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Massimo Mila

RITRATTO DI MOZART

 

La conoscenza sempre più approfondita che la moderna musicologia ha procurato dei musicisti minori del Settecento consente di controllare in tutta la loro estensione le straordinarie facoltà assimilatrici del genio di Mozart. Egli è forse il più strano caso di originalità artistica costruita sopra l'assorbimento incessante delle maniere musicali circostanti e dell'insegnamento di grandi e piccoli compositori. Fin dalla più tenera infanzia, i numerosi viaggi nelle capitali europee, dove il padre lo esibiva in concerti da fanciullo prodigio, lo posero in contatto con le più varie correnti della musica settecentesca: correnti, del resto, abbastanza unificate, quasi dialetti d'una sola lingua cosmopolita, secondo le tendenze dell'epoca.
Mozart a sei anni
All'influenza italiana, degli operisti e, in un secondo tempo, anche di compositori strumentali, come Corelli, Tartini, Giardini, Sammartini e Boccherini, egli fu naturalmente esposto anche prima dei suoi tre viaggi in Italia (I769-73). La musica italiana era di casa ovunque, come la più internazionale istituzione culturale del tempo. A Londra, a otto anni d'età, Mozart si conquistò l'amicizia e l'ammirazione di Johann Christian Bach, figlio del grande Johann Sebastian, vissuto lungamente a Milano e praticante nelle sue sinfonie uno stile strumentale nettamente italiano. A Parigi aveva avuto particolar peso sulla formazione del gusto di Mozart il compositore slesiano Johann Schobert, autore di vena quasi preromantica, singolarmente patetica e affettuosa. Nella città natale e a Vienna era un gusto musicale più dotto e sostenuto quello che s'imponeva al fanciullo, specialmente attraverso l'esempio dei due Haydn, Franz Joseph a Vienna, e il fratello Johann Michael a Salisburgo.
Mozart durante un viaggio in Italia (circa 17 anni)
Precoce autore di sonate e sinfonie, Mozart compose le prime opere (La finta semplice; Bastiano e Bastiana) a Vienna nel 1768; indi in Italia tentò la vera e propria carriera del musicista teatrale col Mitridate e il Lucio Silla (Milano, 1770 e 1772). Rientrato poi a Salisburgo (I773) e rimastovi, salvo un breve soggiorno a Vienna, per quattro anni, subì l'influsso dello stile galante di cui tutta l'Europa musicale fu invasa in quel torno di tempo e che sintetizzava nelle sue grazie, nell'abbondanza dell'ornamentazione, nella brevità degli sviluppi, i caratteri esteriori più convenzionali che si sogliono attribuire al Settecento. Abbandonato il serio impegno delle Sinfonie, la produzione di Mozart in quel periodo vide fiorire in gran numero Divertimenti e Serenate, cioè composizioni per piccoli complessi strumentali, spesso con prevalenza di strumenti a fiato, comprendenti numerosi pezzi brevi, senza troppo stretto legame, vivaci e vari di idee, da eseguirsi spesso all'aperto, per intrattenimento, durante feste o banchetti.
L'anno 1776 segnò per Mozart l'incipiente sazietà del genere. Un improvviso dirizzone per la musica sacra (tre Messe in do maggiore nello spazio d'un anno) indicò una specie di resipiscenza. L'ambiente provinciale di Salisburgo opprimeva l'artista, ambizioso di affermarsi su più vasta scena. Un nuovo viaggio a Parigi (I777-78) fu un tentativo di acquistarsi l'indipendenza personale assicurandosi una posizione. Lo scopo pratico del viaggio non fu raggiunto; ma, dopo il raccoglimento salisburghese, il viaggio fu nuovamente fecondo di esperienze stilistiche. A Mannheim, dove Mozart si trattenne a lungo, prosperava ancora la famosa orchestra che Jan Stamitz aveva portato ad un'abilità eccezionale: ed è in seguito a queste conoscenze che la scrittura orchestrale di Mozart acquista la sua maturità definitiva.
A Parigi, dove infuriava la lotta tra gluckisti e piccinnisti, nessuno prestò attenzione all'artista che quattordici anni prima aveva fatto furore come fanciullo prodigio. La madre, che l'aveva accompagnato, morí nella città straniera e indifferente. La pena d'un amore contrariato e, in sostanza, non corrisposto per la cantatrice Aloysia Weber, conosciuta a Mannheim, si aggiunse a questi eventi: l'animo del musicista, rimasto fino allora in una disposizione di perpetua felicità infantile, cominciò ad essere temprato e maturato dal dolore. Senza voler stabilire una vera relazione tra arte e vita, è un fatto che intorno a questo periodo alcune composizioni di Mozart (ad esempio la Sonata per pianoforte in la minore, quella per violino in mi minore e vari tempi lenti di altre opere) cominciarono a mostrare un approfondimento espressivo che va oltre la tenera grazia e la leggerezza danzante delle prime composizioni.
Ritornato a Salisburgo egli diede prova di questa maturazione virile in alcune ampie sinfonie (tra cui quella in do maggiore, K. 338, è la più notevole) e nell'Idomeneo (Monaco 1781), che resta il suo più importante tentativo nel genere tradizionale dell'opera seria, non senza tracce di influenza gluckiana.
Sempre più intollerabile si faceva la servitú all'arcivescovo salisburghese, dal quale Mozart si svincolò definitivamente nell'estate del 1781, andando a stabilirsi a Vienna. Si sposò l'anno dopo, nonostante l'opposizione paterna, con Costanza Weber, sorella di Aloysia. Sulle prime la fortuna sembrò arridergli: incaricato dall'imperatore della composizione di un'opera, egli poté finalmente realizzare il suo patriottico sogno di cooperazione alla nascita d'un teatro lirico nazionale.
Constanze Weber
Musicò infatti un testo in lingua tedesca, nella forma popolare del Singspiel, spettacolo comico, nel quale alle parti cantate s'intercala la recitazione. Fu il Ratto dal serraglio (1782), soggetto francamente farsesco, la cui comicità veniva incontro all'inclinazione puerile dell'animo di Mozart ed in cui egli seppe inserire, del resto, quella vena di elegiaca malinconia che sempre più alto parlava nel suo cuore. L'opera si configura per Mozart prima di tutto come un gioco dominato dalla musica in qualità di assoluta signora, cui la parola si sottomette come devota ancella. Qualunque passione, per quanto forte, deve evitare di trascendere in un volgare realismo, per non violare le leggi supreme di bellezza da cui la musica è sempre retta, anche nel teatro.
Per alcuni anni Mozart godette a Vienna di una grande popolarità come esecutore di pianoforte, e produsse cosí una serie di mirabili Concerti, tra i quali spiccano quello in re minore (K. 466) e quello in do minore (K. 491). Anche alla musica da camera egli fece dono di alcuni capolavori, come i sei Quartetti dedicati a Haydn, dallo stile straordinariamente nutrito di classica dottrina musicale, eppure intatti nella loro divina freschezza; il Quintetto con clarinetto in mi bemolle maggiore, dove si ammira una inesausta continuità nel discorso musicale, in quella inspiegabile fusione d'ingenua naturalezza e di estremamente raffinata civiltà, ch'è una delle caratteristiche mozartiane.
Ma il teatro, sua suprema aspirazione, non lo compensava con ugual riconoscimento, nonostante egli avesse or mai trovato la sua via maestra, liberandosi dalla convenzionalità dell'opera seria italiana e allontanandosi dall'inimitabile allegria napoletana dell'opera buffa. La serenità e la gioia restano pur sempre il fondamento del suo mondo teatrale: ma una segreta malinconia vi s'insinua in sempre più larga misura, un assillo sempre più imperioso d'alti pensieri di morte, e ne nasce quel divino riso tra le lacrime, quell'ambiguità di gaiezza smorzata in un sospiro, che è il contrassegno della melodia mozartiana.
L'incontro col librettista italiano Lorenzo Da Ponte (1749-1838 ) fu un felice incontro, anche se lo portò lontano dalla scena tedesca, ch'egli voleva nobilitare. Dalla fortunata commedia del Beaumarchais il Da Ponte trasse il libretto delle Nozze di Figaro (Vienna I786) che, sfrondato d'ogni intenzione di satira sociale, si ridusse a una languida e voluttuosa storia d'amore, in una cornice d'eleganza settecentesca, in un'aura indulgente di sensualità ora stanca ora birichina, che corrispondeva nel modo migliore al fondamentale clima spirituale di Mozart: un'ingenua, innocente inclinazione al piacere, che trova nel personaggio di Cherubino la sua deliziosa incarnazione. Potrebbe parere che il linguaggio musicale non si discosti molto dallo stile dell'opera italiana: ma l'intervento orchestrale assai più autorevole e nutrito, e soprattutto il grande numero di duetti, terzetti e concertati - anziché la solita sfilata d'arie con un duetto a metà e un concertato finale - spiegano tanto la maggior levatura musicale quanto la maggior efficacia drammatica.
Le difficoltà della vita a Vienna si facevano intanto sempre più gravi; intrighi e ostilità di rivali invidiosi tolsero a Mozart il favore del pubblico; malattie, debiti cominciarono ad accanirsi sulla misera famigliola. Il prezzo della conquistata libertà si rivelava sempre più caro. Sotto il pungolo di queste circostanze, la maturità dell'artista e dell'uomo si fa sempre più pronunciata: la morte del padre (1787) lo richiama ad austere meditazioni sull'aldilà. Parallelamente, la rivelazione della grandezza di Handel e Bach e lo studio accanito di questi classici irrobustiscono la sua ispirazione musicale.
Una poderosa ripresa sinfonica presta a questa evoluzione interiore il crisma dell'arte piú alta e perfetta. Alla Sinfonia detta di Praga, in re maggiore (K. 504), del I786, segue la trilogia delle tre ultime sinfonie, in mi bemolle maggiore (K. 543), in sol minore (K. 550) e in do maggiore (K. 551), del I788, che costituisce il testamento sinfonico di Mozart e, insieme, del Settecento. Chiara, serena e luminosa la prima, mentre la seconda, invece segna la massima punta di Mozart verso l'intensificazione della patetica drammaticità espressiva. Qui, come in altre opere di questo periodo, Mozart pare quasi presentire la disperata ed eroica energia beethoveniana nell'affrontare il dolore: è il caso del Quintetto in sol minore e della Sonata e di due Fantasie per pianoforte in do minore. Infine la Sinfonia in do maggiore, soprannominata Jupiter, corona in un edificio di maestosa ampiezza architettonica e di robusto contrappunto l'opera sinfonica del maestro, e par quasi avviare un superamento degli affanni e delle angosce umane in un cosmo di superiore, ordinata bellezza.
Il Don Giovanni (Praga 1787) fu l'opera teatrale che convogliò nella piú alta espressione artistica tutti questi fermenti di drammaticità. Nonostante il persistere d'uno sfondo di comicità, soprattutto nel personaggio di Leporello, e della candida, ingenua malizia sensuale, in Zerlina, elementi tragici, patetici e dolorosi soverchiano spesso l'azione. Nel protagonista la natura tipica del personaggio mozartiano, cioè l'inclinazione al piacere, si fa, d'ingenua, consapevole e quasi simbolo di se stessa. Non sfugge piú, cosí, alla posizione di veri e propri problemi morali. Tanto che la perversa ostinazione nel male, anche a dispetto dell'intervento di potenze sovrumane, come la vindice statua del Commendatore, finisce per prestare a Don Giovanni una sua fosca grandezza eroica, una sua ambigua superiorità alla legge della morale comune, che ha offerto esca ad infinite variazioni ed interpretazioni romantiche.
Gli ultimi anni della breve vita di Mozart trascorsero in mezzo alle piú orribili angosce per le strettezze materiali e le umiliazioni cui egli fu sottoposto. Ma l'arte sua si liberò con un superbo colpo d'ala d'ogni miseria umana, riscattando l'amarezza della grama vita terrena in una gratuita ebbrezza di purissima gioia dell'arte. In opere strumentali come la Piccola serenata notturna, il Quintetto in mi bemolle maggiore e il Concerto per clarinetto quella tendenza al puro gioco sonoro, che già stera accennata nelle superbe architetture della Jupiter-Symphonie, si accentua verso un'ariostesca evasione dal carcere terreno in un paradiso dell'arte.
Puro, ma amaro gioco sono le maliziose e sapienti simmetrie di «Cosí fan tutte» (1790), l'ultimo frutto della collaborazione con Da Ponte, quintessenza dell'opera buffa, con una vaghezza meravigliosa di lievi voci femminili e una certa acre malizia.
Dopo una macchinosa e retorica opera tradizionale, La clemenza di Tito (179I), frettolosamente messa insieme per l'incoronazione di Leopoldo II a Praga, la vita riservò a Mozart un'ultima gioia insperata: dare un'opera ancora alla scena tedesca. Ancora una volta egli poté attingere, come per il Ratto dal serraglio, alle linfe del piú semplice e schietto gusto popolare viennese in fatto di teatro. Il libretto del Flauto magico (Vienna 1791), preparatogli da quel singolare tipo di capocomico e direttore teatrale che fu Emanuel Schikaneder, benché tratto da una raccolta di fiabe letterariamente elaborate dal Wieland, si inseriva nel gusto del teatro meraviglioso, che, derivato dal barocco teatro di macchine coltivato a scopo edificante dai gesuiti nel Seicento, incantava ora, fatto di sacro profano il pubblico popolare che affollava i teatri dei sobborghi viennesi. Oltre all'elemento magico e meraviglioso si erano infiltrate nel libretto strane aspirazioni umanitarie e filantropiche improntate al vago filosofismo misticheggiante con cui si presentava la massoneria ai suoi primordi. Nella freschezza invidiabile della sua ingenuità, Mozart ebbe il potere di prendere sul serio tali simbologie a sfondo orientale, la cui vacua falsità sarebbe apparsa evidente a qualunque persona fornita di anche mediocre spirito critico.
Prendendole sul serio, ne fece una cosa seria; e quelle scene di misteriose iniziazioni, dove il filantropismo settecentesco già si ammantava di presagi oscuri dell'imminente romanticismo, egli vivificò con tutta la forza onde la sua anima candida, invano delusa ed offesa dalla vita, anelava schiettamente al bene, all'onestà, alla purezza. Cosicché la vicenda burattinesca di Tamino e Pamina, che si riuniscono nell'amore a dispetto delle nere forze del male (la Regina della Notte, e, in un piano più bestiale, Monostato) e con l'aiuto del gran sacerdote Sarastro, incarnazione della virtú, finisce per acquistare un suo valore simbolico, grazie alla fervida dedizione di Mozart all'ideale in essa adombrato. Dopo il cinismo un po' amaro di «Cosí fan tutte», «Il fauto magico» fu come l'impetuosa rivincita di tutta l'innata bontà che ornava l'anima sua: un estremo atto di fede, a dispetto d'ogni crudele smentita, nel bene, nella luce, nell'amore, nelle forze positive della vita. Uno sforzo eroico di riconquistare il candore infantile, l'integrità della propria anima, che le vicende dolorose avevano turbata.
Ed anche nell'ultima composizione, il «Requiem» lasciato incompiuto, e avvolto di tragiche leggende, è in sostanza una trasfigurata serenità, un sorriso benefico di pietosa consolazione il sentimento che signoreggia, assai più dei terrori dell'anima di fronte al Giudizio, che molti vi hanno voluto vedere. È quindi una parola di aureo equilibrio, di raffaellesca euritmia nella completezza armoniosa di tutte le facoltà umane, quella che Mozart lascia dietro di sé, anche se l'attenzione rivolta dalla moderna critica all'elemento doloroso e appassionato che solca largamente l'opera sua (soprattutto nel periodo intorno al «Don Giovanni») ha giustamente corretto l'antica immagine d'un Mozart esclusivamente apollineo, in certo modo al di fuori dell'umanità o, peggio, tutto frivole eleganze settecentesche.
Massimo Mila, Breve storia della musica, Torino, Einaudi, 1977, pp. 187-194.
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