Laureto Rodoni

«Orfeo ed Euridice» secondo Liliana Cavani

L'insigne cineasta torna alla regia d'opera
mettendo in scena a Zurigo il capolavoro di Gluck

[Giornale del Popolo, 10 marzo 2000]

Il 18 marzo andrà in scena all'Opernhaus di Zurigo l'opera di Christoph Willibald Gluck «Orphée et Eurydice» in un allestimento di altissimo livello artistico: la direzione musicale è infatti affidata a uno dei più autorevoli specialisti del Settecento musicale, il maestro americano William Christie, fondatore del celeberrimo complesso barocco Les Arts Florissants; Liliana Cavani con i suoi abituali collaboratori Dante Ferretti (scenografo) e Gabriella Pescucci (costumista) ne cura la regia; Deon van der Walt (Orfeo), Luba Organosova (Euridice) e Elisabeth Magnuson (Amore) formano l'eccellente cast.
«Orfeo ed Euridice» fu rappresentata in italiano nel 1762 a Vienna ed è considerata una pietra miliare nella storia del teatro in musica: con essa ebbe infatti inizio la cosiddetta «riforma gluckiana» tendente a riconferire all'opera una dimensione drammatica che aveva perso a causa delle pretese dei cantanti, interessati soltanto a dimostrare la loro bravura virtuosistica. Per la prima volta l'opera seria del Settecento mostrava - come scrisse Massimo Mila - «un'intima partecipazione del musicista ai sentimenti espressi nel dramma» e «un senso sobrio e solenne di grecità nell'interpretazione dei miti antichi». Il ruolo di Orfeo fu interpretato Gaetano Guadagni, un castrato dalla superba voce di contralto che seppe conferire finezza, dignità, sobrietà ma soprattutto espressività al canto e alla presenza scenica.
Nel 1774 Gluck rimaneggiò l'opera affidando il rôle en titre ad un tenore. Questa è la versione (rappresentata per la prima volta a Parigi in traduzione francese) che William Christie ha scelto per il suo attesissimo debutto zurighese.
Figura leggendaria della mitologia greca, Orfeo era poeta e cantore di tale bravura che riusciva ad incantare con la sua musica gli uomini, le piante, gli animali più feroci e persino i fiumi che sostavano le loro acque per ascoltarlo. Quando la sua sposa Euridice morì prematuramente, egli discese negli Inferi e con la sua arte sublime riuscì a commuovere le spietate divinità dell'Oltretomba ottenendo che ritornasse sulla terra. Fu posta un'unica condizione: che non si voltasse indietro a guardarla finché non fossero ambedue ritornati a rivedere la luce del sole. Ma Orfeo non potè resistere al desiderio di contemplare la bellezza di Euridice: ella ridivenne così ombra e scomparve per sempre.
Tragica quindi, secondo la tradizione, la conclusione di questo mito. L'opera di Gluck, essendo stata composta per l'occasione festosa dell'onomastico dell'Imperatore Francesco I, presenta invece un finale lieto: ascoltando la sublime aria, "Che farò senza Euridice" (immortalata da Luchino Visconti ne "L'innocente"), gli dèi, commossi, gli restituiscono la sposa.