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«TOSCA» VISTA DA UN REGISTA TEATRALE

PIERO FAGGIONI

 

Il celebre «Vissi d'arte e d'amore» di Tosca potrebbe per Cavaradossi trasformarsi in un «d'arte e d'onore». È un gioco di parole che sembra sintetizzare le diverse posizioni di questi due personaggi di successo popolare - una cantante e un pittore - di fronte agli avvenimenti politici dell'anno 1800, sullo sfondo della Campagna napoleonica in un'Italia che, a pochi anni dalla Rivoluzione Francese, ha già sperimentato i primi movimenti di indipendenza repubblicana.
Sebbene il libretto di Illica e Giacosa sacrifichi gran parte del sostrato politico del dramma originale di Sardou, non c'è dubbio che le linee fondamentali dell'azione siano determinate dalle diverse reazioni morali dei due protagonisti di fronte agli avvenimenti politici che irrompono nella loro vita di artisti apparentemente 'disimpegnati'. In realtà, la sola ed essere veramente 'disimpegnata' è Tosca - quasi una 'Callas' dell'epoca, diva d'estrazione popolare, ma divenuta l'idolo del bel mondo aristocratico-papalino - capace nella sua femminilità di contemperare i suoi principi religiosi con un amore non certo ortodosso per Mario, vivendo «d'arte e d'amore», in perfetta serenità con se stessa, con un amante giacobino, con la Madonna e col governo borbonico.
Per contro, dietro l'apparente superficialità di Cavaradossi - un giovane aristocratico d'antica famiglia romana per parte di padre, ma francese per sangue materno e in spirito, essendo cresciuto a Parigi durante il periodo rivoluzionario ed avendo frequentato come allievo la scuola di David - si cela il temperamento di un liberale voltairiano, di un giacobino, di un "patriota" se si vuole, precorritore di certe figure dell'ormai prossimo Risorgimento italiano. Anche Mario sembra vivere solo «d'arte e d'amore», accettando - lui giacobino - di dipingere quadri sacri in una chiesa pur di restare a Roma a coltivare il suo amore per Tosca. Non appena l'occasione lo richiede, egli è però capace di sacrificare l'uno e l'altra - e insieme la propria vita - in nome di ideali più elevati: la libertà, l'indipendenza, l'odio per la tirannide.
Quando l'occasione si presenta nelle vesti di Angelotti, Console della Repubblica Romana appena fuggito da Castel Sant'Angelo, Mario sa immediatamente che il suo dovere è di nasconderlo e proteggerlo dal Barone Scarpia, il rappresentante del potere assoluto di Re Ferdinando IV e Maria Carolina di Napoli, che nel momento di interregno tra la morte di Pio VI e l'elezione di Pio VII si esercita anche su Roma. Mario è perfettamente conscio del fatto che, proteggendo Angelotti, mette la propria vita in pericolo: «la vita mi costasse, vi salverò», - ma non è questo a fermarlo. L'onore politico è più importante dell'amore, per Mario. Ne è prova l'eroismo con cui egli sopporta la tortura, e la sua reazione verso Tosca quando s'accorge che la donna, per salvarlo, ha invece parlato.
Al contrario, per Tosca è l'amore il sentimento dominante. Ma l'amore - e l'arte - in tempi di stravolgimento politico, non pagano. È il suo eccesso d'amore, la sua gelosia, che pone involontariamente Scarpia sulle tracce dei fuggiaschi; è l'eccesso di amore, il suo istinto di protezione nei confronti di Cavaradossi, che le farà tradire le ragioni politiche di lui pur di salvarlo; è l'integrità del suo amore per Mario, infine che le darà la forza sufficiente per uccidere Scarpia piuttosto che cedere all'umiliazione di un rapporto con lui...
Si potrebbe dire che Cavaradossi, insultando Tosca per il suo tradimento e immediatamente dopo siglando la propria condanna a morte con la sua incontrollata reazione alla notizia della vittoria di Napoleone a Marengo, trasmetta all'amata quel senso dell'onore civile e politico a lei del tutto ignoto. Ma la forza morale necessaria a compiere un atto degno della Giuditta biblica o di Charlotte Corday - l'uccisione del tiranno - le viene certamente dal conflitto in cui Scarpia l'ha posta: la scelta tra la vita di Mario e il suo onore di donna, due cose per Tosca inseparabili. L'unica alternativa che le rimane è il delitto. Costrettavi, lo compie senza pentimenti.
Che poi Tosca paghi quel delitto con la propria morte è un inevitabile omaggio alle leggi della catarsi teatrale piuttosto che il centro di interesse drammatico per l'autore che continua a trasmettere al pubblico di oggi - lui artista "disimpegnato" del 900 - la sua appassionata e amara difesa di due artisti dell'800 capaci di trarre solo dalle proprie convinzioni morali l'energia di battersi per un ideale fino al sacrificio della propria vita.
Il dibattersi vano contro un potere che esercita tutti i propri mezzi, anche a fine privato, pur di prevaricare sulla volontà dei singoli avrebbe assai minor peso scenico se l'azione si svolgesse su uno sfondo sociale e politico di meno immediato riferimento per il pubblico Di qui, la necessità di sottolineare, nei limiti del possibile, il particolare momento storico, in una Roma colta nel giorno della battaglia di Marengo, il cui reale svolgimento storico (una prima parziale vittoria degli austriaci e quindi la loro definitiva sconfitta ad opera di Napoleone) viene rispettato nell'opera con i due contrapposti messaggi recati dal Sagrestano nel primo atto (da cui il Te Deum di ringraziamento) e da Spoletta nel secondo (da cui il lacerante grido «Vittoria, vittoria» di Cavaradossi). Ecco perciò la opportunità di far partecipare al Te Deum del primo atto la Regina Maria Carolina e i plenipotenziari della coalizione antinapoleonica presenti a Roma. [...]
La presenza della Regina fra clero romano, borboni, coalizione antinapoleonica e il prefetto di polizia Barone Scarpia, dovrebbe rendere abbastanza significativamente l'idea della roccaforte 'ancien régime' contro cui urtano in modo diverso, ma con lo stesso fatale risultato, i destini dei due protagonisti.
Piero FAGGIONI, «Tosca e Mario. due destini nella storia», dal Programma di Sala della Scala di Milano dedicato a «Tosca», stagione lirica 1979-1980, pp. 100-101.
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