurato soltanto sfinimento e uno stato depressivo, talvolta tanto grave da ridurlo a letto, incapace di lavorare.
La foto lo ritrae sul terrazzo della sua casa di campagna a Klin probabilmente alla vigilia della prima esecuzione a Pietroburgo della Sesta Sinfonia «Patetica». L'aspetto febbrile, fissato nella fotografia, potrebbe dunque essere la conseguenza della fatica sostenuta per comporre la sinfonia in pochi mesi (da maggio a ottobre). Lo sfinimento e il conseguente stato depressivo ingigantiscono certamente, come era successo in altre occasioni, i suoi sensi di colpa e la sua disperata solitudine.
Per tutta la vita, come unico sostegno nei momenti difficili aveva avuto i pochi affetti che era riuscito a conservare, ma negli ultimi tre anni aveva perso una dopo l'altra alcune di queste persone fidate. Nel 1890 si è rotta l'amicizia con Nadezda von Meck; nel 1891 è morta l'amata sorella Sasa, la confidente, l'amica, il rifugio; nel 1893, in pochi mesi sono morti gli amici più cari; il senso di isolamento nella sua diversità, il terrore della solitudine affettiva sono forse diventati insostenibili. Disperato, sempre sull'orlo della follia, ha intrapreso anche un patetico ritorno all'infanzia andando a cercare il conforto dell'amatissima governante Fanny Durbach che non ha più visto dal 1848.
Nel profondo stato di depressione, perduti alcuni importanti punti di riferimento, il senso di colpa e di solitudine potrebbe forse indurlo a pensare ancora una volta al suicidio. Il desiderio di suicidio come rimedio alle proprie colpe o come fuga da una realtà che non riusciva ad accettare era comparso precocemente e lo aveva accompagnato per tutta la vita. Per la prima volta aveva pensato al gesto estremo nel 1850: aveva dieci anni e si riteneva colpevole di aver contagiato la scarlattina a un suo amichetto che ne era morto. Nel 1877 aveva tentato veramente di uccidersi gettandosi nella Moskva gelata per procurarsi una polmonite (era ottobre, lo stesso mese dell'ultima fotografia e Tchaikovsky era un metereopatico); adesso nel 1893, passati sedici anni, forse ricordando la morte per colera della madre, ha deciso di bere acqua infetta per procurarsi la malattia mortale. Nel 1877 aveva trentasette anni ed era un uomo giovane e vigoroso; adesso è un uomo stanco, invecchiato, e il suo organismo logorato (ha sempre sofferto di gravi e improvvise crisi intestinali) non ha più difese.
Sulla morte prematura di Tchaikovsky si sono fatte molte ipotesi che vanno interpretate considerando l'insieme della sua vita, i diciassette volumi dei suoi scritti, il contesto sociale e storico in cui visse. La diagnosi ufficiale è stata per molti anni quella del colera contratto per imprudenza. Alcuni biografi la smentiscono sulla base di ragioni climatiche: il colera è una malattia estiva e Tchaikovsky è morto in ottobre. In realtà il colera, arrivato in Russia nel 1830, era all'epoca una malattia endemica che raggiungeva il massimo dell'incidenza durante l'estate, ma il bacillo moriva soltanto col grande freddo invernale. Nell'ottobre 1848, quando Tchaikovsky giunse per la prima volta a Mosca, in città imperversava un'epidemia di colera, tanto che la sua bambinaia ne venne contagiata e morì. Nel 1892 l'epidemia era stata violentissima ed era durata molti mesi. Nel 1893, in quella settimana fra ottobre e novembre in cui Tchaikovsky si ammalò e morì, a Pietroburgo c'erano state otto vittime.
Ma anche l'ipotesi non ufficiale di un suicidio era circolata poco dopo la morte improvvisa di Tchaikovsky. È un'ipotesi plausibile; semmai va corretta nelle sue motivazioni e nelle modalità. La studiosa Aleksandra Orlova, seguita da David Brown, riferisce ricordi e testimonianze d'epoca per sostenere che il suicidio avvenne per assunzione di veleno e che fu imposto e favorito da un giurì d'onore per evitare uno scandalo: Tchaikovsky era accusato di aver sedotto un minorenne dell'alta società. Il suicidio è fermamente smentito da Nina Berberova che si limita a confutare le cause del suicidio-esecuzione, senza prendere nemmeno in considerazione l'ipotesi di un suicidio autonomamente deciso e provocato da depressione. Anche Alexander Poznansky nella sua recentissima biografia smentisce categoricamente un suicidio imposto a Tchaikovsky per evitare lo scandalo o l'esilio: l'omosessualità era infatti molto diffusa e lo scandalo provocato da personaggi in vista, anche vicini alla corte, era sempre stato sopito con il tacito accordo dello zar.
Poznansky con molta razionalità esclude che Tchaikovsky in quei giorni dell'incipiente inverno 1893 avesse ragioni oggettive per suicidarsi. Ma, come si sa, chi ha la tendenza al suicidio non ha sempre ragioni oggettive per farlo: molto più spesso si tratta di ragioni soggettive e inspiegabili. Del resto per tutta la vita Tchaikovsky aveva versato fiumi di lacrime per ragioni apparentemente futili.
Torniamo all'ultima immagine di Tchaikovsky, quella di un uomo precocemente invecchiato e forse malato: potrebbe trattarsi di una malattia organica grave già in incubazione, o forse, più facilmente, di una malattia della psiche. Basta confrontare questa immagine con una fotografia di qualche mese prima: un distinto signore coi capelli ben pettinati, la barba curata, sta seduto su una poltrona, la mano destra abbandonata, nella sinistra il bastone e il cilindro. In piedi accanto a lui, il nipote Bob Davydov, figlio dell'amatissima sorella Sasa. L'uomo dimostra certo molto più dei suoi anni, ma appare sereno.
In quel fatale mese di ottobre 1893 Tchaikovsky, esaurito dal lavoro, addolorato per la morte dei suoi cari, logorato da lunghi anni di depressione, forse pensa alla morte: lui che non ha mai manifestato tendenze mistiche e religiose ha perfino invocato la compassione e il conforto offerti dal Cristo. Poi, deciso a morire, sceglie il suicidio «per colera»; il suicidio è una libera decisione, la conseguenza di un istinto autodistruttivo che lo ha accompagnato per tutta la vita; il mezzo prescelto riflette la preoccupazione di non dare scandalo, di non suscitare chiacchiere, di non ledere il buon nome della sua famiglia.
Per salvaguardare l'onorabilità aveva deciso di sposarsi mettendo a tacere i pettegolezzi sulla sua omosessualità; incapace di affrontare la vita matrimoniale, aveva tentato di morire immergendosi nel fiume gelato. In quell'occasione, fallito il tentativo, aveva confessato di aver scelto di suicidarsi in modo che la sua morte potesse sembrare accidentale e naturale. Adesso, tutti in famiglia sapevano che Petr, tanto attento alla salute, non temeva il colera e non prendeva quindi le precauzioni necessarie ad evitare il contagio.
Il suo ultimo lavoro, la Sinfonia n. 6 Patetica era stata composta, per sua stessa ammissione, con un «programma soggettivo », non rivelato a nessuno; l'aveva dedicata al nipote Bobyk al quale lo legava un affetto esclusivo e morboso, come i molti affetti in cui per tutta la vita aveva mescolato attrazione sessuale e istinto materno: era forse un addio, un testamento? La sinfonia non era stata apprezzata e Tchaikovsky era deluso dell'accoglienza che il pubblico e la critica le avevano riservato il 28 ottobre a Pietroburgo; la delusione forse favorì la decisione di porre fine alla propria vita.
Tchaikovsky beve l'acqua infetta con fredda determinazione. Il 1° novembre si sente male (la malattia ha un'incubazione minima di tre o quattro giorni); nella sera viene convocato un consulto medico e il 5 novembre alle tre del mattino Tchaikovsky muore. I parenti, gli amici, la Russia e il mando restano attoniti per questa improvvisa scomparsa. Lo zar Alessandro III, suo grande ammiratore e ultimo protettore, commenta: «Avevamo un solo Tchaikovsky».