LA RIFORMA GLUCKIANA
In sintesi la riforma-rivoluzione teatro-musicale di Gluck, favorita dalla parallela efficienza poetica di Calzabigi, permessa dall'intelligente disponibilità degli ambienti culturali viennesi e parigini, si ripropone i seguenti obbiettivi.
Il soggetto dell'opera deve essere patetico, tragico, terribile, sublime, riferito a grandi eventi, a forti passioni a personaggi straordinari, secondo la maniera greca, nei limiti della semplicità, della verosimiglianza e della naturalezza applicabili ovviamente a una forma d'arte; poi unitario, ruotante attorno a un'azione sola, e coerente, non disturbato da interruzioni o divagazioni.
Il libretto non è richiesto di perfezione letteraria o versificatoria, bensì, oltre che di una generica musicalità, di una teatralità spoglia efficace e varia nelle situazioni, e di una idealità, di una moralità esatta e lineare, immune da rilassamenti descrittivi o moraleggianti (quanto alla lingua, italiana o francese, è necessario il rispetto della prosodia).
Delicato il rapporto fra la poesia e la musica, che un legame di necessità impedisce di sciogliere attribuendo musiche diverse a una stessa poesia e poesie diverse a una stessa musica: la seconda è al servizio della prima (da intendersi però nel senso piú lato di espressione drammatica), ma l'essenzialità della poesia non contende l'essenzialità della musica, che risulta come una declamazione perfezionata della poesia (quindi merita l'appellativo di «musica di declamazione»), al modo del colore che si sovrappone al disegno; per di piú il rapporto esige dimestichezza e assiduità fra i due artisti interessati.
La musica è incaricata della resa sonora di questi elementi letterario-teatrali e, pur nell'espressività specifica dei vari affetti e dei vari personaggi, deve tendere al sovranazionale, sommando gli addendi francesi e italiani; in particolare la sinfonia d'apertura deve preludere al tono dell'opera, gli strumenti vanno scelti seconcio la situazione drammatica, il canto deve astrarsi dalle esigenze puramente edonistiche dei cantori e concentrarsi sull'espressione, il coro deve acquistare funzionalità e la danza altrettanto. L'esecuzione, controllata e guidata dal compositore, s'aspetta luogo conveniente, interpreti appositi e adeguati, fedeltà al testo (quindi parsimonia di abbellimenti nessun cambiamento, nessuna aggiunta), pubblico selezionato, preparato e illuminato.
Quanto alla sua collocazione culturale, questa «riforma nasce da un atteggiamento prettamente intellettualistico e si pone [...] come esito ultimo del pensiero di un'élite la quale durante mezzo secolo aveva deprecato i mali delI'opera seria [...]. In essa si ritrovano i temi fondamentali dell'estetica classicistica con la tradizionale subordinazione di musica a poesia, secondo una concezione che [...] apparteneva già al razionalismo arcadico. Ma non si tratta solo di verificare l'appartenenza di Gluck ad una determinata estetica: il problema investe la natura stessa dell'artista [...]. Subordinazione di musica a poesia, infatti, per il Settecento vuol dire subordinazione del sentimento alla ragione; ossia una concezione che dia la preminenza assoluta al pensiero sulla fantasia, al simbolo sul fenomeno, con l'esclusione di tutti quegli elementi che per loro natura sfuggono al controllo della ragione e s'iscrivono nella sfera dell'individuale. insomma, nelle op~ere di Gluck si assiste quasi sempre ad un'avventura intellettuale prima che musicale» [Gallarati].
Alla fin fine, la rivoluzionaria riforma di Gluck non è poi altro che la nobilitazione estrema del melodramma e della tragédie lyrique, nascente da una polemica che s'appunta non sull'opera in musica ma sui suoi vizi mortificanti e negatori. Idealmente il restauro fiduciosissimo di Gluck è lo stesso di Monteverdi, di Lulli, di Scarlatti, di Rameau, di Metastasio, di Traetta, di Mozart, di Bellini, di Verdi, di Wagner. Storicamente, invece, il teatro riformato di Gluck non è espressione né di Neoclassicismo - venato sempre di sentori nostalgici - né di Sturm und Drang - gravato dalla sfrenatezza dell'irrazionale - né cli Romanticismo - intriso di emozione e volto alla necessità del pessimismo - ante litteram ma di un Classicismo autentico e integrale, alimentato, nella sua complessa accezione di memoria dell'antico, imitazione della natura, imitazione dei modelli, preminenza dell'immaginazione sul sentimento, positività di messaggio ed equilibrio artistico, dai «lumi» del Razionalismo medio-settecentesco.
A un'ultima nota di rilievo autorizza poi la volontà gluckiana di precisarsi in una dichiarazione d'assieme così logica e responsabile: nella storia del teatro d'opera la prassi del manifesto poetico è molto rara, e anche i musicisti piú consapevoli preferiscono applicare direttamente i loro inconfessati ideali estetici, conservatori o anche riformistici. Dopo Caccini e Monteverdi, infatti, bisogna aspettar Wagner per registrare le verifiche del fenomeno, poiché Scarlatti, Pergolesi, Paisiello, Mozart (che capovolse il precetto gluckiano: «Io non so ma in un'opera la poesia dev'essere assolutamente figlia devota della musica», nel 1781), Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi non espressero i loro convincimenti - pure spesso precisi e coerenti - che in modo casuale, in occasioni fortuite come Lettere o addirittura conversazioni. Un'altra prova, non c'è dubbio, della sistematica, chiarificatrice, illuministica intelligenza di Gluck.
Piero Mioli, «Invito all'ascolto di Gluck», Mursia, Milano, 1987, pp. 110-112.