Julian Budden

Verdi:

un'immagine che cambia

Tratto da

GIUSEPPE VERDI

l'uomo, l'opera, il mito

a cura di Francesco Degrada

Catalogo della mostra - Milano, Palazzo Reale -
17 novembre 2000 - 25 febbraio 2001 -
SKIRA editore, pp. 149 ss.

Nessun grande compositore ha vissuto nell'ultimo secolo una rivalutazione più spettacolare di Giuseppe Verdi. Formatosiinuna tradizione operistica che in Europa era ormai considerata provinciale, i suoi lavori esercitavano scarso fascino sia sui custodi della tradizione classica sia sulle avanguardie musicali del tempo, mentre dagli affezionati del belcanto egli era spesso considerato il grande corruttore di uno stile che aveva raggiunto il suo apogeo con le opere di Rossini. Questa posizione era particolarmente diffusa in Francia, dove sin dai tempi di Rousseau l'opera italiana era apprezzata con un certo snobismo dagli intellettualí e dall'alta società. Per l'enciclopedista belga François-Joseph Fétis, una delle voci più autorevoli dell'establishment musicale francese, l'opera italiana era finita con Mercadante e Donizettí. A Verdi egli negava qualsiasi originalità, eccezion fatta per quello che chiamava un «eccesso di mezzi», aggiungendo che il suo giudizio avrebbe certamente provocato le ire di tutte quelle istituzioni le cui casse il compositore aveva contribuito a riempire.
La popolarità di Verdi fra il pubblico non poteva certo essere negata, ma non sempre era ascritta a suo onore, soprattutto nei paesi in cui si stava sviluppando un idioma nazionale. Dai Progressisti tedeschi l'opera italiana era stata considerata a lungo un vero nemico. Wagner, che anche negli anni della maturità mantenne una particolare predilezione per le melodie di Bellini, sopportava a fatica che Verdi venisse nominato. Anche in Inghilterra Verdi si scontrava con le resistenze sia dei conservatori sia dei promotori della cosiddetta «English Musical Renaissance», che si ispirava principalmente alla musica tedesca. E mentre in tutto il mondo gli spiriti più perspicaci ne riconoscevano le, conquiste degli anni maturi, per la grande maggioranza Verdi rimase fino alla fine dei suoi giorni il compositore del «Trovatore». Persino il «Requiem» era considerato un'opera sotto mentite spoglie.
Diversa era, naturalmente, la situazione in Italia. La morte di Donizetti e il declino di Mercadante, che tendeva al manierismo e alla replica di se stesso, lasciarono Giuseppe Verdi in una indiscussa posizione di preminenza fra i compositori italiani dell'epoca. Non avendo mai celato i suoi orientamenti politici, all'epoca dell'unificazíone, nel 1861, Verdi - il cui nome era strettamente associato al Risorgimento - fu invitato da Cavour a sedere come deputato nel primo parlamento italiano. Sebbene non rientrasse nelle simpatie dei movimenti artistici che cominciavano a diffondersi nel paese negli anni Sessanta e Settanta, il suo prestigio rimaneva comunque intatto. Pur essendo sostanzialmente una persona molto riservata, Verdi alla fine autorizzò la pubblicazione di una sua biografia ufficiale («Giuseppe Verdi, vita aneddotica di Arthur Pougin», Mílano 1881, rev. 1886), alla cui realizzazione contribui personalmente. Questo testo avrebbe fissato l'immagine di Giuseppe Verdi per più di una generazione: l'uomo di umili origini che, con la sola forza del suo carattere, riuscì ad assurgere a una posizione di rilievo; un austero patriota deciso a sostenere l'eredità culturale del suo paese contro l'invasíone straniera.
Questa immagine non era falsa, ma indubbiamente risultava caricata di una certa esagerazione. L'opinione che nelle sue prime opere Verdi fomentasse deliberatamente le agitazioní che culminarono nei movimenti rivoluzionari del 1848 è chiaramente falsa. Se nell'atmosfera di quel tempo la sua musica era accompagnata da manifestazioni popolari, altrettanto accadeva con i «numeri» guerreschi di Norma e Belisario. Non si deve del resto dimenticare che, quando l'editore Francesco Lucca richiese alla Scala una cifra esorbitante per mettere in scena Attila, fu la polizia austriaca che lo costrinse a ridurre le sue richieste. Di fatto Pougin, nel suo commento alla «Battaglia di Legnano», assolve implicitamente il compositore dall'accusa di aver fatto della propaganda politica. Altrettanto falsa è l'opinione che la famiglia di Verdi fosse analfabeta; né Verdi dal canto suo incoraggiò tale credenza. In una mostra del 1889 Giulio Ricordi espose una lettera del padre di Verdi, cosa che certamente non avrebbe potuto fare senza l'autorizzazione del compositore.
Verdi lamentava, a volte, che i propri lavori fossero incompresi dai suoi connazionali. Nulla irritava di più dell'idea, avanzata anche da alcuni critici a lui favorevoli, che la sua musica cominciasse a essere influenzata da Wagner. Persino l'accenno di Filippo Filippí al fatto che un'aria della «Forza del destino» dovesse qualcosa a Schubert lo portò all'assurda affermazione che in casa sua non c'era neppure una nota della musica altrui. In mezzo alle influenze musicali che penetrarono in Italia negli anni Settanta e Ottanta, Verdi era consapevole di percorrere una via autonoma.
Gli anni che seguono la morte di un compositore segnano spesso una flessione della sua fortuna. Cosi accadde con Verdi. Per la «Giovane Scuola», che trovava realmente in Wagner una fonte di ispirazione («Papà di tutti i maestri presenti e futuri», come disse Mascagni), Verdi era una figura onorata ma remota. Per la «generazione dell'Ottanta», volta al recupero della tradizione strumentale italiana, Verdi era semplicemente irrilevante: fu oggetto di un attacco del giovane Alfredo Casella, che visse poi sufficientemente a lungo da ripudiarlo. Nel 1913, centenario della nascita di Verdi, Casa Ricordi pubblicò in partitura solo sette delle sue ventotto opere: «Rigoletto», «Il trovatore», «La traviata», «Un ballo in maschera», «Aida», «Otello» e «Falstaff», oltre al «Requiem». Persino «Ernani», che si era saldamente mantenuto in repertorio nel corso di tutto il XIX secolo, meritandosi una citazione in «Arms and the Man» di Bernard Shaw, fu escluso dalla serie.
La Verdi-Renaissance cominciò in Germania con la ripresa della «Forza del destino» a Dresda nel 1926, in una traduzione di Franz Werfel. I dieci anni seguenti videro un'esplosíone della letteratura verdiana, sia in Italia sia all'estero. La pubblicazione di lettere e documenti, iniziata con l'edizione di Gaetano Cesari e Alessandro Luzio dei «Copialettere di Giuseppe Verdi» insieme a una quantità di ulteriore corrispondenza (Milano, 1913), ebbe come rísultato la prima biografia autorevole, Verdi, di Carlo Gatti. Seguirono studi musicologici e opere a lungo neglette furono riesumate e apprezzate. Richard Strauss, che aveva salutato «Falstaff» come un capolavoro e inviato all'autore la partitura del suo «Guntram» in segno di omaggio, ebbe ora parole di lode per un «Macbeth» sentito a Firenze.
Questa nuova tendenza continuò dopo la seconda guerra mondiale, passando attraverso il cinquantesimo anniversario della morte del compositore nel 1951 e la fondazione, nel 1960, dell'Istituto Nazionale di Studi Verdiani sotto la presidenza di Ildebrando Pizzetti. Un altro elemento, piuttosto sorprendente, è il vivo interesse dei musicologi, che nell'ultimo quarto del XX secolo ha provocato una crescita esponenziale delle analisi e degli studi specialistici sulle opere verdiane, con convegni e seminari di studio in Europa e in America. Ha rappresentato una sorta di pietra miliare, in questo fenomeno, la monumentale edizione critica degli opera omnia, iniziata alla fine degli anni Settanta. Nata da un progetto internazionale, che ha coinvolto sia il principale editore originario di Verdi sia la maggior casa editrice universitaria statunitense, l'imponente iniziativa rappresenta una sorta di consacrazíone accademica di Verdi, collocato nella storia tra i più importanti compositori europei.
Altri biografi hanno completato l'immagine di un personaggio che non fu solo un genio della musica, ma anche uno straordinario benefattore. La leggenda del semplice contadino, privo di gusto letterario, la cui vena creatíva fu ostacolata da cattivi líbretti fin quando non venne salvata da Arrigo Boito, fu ben presto liquidata. Contemporaneamente, la ripresa di interesse nei confronti del cosiddetto «belcanto» offriva un contesto nel quale i primi successi di Verdi potessero essere pienamente apprezzati. Oggi la statura artistica di Verdi non è più messa in discussione, avendo ricevuto omaggi da compositori di natura così diversa come Stravinskij, Britten e Dallapiccola. Nell'ambito della sua ricca produzione le preferenze potranno inevitabilmente variare.
Ma su una cosa non si può che essere concordi: ogni nuovo ascolto di una delle sue opere ci offre qualcosa di nuovo da scoprire.