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E LA FAVOLA DIVENTA APOLOGO

 

 

M. Labroca

«Il Flauto magico» di W.A. Mozart

Firenze, 1939, pp. 35-40

 

Meravigliosa favola; e tale è, in sostanza, il «Flauto Magico». Quella che nel libretto era sbozzatura grossolana dei più elementari caratteri e dei più elementari moti dell'anima, diventa nell'opera in musica la preziosa definizione di sentimenti e di atti che sono alla radice di ogni uomo: e la favola diventa apologo. In essa tutti ci troviamo, felici di assistere al facile trionfo del bene sul male, della luce della verità sull'oscurantismo, al raggiungimento della felicità. Se nelle «Nozze di Figaro» il chiudersi della vicenda ha un amaro sapore, se nel «Don Giovanni» la tragica scomparsa del protagonista malvagio lascia i personaggi in un'ombra nella quale invano cercheranno gioia, se in «Così fan tutte» il chiarirsi della burla svela la infedeltà di Fiordiligi e Dorabella, qui nel «Flauto Magico» la conclusione è davvero nella felicità. Favola anche per questo, ché solo la fantasia può darci quello che la realtà materiale ci nega.
La scomparsa della Regina della Notte, di Monostato, delle tre damigelle, non lascia rimpianti perché il male tutti lo sappiamo che nelle favole cede cavallerescamente il posto al bene, e che qualora Cappuccetto rosso finisse nelle fauci del lupo e Biancaneve nelle grinfie della strega noi di favola non potremmo più parlare ma di tragiche vicende umane. E poi, il male delle favole è un male bonario. [...]
[Le tre damigelle], personaggio uno e trino è fra le trovate più geniali dell'opera; trovata drammatica e trovata musicale per la facoltà che è nelle damigelle di farsi indipendenti (come nel primo terzetto) e di dar luogo a le più felici soluzioni timbriche ed armoniche allorché i loro caratteri si fondono nella unicità del personaggio. Care damigelle che la vista di Tamino fa di un subito sospirare d'amore, che sanno punire Papageno per le bugie che esso racconta, che forniscono le armi sonore della difesa e profetizzano il magico arrivo dei genietti che guideranno Tamino e Papageno contro il nemico. Dolci e care damigelle che d'un tratto, nel secondo quintetto, scoprite le inutilità dei vostri sforzi per ricondurre Tamino nel vostro regno e partite vergognose e dolenti, e che infine tentate appiccare il fuoco al tempio della verità, ma è già chiaro che il vostro tentativo non riuscirà perché vi mancano le armi della inesorabile cattiveria.
Anche Monostato che per vendicarsi della ripulsa di Pamina si rifugia sotto le ali di Astrifiammante fa pensare più ad una scimmietta maligna che non ad un uomo malvagio: Mozart non vuole che egli tale appaia ed a lui non dà mai gravità di accenti; scherza anzi con lui fino a farcelo apparire comico nel suo zelo interessato per Sarastro, nella sua interessata avversione a Tamino, nel suo amore per Pamina. È un povero semplicione, la cui astuzia elementare non può creare brecce drammatiche e determinare situazioni nuove, ed egli riceverà frustate e ripulse fino a scomparire nel gorgo aperto dalla Regina e dalle damigelle.
Di fronte al polo negativo di Astrifiammante sta il luminoso sole della verità, Sarastro. Se Mozart non sembra prendere molto sul serio l'opposizione al progresso ed alla luce, da Sarastro simbolizzati, molta importanza egli attribuisce al gran sacerdote, e dinanzi all'altare della verità egli si inginocchia con devota ammirazione. Sarastro è davvero la incarnazione del bene: le sue parole scendono affettuosamente paterne nel cuore degli ascoltatori ed ammoniscono con dolcezza a seguire la via della giustizia e della bontà: i Sacerdoti secondano cotesto senso con il lungo respiro di una musica che ha lo spirito e la forma di un solenne corale. Pagine tra le più alte di tutta l'opera mozartiana coteste che definiscono l'animo di Sarastro. [...]
Altro personaggio uno e trino è quello costituito dai tre genietti, felicissima immissione delle voci bianche infantili nel vasto piano vocale delle voci adulte: i genietti guidano alla giusta meta, consigliano al momento opportuno, sanno sviare il pugnale suicida dalle mani di Pamina, sono sempre pronti ad indicare quale sia la via che porta alla felicità. Il canto angelico dei genietti è proprio quello che ci vuole per una favola, ed essi alla favola apportano una nuova nota di magia. Le voci che scendono dall'alto hanno il potere magico di determinare le azioni, di aprire i nuovi orizzonti nell'animo dei personaggi, di saldare il cerchio preziosissimo della felicità.
Tamino e Pamina sono i tipici principe e principessa del 'c'era una volta', Tamino è il cavaliere dell'ideale: preso d'amore per Pamina egli parte risoluto per liberarla: ma la luce che promana dal tempio lo conquista ed egli avrà Pamina solo dopo aver superato le tremende prove che lo faranno degno seguace della verità. Personaggio elementare, la sua vita drammatica non presenta complicazioni psicologiche. L'animo è aperto e pronto a ricevere il bene: nessuno dei lenti processi di maturazione che sono conseguenza dell'intervento della ragione, ma colpi di fulmini che non hanno precedenti: gli basta guardare il ritratto di Pamina per innamorarsene e per precipitarsi a salvarla anche se il tentativo gli potrà riuscire fatale, gli basta ascoltare le parole del sacerdote di Sarastro per diventare di colpo un seguace della religione della verità anche se cotesta fede potrà costargli la vita. È risoluto in tutto, Tamino, nell'amare, nell'agire, nell'osare: è il principe azzurro che tutti sentiamo fin dal principio predestinato alla fortuna: e su di lui vediamo aleggiare un angelo custode, ma di quelli buoni, che aiuterà il suo ardimento e premierà la sua fede.
Pamina è la sua degna compagna: figlia della Regina della Notte, strappata alla madre per essere sottratta al dominio della superstizione, anch'essa acquista a pronti contanti i sentimenti e le passioni: ama di colpo Tamino e di colpo si fa convincere dalle parole di Sarastro: ma le prove che deve sostenere per raggiungere il suo amore impegnato nelle severe prove, aprono in lei luminose parentesi di umanità; ecco l'angoscia nella grande aria, la disperazione nel quartetto con i tre genietti, allorché tenta uccidersi, ecco la cosciente rassegnazione nel terzetto con Sarastro e Tamino, ecco infine la risoluta volontà di seguire Tamino nelle gravissime prove. E tutto questo senza tener conto del contrasto che si agita in lei tra l'amore per la madre e l'amore per la verità. Pamina è, per coteste ragioni, pur nel la sua assenza fiabesca, il più umano fra gli interpreti dell'opera.
[Papageno è il personaggio] che con la sua semplicità umana dà la misura della irrealtà fiabesca degli altri personaggi. Papageno è il buffo della compagnia, ma è buffo in quanto è stolido, semplice, primitivo, materialista, in un ambiente che ha per pareti la magìa e per soffitto il cielo: là dove tutti si agitano per grossi problemoni, quali la conservazione o la conquista di domini spirituali, Papageno è l'unico che si preoccupa di mangiare e di bere, l'unico che si permette di avere paura, l'unico che dice le bugie, l'unico che cerca di tornare al beato punto di partenza della perfetta quiete. Fra le arie piene di significati e le profonde enunciazioni dei sacerdoti, Papageno lancia le sue canzonette popolaresche, introduce il suo spirito musicale, che potremmo dire realistico, nei concertati spiritualissimi con le damigelle e con gli altri fantastici personaggi del dramma. Idea fissa di Papageno è la ricerca della compagna, della Papagena: e quando finalmente questa gli appare l'esplosione di gioia è proiettata nel futuro della figliolanza; personaggio umano anche per questo, là dove non sappiamo immaginare la prole che potrà nascere dalle ufficialissime nozze di Tamino con Pamina nel tempio del sole.
Papagena giunge sulla scena proprio quando si stanno per spegnere i lumi: entra per poco, ma la sua breve apparizione ha il potere di dare nuova luce a tutto lo spettacolo. Con Papagena entra la giovinezza, e grazie a lei Papageno ringiovanisce anch'esso: dal timido e balbuziato saluto breve è il passo verso l'abbraccio: e dall'abbraccio, come abbiamo detto, si affaccia la visione dei Papagenini che seguiranno per la gioia dell'umanità.
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