Il
Requiem di Mozart è un tema spinoso, irto com’è di punti interrogativi e
di interpretazioni controverse. Fissare un’opera d’arte in un’immagine precisa
costituisce quasi sempre un azzardo, che gli stessi autori cercano spesso
di evitare, tornando sul testo per aggiustare qualche gamba zoppa del tavolo,
come diceva Verdi. Quando si tratta addirittura di dar voce a un capolavoro
incompiuto, qual è il Requiem appunto, i dubbi e gli interrogativi si moltiplicano
all’infinito. Incompiuto, sì, ma fino a che punto non sappiamo. Il Requiem
era stato commissionato a Mozart da un nobile di provincia appassionato di
musica, Franz von Walsegg zu Stuppach. Nel luglio 1791 un incaricato del
conte aveva sollecitato il lavoro, ancora da portare a termine. Mozart però
non doveva cercare di conoscere l’identità del committente, per il motivo
che questi aveva la debolezza di far passare per proprie le musiche che amava
dirigere con la sua orchestra. Forse accadde proprio questo il 14 dicembre
1793, quando Walsegg eseguì per la prima volta il Requiem in pubblico, nella
Chiesa di Neustadt a Vienna, in occasione dell’anniversario della morte della
moglie. L’ipotesi però solleva parecchi dubbi. È difficile credere che un
artista come Mozart, ben consapevole del proprio valore e della propria posizione,
abbia potuto cedere i diritti d’autore, per così dire, di un’opera tanto
importante e tanto impegnativa. E non è neppure immaginabile che un amateur
di provincia, per quanto abbagliato dalla vanità, fosse realmente convinto
di far credere sua una musica di quel livello. Il progetto era rimasto indietro
per l’accavallarsi di impegni importanti come La clemenza di Tito e Il flauto
magico. Mozart non fece in tempo a finire la musica del Requiem. Il 5 dicembre
morì, lasciando un fascicolo manoscritto in particella (le linee vocali e
qualche sintetica indicazione musicale) e forse altri appunti sconosciuti.
La vedova, Constanze, fece in modo che il lavoro fosse ritenuto compiuto,
in modo che il committente versasse l’onorario pattuito. In realtà Constanze
mise al lavoro sul materiale rimasto gli allievi più fedeli dell’entourage
di Mozart: Joseph Eybler, Franz Freistädler e soprattutto Franz Xaver Süßmayr.
Qual è il peso del loro lavoro, di preciso non sappiamo. Di sicuro il Requiem
costituisce un’opera di bottega, per così dire, frutto di un artigianato
collettivo caratteristico di un’epoca intera. L’epoca romantica immediatamente
successiva, forgiando l’idea del genio, impedì di venire realmente a capo
della controversa questione delle attribuzioni, offuscando la verità per
creare la leggenda. Quel che importa, però, non è la mano che ha scritto
la singola nota, ma la strategia poetica del Requiem. Di Mozart è l’idea
della morte come “sorella e amica dell’uomo”, del ciclo eterno della rinascita,
del mistero (e non della punizione) che ci attende oltre la soglia della
vita. Questo è il Requiem che parla ancora a noi, nel nostro tempo. In ciò
consiste pienamente il suo essere un’opera di Mozart.
Così
faccio ascoltare la vita di Maria
di Daniele Bertotto
Vom
Tode Mariae è tratto dal ciclo di poesie Das Marien Leben che Rainer Maria
Rilke compone, in parte, agli inizi del Novecento. Il testo, rimasto incompiuto,
viene ripreso e portato a termine nell’inverno 1911-12 durante il soggiorno
italiano del poeta a Duino. Inizialmente concepito come opera “a programma”,
rappresenta un progetto di lavoro in comune con l’incisore Heinrich Vogeler
sulla vita di Maria. Dal punto di vista formale il lavoro presenta una serie
di episodi costruiti su elementi semplici, descrivendo un percorso che predilige
la variazione melodica e l’intervallare di alcune cellule presenti sin dall’inizio
del brano. Vom Tode Mariae è suddiviso in sezioni, quasi un’iconografia sonora,
in cui coro e solista si alternano nella descrizione di una religiosità singolare
e tormentata. Il clima teso e irrequieto che pervade le prime cinque sezioni
lascia il posto a un ultimo episodio in cui l’intreccio polifonico della
scrittura e l’ampio slancio lirico degli archi conduce a una dimensione onirica,
terminando su un’ultima pulsione affidata al tremolo delle viole. L’opera
è stata commissionata dalla Corale di Sommariva Bosco per celebrare la trentennale
attività dell’Associazione.
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