HOME

 

 

Laureto Rodoni

Quando l'amore è nero

A Zurigo un apprezzato allestimento dell'opera
di Montemezzi «L'Amore dei tre Re».

 

Italo Montemezzi (1875-1952) si formò nel clima dell'opera verista e ad esso rimase in sostanza sempre legato. Tuttavia si sforzò di ampliare i suoi orizzonti culturali attingendo anche, soprattutto per quanto concerne l'orchestrazione, all'esperienza wagneriana e, in misura minore, a quella di Debussy. Egli compose sette opere di cui una soltanto figura ancora in repertorio, soprattutto negli USA: «L'Amore dei tre Re», su un libretto che Sem Benelli trasse dalla sua omonima tragedia in versi (1910). La prima rappresentazione ebbe luogo nel 1913 alla Scala.
A tinte fosche la vicenda, ambientata da Benelli in un non ben precisato Medioevo: Fiora, che ama il principe Avito, è stata costretta per motivi politici a sposare Manfredo, figlio del re Archibaldo. Mentre Manfredo è in guerra, il vecchio re la sorprende con l'amante. Essendo cieco non sa chi sia: poiché ella si rifiuta di rivelarne il nome la uccide. Mette poi del veleno sulle sue labbra nella speranza che lo spasimante venga a visitare il suo cadavere e si congedi da lei con un bacio fatale. L'espediente si rivela efficace: Avito, infatti, muore dopo averla baciata. Manfredo rendendosi conto di non poter vivere senza la moglie, si uccide baciando a sua volta il cadavere. L'opera si conclude sulle parole disperate di Archibaldo.
Archibaldo (Samuel Ramey) ha appena ucciso Fiora (Paoletta Marrocu)
Tutto sommato quest'opera può essere considerata un tentativo di sintesi abbastanza riuscito tra l'esperienza operistica tedesca e quella italiana. Certo non siamo di fronte a un capolavoro, ma se sul palcoscenico ci sono interpreti in grado di valorizzare l'efficace scrittura vocale di Montemezzi, essa può ancora suscitare il convinto apprezzamento e addirittura l'entusiasmo di un pubblico esigente come quello delle premières zurighesi. E in effetti il successo di questo nuovo allestimento è stato sorprendentemente grande sia per gli interpreti, sia per il team di regia, senza la benché minima contestazione.
I più grandi cantanti si sono cimentati nei quattro ruoli principali: per esempio Placido Domingo ha in repertorio il ruolo di Avito; la parte di Archibaldo ha attratto bassi del calibro di Ezio Pinza, Cesare Siepi e Samuel Ramey.E proprio quest'ultimo è stato l'eroe della prima zurighese, andata in scena domenica 5 novembre. Le ovazioni destinate al grande basso americano erano ben meritate: imponente la sua presenza vocale e scenica che esalta la ieraticità malefica e nevrotica del personaggio; esemplare il fraseggio impreziosito dal timbro stupendamente cupo della sua voce. Gli altri tre protagonisti, pur non raggiungendo i vertici interpretativi di Ramey, hanno offerto un'interpretazione vocalmente ineccepibile e drammaturgicamente pertinente.
Il maestro Marcello Viotti, profondo conoscitore ed estimatore della musica di Montemezzi, ha saputo evidenziare le preziosità armoniche e coloristiche presenti nella densa scrittura orchestrale, assecondato da un Orchester der Oper Zürich in forma smagliante.
Il regista David Pountney ha attualizzato la vicenda trasportandola all'inizio del Nocecento, in epoca fascista. Archibaldo è quindi un bieco e vendicativo gerarca in camicia nera. Quanto alle scene, esse si ispirano al Vittoriale dannunziano: colori cupi con contrasti cromatici vivi nei momenti cruciali dell'opera.