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Bernhard Paumgartner

LA PERSONALITÀ DI MOZART

[«Mozart, Torino, Einaudi, 1994, pp. 16-29]

 

 

1. Natura del musicista

2. Natura di Mozart

3. Il tipo fisico di Mozart (Ritratti)

4. Corredo tecnico-musicale

5. La prodigiosa memoria musicale

6. Come componeva

7. La scrittura

8. Caratteristiche umane

9. Patriottismo

10. Infantilità

 

 

11. La malinconia

12. Giocondità di spirito

13. Le lettere

14. Cultura generale

15. Le sue donne

16. Il matrimonio

17. Il metro morale

18. Affiliazione alla massoneria

19. Idea della morte

20. Una sublime fede nell'eternità

21. La lettera al padre del 4 aprile 1787

 

 

 

C'è qualcosa di particolare nella natura del musicista. È certo, intanto, che il pittore o il poeta, traendo il loro materiale dai fenomeni del mondo esteriore, devono tenersi con questo in più stretto contatto che non il musicista; il quale attinge invece i propri germi associativi dagli elementi musicali della propria interiorità e li organizza secondo leggi dinamiche puramente musicali. Di qui il distacco dal mondo di molti musicisti e la loro singolare incomprensione per molte cose della vita quotidiana.
Se osserviamo la schiera dei nostri grandi compositori possiamo, generalmente parlando, riconoscerne di due tipi fondamentali:

I. musicisti pei quali il comporre non rappresenta che una maniera corrente per esprimere una tendenza artistica generica;

II. e altri il cui intero essere, vitalità, sentimento, pensiero, ricevono dalla musica l'impulso primario; e, del mondo circostante, non considerano utile e degno d'attenzione se non ciò che, mediatamente o immediatamente, è in rapporto col loro innato istinto musicale.

L'appartenenza al primo gruppo non esclude affatto la genialità musicale. Possiamo porvi, ad esempio, i grandi drammaturghi Gluck e Wagner e quindi un'infinita schiera di maestri minori fino a giungere al tipo del compositore e direttore d'orchestra moderno, universalmente colto. A tutti è comune una certa chiarezza di coscienza - di solito assai accentuata - di fronte alla propria vocazione e al mondo, la propensione ad assumere una posizione critica di fronte all'opera d'arte, a teorizzare, a tracciar programmi; una forte propensione pure per le problematiche, nonché una grande apertura a tutti i movimenti artistici e culturali del loro tempo. Un'universalità senza limiti, insomma, che reca talvolta con sé - ove non prevalga una musicalità superiore - un lieve fondo di dilettantismo, nella sfera specificamente musicale.
Del tutto diverso è il caso per i musicisti del secondo gruppo al quale, con Haydn e Schubert, appartiene anche Mozart. La loro creazione - necessità cui non possono sottrarsi - ha sempre un carattere di ingenuità, di inconsapevolezza, di fenomeno apparentemente sottinteso. Acutissimo è il loro istinto nel cogliere il lato utilizzabile delle sensazioni che provano. Le loro valutazioni non si atteggiano mai a formule teoriche. Decidono sempre caso per caso, brevemente, con praticità. Sono profondi soltanto nel dato di fatto concreto della loro produzione geniale che li inserisce saldamente nell'epoca in cui vivono e nelle sue correnti culturali. La loro vita si svolge secondo le superiori linee direttrici della loro creazione. Di quasi tutti è propria una fecondità prodigiosa e una ferrea volontà di lavoro.
E così anche il carattere e il destino di Mozart furono prepotentemente dominati dall'influsso di un demone inesorabile che foggiò corpo, spirito, volontà e inclinazioni sociali dell'artista ai fini esclusivi della sua missione musicale. Non un senso, non una qualità vediamo delinearsi in lui se non in funzione di utile mezzo della sua preponderante forza produttiva; e la vitalità di quella forza era tale da sapersi sottrarre con effficaci mezzi difensivi (per lo più richiudendosi in se stessa) a qualsiasi pericolo di perturbazione che la minacciasse dal mondo esterno. Quando fiutava nell'aria favorevoli sollecitazioni o necessitava di particolare energia, questa facoltà arcana sapeva provvedere il delicato corpo del Maestro di organi recettivi sensibilissimi oppure di una tenacia quale nessuno si sarebbe attesa da lui. La personalità umana semplice ed infantile di Mozart non poté mai imporsi ai contemporanei come invece avvenne per Beethoven, la cui fisionomia inquietante incuteva rispetto anche all'ultimo degli spazzini viennesi. Mozart passò su questa terra senza solennità e senza enfasi.
Una vita di musicista, fu la sua, con maggiori riconoscimenti per il bimbo prodigio che per l'artista maturo, una vita piena di strapazzi, di speranze, di rinunzie, di brevi zone luminose. Un decennio sereno e rassegnato a fianco d'una moglie allegra, sensuale, attraente ma, in complesso, banale; in un ambiente instabile, poco rassicurante, che spesso e volentieri lo sottovalutava. Nulla di tutto questo potrebbe lasciare intravedere a un osservatore superficiale la presenza d'uno dei più grandi spiriti dell'umanità in un'esistenza così modesta. Tutte le aspirazioni umane inappagate, i nodi non mai sciolti nell'anima ardente del Maestro, dovevano trasformarsi in quella vena musicale, propria di lui soltanto, che pone sorriso, gioia e dolore nello stesso respiro di inesauribili melodie.
Perciò fallirono tutti i giudizi che non seppero dedurre la sua figura umana dalla formula di tali, uniche, particolarità. Errato fu il voler applicare alla sua umanità tutta illuminata di musica lo stesso metro adatto a uomini di cultura universale, del tipo, per esempio, di Goethe. Perché ciò che in Mozart potrebbe sembrare mancanza di cultura o di interessi fu invece soltanto un'estrema conseguenza del suo genio specificamente musicale, o un'efficace misura difensiva della sua instancabile, originaria musicalità creativa contro le influenze perturbatrici della vita.
Il tipo fisico di Mozart, nella sua scarsa appariscenza, fu dunque l'incarnazione più adatta d'uno spirito musicale tendente all'interiorità. I suoi tratti gradevoli - e molto mutevoli a seconda degli stati d'animo - non recavano, nella vita quotidiana, l'impronta tormentosa d'una personalità consapevole. Mentre il viso di Beethoven, riprodotto con entusiasmo da pittori e scultori del suo tempo, è oggi bene impresso nella mente di tutte le persone colte in una versione relativamente fedele sulle sembianze di Mozart regnano ancora le opinioni più disparate e bizzarre.
Di lui, che viaggiò moltissimo, non possediamo un solo ritratto di un pittore importante che abbia saputo vedere e rivelare i reconditi segni del genio. I valorosi artisti che lo ritrassero fecero del loro meglio per coglierne la rassomiglianza, attenuandone, talvolta, un tantino la vera personalità. Certo, con un modello così perennemente irrequieto, che tamburellava su tutti gli oggetti a portata di mano «come se suonasse il pianoforte», il lavoro dovette riuscir loro tutt'altro che facile. Tutti mancarono dello spirito congeniale necessario per fissare il fuoco segreto racchiuso nei suoi lineamenti. Molti dei suoi ritratti oggi in commercio non sono che raffigurazioni fortemente idealizzate di epoche posteriori.
A sei anni, Mozart era il bimbo sano, robusto e paffuto che vediamo nel suo primo ritratto. Gli strapazzi dei viaggi, le malattie dell'infanzia gettarono però ben presto un'ombra sui lineamenti affinati e pallidi dell'adolescente riprodotto nei dipinti successivi. Giovinetto non fu privo d'una certa grazia; ma bello proprio, o comunque fisicamente affascinante, non fu mai. La sua fisionomia serbò sempre un che di immaturo e di infantile; e l'età che incomincia a imprimere i segni della personalità non la raggiunse. Una cantante lo defini una volta malignamente «un musetto di porco ben raso»; e un attore di Mannheim, certo Backhaus, trovò che rassomigliava a uno sparuto garzone di sartoria.
La notevole piccolezza della sua mobile figuretta è testimoniata da tutti i contemporanei. Oggi si parlerebbe di costituzione «astenicoleptosomatica». Perfino sua sorella lo descrisse: «Piccolo, magro, pallido, senza alcuna pretesa di prestanza fisica». Le linee della testa, grande ma non sproporzionata, non denotano affatto durezza o caparbietà forse appena un'ombra di rozzezza, ma molto addolcita e attenuata. Aveva ereditato il tipo della madre: capelli biondi, fini, folti e leggermente ondulati; fronte non molto alta, lievemente convessa, formante un angolo quasi piatto col naso, notevolmente grosso e appena segnato alla radice da un piccolo solco. Quasi indefinibile la posizione degli occhi irrequieti, d'un azzurro un po' sbiadito, dallo sguardo svagato e distratto di miope senza occhiali, che soltanto la musica accendeva d'una singolarissima luce. Stranamente conformate le orecchie mancanti di lobi. I padiglioni mostravano la non rara anomalia della cosiddetta «conca mancante». Regolare ma non troppo piccola la bocca, e non priva d'una certa espressività, specialmente negli angoli, un po' tirati in su, che le davano un tocco appena percettibile di umorismo silenzioso e osservatore. Neppure la morbida forma del mento, sottolineato da quella lieve ondulazione carnosa che gli austriaci familiarmente chiamano Goderl (doppio mento) rivelava caparbietà o tenacia.
Perfettamente modellate le mani, ferro del mestiere del suo demone musicale, piccole, non magre, bellissime; e molto guadagnavano quando erano posate sulla tastiera. Mozart ne andava particolarmente fiero, ben conoscendo il fascino che conferivano alla sua persona. Altrettanto lo affliggeva la mancanza di altre qualità fisiche, alle quali tentava di sopperire vestendo sempre con accurata eleganza. Nulla lo sconvolgeva maggiormente di un'osservazione sfavorevole al suo aspetto modesto.
Lo spirito, in preda a un continuo lavorio creativo, imprimeva al corpo ininterrotti movimenti nervosi. Mozart non stava fermo un momento e quand'era costretto all'immobilità doveva almeno battere insieme i talloni. Sempre, ma specialmente quando stava lavorando a un'opera importante, appariva assorto; ma interiormente era invece ben desto e immerso in una moltitudine di idee sempre mutevoli. Allora, quando si trovava in compagnia di amici, il suo contegno era quasi volutamente trascurato; parlava a vanvera o faceva scherzi deplorevoli. Amava alla follia il gioco del bigliardo; e forse il bel trio con clarinetto (Kegelstatt-Trio) lo scrisse udendo il gaio ticchettio del Kegelspiel (gioco dei birilli). Dopo aver lavorato duramente faceva volentieri lunghe passeggiate; più tardi si provò perfino a cavalcare. Danzava con gusto e con garbo. Componeva e sonava di preferenza, spesso dopo divertimenti sfrenati, fino a tarda notte, abitudine che probabilmente nocque alla sua costituzione delicata fin dalla prima gioventú. Nervi e spirito aveva straordinariamente sensibili; e negli ultimi anni, col graduale allentarsi delle resistenze fisiche al progredire del male, si manifestarono in lui chiarissimi i sintomi di una eccitabilità indubbiamente morbosa.
Il suo corredo tecnico-musicale era già stato messo a punto ed ampiamente arricchito durante la prima giovinezza. Dalla forza creativa del suo spirito scaturiva un'inesauribile energia di lavoro sistematicamente addestrata con profitto nella casa paterna. «Sono più contento perché ho da comporre», scrisse una volta, «questa è l'unica mia gioia, l'unica mia passione». Infatti, fin da ragazzo sarebbe rimasto notte e giorno alla sua musica. La prodigiosa memoria musicale - che aveva ben poco a che vedere con la memoria meccanica o «locale» di tanti virtuosi - era la manifestazione d'una capacità di sintesi senza riscontri. L'idea musicale gli si fissava subito «plasticamente» nello spirito, e con essa la linea del necessario sviluppo che aveva riconosciuto per giusta. Per questo gli riusci facile comporre a mente la maggior parte dei suoi lavori - e stenderli poi sulla carta in così breve tempo, senza fatica e con assoluta sicurezza. Tecnica favolosa e sovrano dominio delle naturali leggi di sviluppo lo soccorsero sempre. E la gioia di una così infallibile sicurezza darà sublime ardimento all'arte sua. Il sentimento sfocia nella nobiltà della linea: il procedere di una simile musica è un estatico innalzarsi nella beatitudine della liberazione armonica; un innalzarsi senza fatica né peso per godere la voluttà della ricaduta.
[...] Nell'opera di Mozart regna sovrana [...] la scioltezza della linea, intessuta all'infinito. Pochi abbozzi o correzioni ci rimangono di lui, l'artista del lavoro facile, scorrevole, tracciato di getto nella sua forma compiuta senza preoccupazione di dettagli tecnici. Le battute iniziali le stendeva quasi sempre per intero in tutte le voci - e questo perché l'impostazione risultasse chiara; poi portava avanti la sola parte essenziale, la linea melodica, segnando un basso qua e là, o accennando alcuni particolari dello sviluppo. Le altre parti le completava in un secondo tempo. Raffinato e sicuro anche nella grafia, amava segnare la divisione delle battute con leggeri tratti di linea, interrotti ad ogni pentagramma.
Rarissime correzioni turbano il fluire della scrittura, veloce ma chiara, altrettanto evidente, snella e ben inquadrata quanto il contenuto musicale. Sulla parte sinistra del foglio, le estremità dei pentagrammi sono raccolte in partitura da grappe eleganti e slanciate, che paiono abbracciare con tenerezza materna il nobile frutto della creazione. Queste originalissime caratteristiche grafiche si manifestarono assai presto. La forte personalità dell'artista è già evidente in lavori che, a prima vista, semhrerebbero scritti con l'intenzione di imitare la scrittura paterna o quelIa svolazzante dei maestri italiani. Mozart soleva apporre sulla testata dei fogli ancor bianchi il proprio nome, il titolo e la data d'inizio delI opera che aveva già compiuta in mente. Cosí, l'ultima sua opera rimasta incompiuta, il «Requiem», reca con tragica significazione, la data del 1792, anno ch'egli non giunse a vedere.
Le caratteristiche umane di Mozart furono determinate totalmente dalla sua creazione.
Come il suo orecchio recettivo era sempre pronto a raccogliere tutta la cultura musicale contemporanea, senza far distinzione di nazionalità, cosi il suo genio era dominato dalla sublime vocazione che lo chiamava a donarsi interamente a tutta l'umanità.
«Voglio far grande onore alla Nazione tedesca in tutto il vasto mondo», scriveva al padre; e questo pensiero lo riempiva talvolta di ardente orgoglio. «Se la Germania, la mia Patria carissima di cui vado fiero, non mi vuole, la Francia o l'Inghilterra dovranno, vivvaddio, arricchirsi di un valente tedesco in più. E questo a disdoro della nazione germanica. Voi ben sapete che quasi sempre furono i tedeschi ad eccellere in tutte le arti. Ma dove fecero fortuna? Non certo in Germania! Il Principe Elettore non sa di che cosa io sia capace. Si faccia venire tutti i compositori di Monaco, e anche qualcuno d'Italia, se vuole, o di Francia, di Germania, di Spagna. Sono certo di poter tener testa a tutti! » [dalle lettere di Mozart al padre].
Il suo patriottismo fu coscienza umana della potenza dello spirito germanico, al disopra delle frontiere nazionali; idea che trovò per la prima volta un'espressione ben definita negli artisti dello Sturm und Drang, dai quali fu intesa come atteggiamento di liberazione contro l'assolutismo particolaristico dei piccoli principi. Ed ancor più profondamente di costoro Mozart, il musicista, dovette sentire la superiore forza della sua musica la quale, scostandosi dalla superficialità dello stile galante, era sul punto di dare al mondo alte rivelazioni spirituali.
Mozart trascorse all'estero una parte degli anni di studio e, naturalmente assimilò senza scrupoli elementi stilistici stranieri; tanto, che parecchi lavori giovanili egli credette di averli scritti in stile non tedesco. Ciò nonostante il suo animo lo ricondusse sempre alla patria d'origine.
Ciò ch'egli scrisse in tedesco o in altra lingua non ha molto peso di fronte alla considerazione che anche le sue opere di fattura italiana appartengono interamente a lui. Già Stendhal presentí che Mozart in Italia non avrebbe mai avuto tanto successo quanto in Germania o in Inghilterra, non essendo la sua musica «fatta per i paesi meridionali». Si confronti la calcolata scaltrezza dell'opera buffa italiana con l'appassionata apertura mentale delle ultime opere mozartiane, ove lo spirito di Mozart parla attraverso ognuno dei suoi personaggi. Questo immedesimarsi con piena dedizione creativa nel dramma musicale infuse all'azione teatrale il palpito della vita vera. E dalle fredde maschere del vecchio teatro musicale sorsero gli immortali personaggi della letteratura mondiale.
Un colpo d'occhio infallibile nel cogliere l'essenziale lo affrancò una volta per tutte da qualsiasi speculazione teorica - sia in arte che nella vita -, regolò le sue scelte, le sue decisioni, la forma dei suoi lavori e costituí la base del suo finissimo istinto psicologico, dote assai precocemente sviluppatasi in lui, autentico drammaturgo. Mozart vedeva gli uomini cosí come essi gli apparivano nelle loro manifestazioni esteriori. Sovrani o musicanti, giudicava tutti indistintamente con lo stesso inesorabile senso critico, andando diritto all'uomo senza tener conto del rango o della influenza. Non tentò mai, come suo padre, di circoscrivere un carattere entro alcune formule logiche e razionali, per poi valersene pei propri fini. Non sentí mai la necessità di migliorare questo o quello: considerò tutti con lo stesso realismo critico, sereno, spassionato, che gli veniva dal suo istinto creativo e teatrale.
Saggezza di vita nel senso più corrente del termine non ne ebbe molta; e ciò fu motivo di eterne preoccupazioni per il trepido padre e fonte di continue delusioni per lui stesso. «Il est zu treuberzig [troppo candido e fiducioso], peu actif, trop aisé à attraper, trop peu occupé des moyens qui peuvent conduire à la fortune», scriveva da Parigi il navigato e scaltro Melchior Grimm del suo protetto Volfango, allora ventiduenne. Ed infatti, di fronte agli egoismi e agli intrighi del mondo, Mozart si trovò costantemente disarmato. Ma se si trattava di affermare la sua prepotente forza creativa, allora - e allora soltanto -, come mosso da un istinto di conservazione, sapeva affrontare la realtà della vita e del mondo con energia e chiara coscienza dei propri fini. Molti seppero sfruttarne la sconfinata bontà d'animo, senza poi più curarsi di lui, generoso e cordiale benefattore, cosí precocemente maturo in arte ma rimasto eternamente bambino in tutte le contingenze della vita.
Questa infantilità, cosí singolarmente consona alla divina immediatezza dell'arte sua, rimane uno degli aspetti più imperscrutabili della vita spirituale di Mozart. Essa fu anzitutto una reazione all'ininterrotta attività interiore, una sorta di misura protettiva selettivamente assunta dall'originaria forza creativa; o forse anche una reazione residua all'opprimente disciplina di lavoro cui l'artista era stato sottoposto fin dalla fanciullezza.
Alla malinconia del temperamento mozartiano (la seconda delle caratteristiche fondamentali dei grandi spiriti, nel senso inteso da Schopenhauer) già aveva accennato Stendhal. Troviamo infatti motivi di malinconia saldamente ancorati nel fondo della musica mozartiana; e di qui nasceranno il colore inconfondibile dell'ampio, trepido melodismo, i toni vellutati e oscuri delle ultime opere, nonché alcune misteriose locuzioni armoniche.
Come molti altri geni inclini alla malinconia, egli aveva anche in grande misura quella giocondità di spirito che inconsapevolmente si oppone alle contrarietà della vita. Da essa emanava l'inimitabile umorismo, talora un po' malizioso e volgaruccio, che spesso trapela anche dalla sua musica come luminoso atto liberatorio. Nella forma espressiva e nell'essenza, questo tratto ereditario sud-germanico recava un'impronta nettamente montanara. In casa Mozart si soleva chiamare le cose col loro nome. La tendenza all'ironizzare sarcastico discendeva dal padre; dalla madre lo strano gusto di divertirsi, in modo spesso chiassoso e grottesco, nel dire scempiaggini un po' volgari, combinar giochi di rime senza senso, storpiar le parole. Questo gusto, lo si giudichi come si vuole, in un uomo di genio può anche avere un fondo di utilità, agli effetti creativi', perché consente a una fantasia in continuo fermento di scaricarsi, di tanto in tanto, nelle bassure dello spirito. Singolare volgarità, primordialmente artistica, già manifestatasi in mille modi fra la popolazione salisburghese - in rime infantili, arguti motti di strada, rappresentazioni drammatiche - che si giustifica, dunque, come contrassegno caratteristico d'un tipo di comicità autoctona.
L'aspetto esteriore di Mozart non era, come si è detto, che uno strano velo che ne celava la colossale genialità; ed egli stesso non svelò mai il vero fondo dell'animo suo ad alcuno dei suoi simili, benché quel cuore solitario ardesse per tutta la vita dal desiderio di trovare un amico vero, degno d'essergli tale. Ma un istintivo senso di difesa insorse sempre contro tutti gli influssi che avrebbero potuto contrastare la sua vocazione artistica.
Eppure Mozart era tutto fuorché un misantropo bisbetico: amava le compagnie allegre, anche se un po' grossolane. Il brusio di voci gaie ed esaltate, le cordiali risate, il petulante tintinnar dei bicchieri scacciavano da lui le preoccupazioni quotidiane e, anziché frastornare, sollocitavano le energie del suo spirito in continuo tormento creativo. E, avendo l'esatta sensazione dell'azione benefica e stimolante che simili svaghi esercitavano su di lui, non si limitava alla parte dello spettatore silenzioso ma, appena poteva, vi partecipava direttamente con quanto aveva di meglio: la sua arte. Molti dei suoi piccoli deliziosi lavori nacquero cosí; e molti di essi, scartati come non degni, andarono perduti.
Da autentico salisburghese, sapeva bene apprezzare una buona cucina, un bicchiere di vino generoso, una forte tazza di punch. Quando aveva denaro prevaricava spesso e volentieri, per poi ridursi, talvolta, a vivere parecchi giorni di solo pane e caffè, in silenzio e senza lamentarsi. Gli era, insomma, propria al massimo grado quella spensieratezza tipicamente austriaca che non si cura del domani, che ostenta una certa fierezza nel lasciarsi andare alle dolcezze dell'arte passando sopra alle banali contingenze della vita, e sa disarmare ogni rimprovero con un sorriso arguto e rassegnato.
In società mostrava quell'amabilità, pure squisitamente austriaca, fatta di discrezione, di tatto, di slanci generosi; e con la stessa disinvoltura, la stessa innata gentilezza sapeva muoversi in ogni ambiente sociale. Sicurezza che, però, perdeva all'istante, non appena costretto a cercar protezione presso persone influenti e altolocate; perché la sua dignità non gli consentiva in nessun caso di abbassarsi al tono servile del dipendente, neppure quando la carica che ricopriva gli imponeva la subordinazione. Negli ambienti aristocratici - in cui Beethoven per primo riuscí ad imporsi - egli era ancora considerato, salvo rare eccezioni, un ornamento gradito, un lusso debitamente pagato. Pur ardendo dal desiderio di vedere riconosciuto il proprio valore artistico, non tenne in alcun conto i segni di distinzione esteriori. Insignito a quattordici anni del titolo papale di «cavaliere», avrebbe avuto tutti i diritti di portare quello stesso titolo da Gluck orgogliosamente ostentato per tutta la vita; invece lasciò quasi subito cadere il ben sonante e vacuo predicato. Piú tardi, la povertà e il disordine in cui fu costretto a vivere gli impedirono di avere una casa adeguata alla sua condizione: alla sua vita farraginosa e senza pace non arrise mai la felicità d'un focolare stabile e tranquillo.
Non dimenticava le gentilezze ricevute e ne era riconoscente per tutta la vita, sempre pronto ad accorrere con slancio e bontà presso chiunque avesse bisogno di lui. Ma, pur con tutta la sua ansia di comunicare, dava a ciascuno soltanto quanto questi era in grado di prendere. A tutti coloro che lo avvicinavano appariva sotto un aspetto diverso, pur rimanendo sempre lo stesso.
La parte più viva che di lui ci rimane sono le lettere, miniera inesauribile di descrizioni succinte e squisite, vero e proprio breviario di stupendi scorci della cultura musicale di allora. Fra le lettere di musicisti, queste sono, senza dubbio, le più evidenti, professionali ed immediate: l'estemporaneità, la vivacità, la dirittura dello stile ne costituiscono il fascino e l'importanza. Quell'improntitudine nel metter sulla carta le idee, cosí come gli si affollavano alla mente, diventa naturalezza di espressione immediata e personale, e perciò riesce affascinante. Vi si ritrova la stessa spontaneità geniale, appassionata delle sue opere, gli stessi accostamenti di gioiosità e di tragedia. Anche qui i caratteristici capovolgimenti di stati d'animo, le svolte «repentine ed impreviste» che creano i «momenti emozionanti» delle composizioni mozartiane e che Alfred Heuss, giustamente definisce «l'elemento demoniaco nell'opera di Mozart».
Molti tratti di queste lettere, caratteristici ma «scandalosi» dal punto di vista famigliare, vennero soppressi dalle perplessità, soggettivamente comprensibili, della vedova, consolidatasi al rango di moglie d'un consigliere di Stato danese. Le famose lettere alla «cuginetta» augustana rimasero per lungo tempo sottratte alla posterità; ma anche questi documenti costituiscono una parte insopprimibile della personalità umana del Maestro, e sono addirittura unici pel tono di schietta e intima cordialità che improvvisamente balza fuori ad illuminare il linguaggio piuttosto grassoccio.
La cultura generale di Mozart non vuol essere commisurata all'ideale goethiano né a quello del nostro tempo. Mozart era un musicista. Ciò nondimeno egli seppe sempre cavarsela brillantemente fra i colleghi e negli svariatissimi ambienti che si trovò a dover frequentare. Suo padre che, relativamente alla propria condizione, aveva esperienza e cultura di prim'ordine, fece del suo meglio per trasmettergliele con intendimenti pratici. Non si trattò certamente d'una preparazione sistematica, in senso umanistico, ma tanto bastò perché Volfango sapesse poi sempre comportarsi degnamente in società. Le sue nozioni linguistiche erano più che sufficienti. La lingua ch'egli parlava più correttamente e volentieri era l'italiano, le cui sonorità trasfuse anche nella sua musica. Lunghi viaggi attraverso queste zone culturali fecero di lui un cittadino del mondo.
L'ingenua e inconsapevole sicurezza della sua vena creativa lo sottrasse alla necessità di valutare in base a criteri letterari i soggetti e i testi per le sue opere. Gli bastarono la funzionalità dell'impostazione drammatica e la sua grande dimestichezza con la produzione musicale contemporanea. Eppure non esistono libretti migliori di quelli delle «Nozze di Figaro» e del «Don Giovanni». Anche «Cosí fan tutte» oggi la si vede con occhi diversi da quelli con cui si ardiva giudicarla ancora agli inizi del nostro secolo. E Goethe stesso aveva incominciato a scrivere una seconda parte per «Il Flauto magico».
Che Mozart fosse un lettore di libri non tutti lo sanno. L'abbiamo appreso da una sua lettera scritta al padre il 22 dicembre 1777 da Mannheim: «Verso le sei», vi si legge, «vado da Cannabich e do lezione a Mademoiselle Rose. Mi trattengo anche a cena e poi si discute, talvolta si gioca. Infine io tiro fuori di tasca un libro e mi metto a leggere, come facevo a Salisburgo».
Due donne costituirono i cardini estremi della sua vita sentimentale: la snella, affascinante, musicalissima Aloysia Weber, che per prima seppe infiammare il suo cuore passionale, e l'amena «cuginetta» augustana, dal fare disinvolto, un po' ordinario, l'intima compagna di quei suoi deplorevoli svaghi, oscillanti fra un erotismo verbale spinto agli estremi e quelle zone di primordiale animalità nelle quali riusciva a placarsi il ritmo febbrile della sua fantasia. Ma fra questi due poli, singolarmente opposti, fra Pamina e Papagena, si snodò tutta la lieta sequenza delle piccole avventure concrete. D'essere enormemente sensibile al fascino del gentil sesso era egli stesso ad ammetterlo. Quando una donna gli piaceva - ed erano molte - incominciava subito a stuzzicarla con ogni sorta di sciocchezzuole e di scherzetti galanti fino a che, o trascinato dalla sua stessa passione, o favorito dalla condiscendenza della bella, non giungeva a concludere una breve avventura. Di tali episodi amorosi pochi soltanto lasciarono in lui durevoli tracce; e questo unicamente quando un qualche interesse artistico, più forte ancora dell'erotismo, intervenne a sollecitare la sua smania di far progetti e a dare ali alla sua fantasia. Allorché, nella piena virilità dei suoi ventidue anni, fu per la prima volta scosso dai palpiti dell'amore vero, furono le incantevoli qualità artistiche dell'adorata piccola Weber, fu il meraviglioso fiorire, sotto la sua guida, del giovane talento di lei, fu la magia di quella voce squisita - e non solo le attrattive fisiche della bella creatura - ad affascinarlo e a spronarlo a creare appassionatamente.
E questo complesso gioco di sentimenti attizzò poi ancora la fiamma che lo sconvolgeva, giustificando la tenacia del suo amore e rendendogli terribile il colpo del brusco congedo datogli dall'amica calcolatrice e spietata. Fu allora che, per quanto profondamente scosso riuscí - da Mozart puro sangue - a mandare al diavolo l'oggetto della sua pena con la gagliarda strofetta che vedremo più avanti. Tuttavia questa pagina dolorosa gli rimase indelebilmente impressa nell'animo, né egli riuscí mai più a cancellare dalla sua mente il tipo di Aloysia. Ossessionante immagine che, trasumanata nel ricordo, finí col gettarlo fra le braccia di Costanza, assai più insignificante della sorella ma dotata dello stesso arcano fascino sensuale che l'aveva tanto turbato la prima volta.
Il matrimonio non fu dunque per lui che una ripetizione borghese del suo primo grande amore. E ciò spiega la tenerezza, la dedizione che, malgrado le non poche scappatelle, conservò sempre alla moglie. Il suo buon cuore e la spensieratezza di entrambi fecero il resto. Il matrimonio di Mozart pare sia stato felice. Le sue lettere affettuose alla moglie costituiscono la prova più genuina dell'assoluta dirittura (almeno nelle grandi linee) dei loro rapporti. Se talvolta egli usciva dal binario coniugale, la moglie, sia pure con un viso un po' agrodolce, chiudeva un occhio: «Finché si tratta di servette...», diceva. Del resto, entro certi limiti, nemmeno la condotta di lei pare sia stata rigorosamente canonica. Ma allorquando Mozart prendeva a frequentare con una certa assiduità donne di teatro belle e intelligenti, presso le quali egli si sentiva con tutta l'anima come a casa propria, lei non si tratteneva dal tormentarlo con la classica gelosia delle mogli lasciate in disparte; poiché si rendeva chiaramente conto di non potergli tenere un gran posto, con le sue limitate doti musicali, fuorché nella prosa della vita quotidiana.
La donna rappresentò per Mozart un motivo di gioia spensierata e asentimentale, capace di dischiudere il suo genio intuitivo non già a un unico ideale preconcetto bensí a tutta la gamma di giochi, passioni, tenerezze del demone iridescente. Per questo anche in arte gli seppe rendere l'amore con tanta varietà e calore di vita. Nell'animo dei suoi personaggi più maturi, evidentemente anche in quello delle «donne dal cuore ardente», - Costanza, la Contessa, Pamina, - nel fascino birichino e sorridente di Biondina e Susanna, sonnecchia un lato peculiare del carattere di Mozart. Ma il problema, la vera essenza del suo erotismo, vanno ricercati non tanto nella realtà dei fatti, quanto nella trasfigurazione artistica della vita e dell'amore. L'autore del «Figaro» e del «Don Giovanni» non fu né un libertino sfrenato né un «cacciatore di gonnelle» per pura sete di avventure erotiche; seppe cogliere le occasioni favorevoli con gaia mascolinità ma le persone pulite le trattò sempre con assoluta dirittura. Gli amori mercenari li evitò per tutta la vita. Fu assolutamente negato alle cose platoniche e ancor più alle languide fantasticherie romantiche, lontanissime dalla sua serena sensualità. In amore, insomma, egli si mantenne sempre sano, integro, virile.
Il proprio metro morale Mozart lo portò in sé, nella sua natura pura e infantile, nell'elevata coscienza che sempre lo guidò in ogni azione. In tutte le cose concernenti l'onorabilità personale fu d'una intransigenza irriducibile, addirittura appassionata. Ebbe una coscienza di sé nobile e grande. Ma non pensò mai a formarsi un nucleo di direttive morali basate sul raziocinio - quale ebbe suo padre ad unica guida di vita - né una visione filosofica del mondo, né sistemi teorici in genere, esorbitanti dalla sua mentalità artistica. Quando, più avanti negli anni, si affiliò alla massoneria, lo fece, soprattutto, perché attratto da quel concreto ideale di fratellanza universale, nel bene dell'umanità, cui già si era accostato creando il personaggio di Selim, nel Ratto dal serraglio e che poi tornò ad annunziare, ancor più luminosamente, per bocca di Sarastro, nel Flauto magico.
Cresciuto nei dogmi della religione cattolica, vi si mantenne fedele fino alla morte, pur essendo, con gli anni, divenuto di opinioni più libere e indipendenti. La grandiosa gestualità artistica della Chiesa cattolica (forse l'impressione più forte da lui riportata durante gli anni giovanili a Salisburgo), non smise mai di soggiogare la fantasia dell'artista. In alcuni momenti delle sue composizioni sacre, ove il testo canonico di dogmatico si fa mistico, anche la musica si scosta dal tradizionale e, con poderosi colpi d'ala, s'innalza nella luminosa sfera della originalità artistica. Le antiche parole liturgiche dell'Ave Verum, non meno di quelle del Requiem, sono trascorse da un brivido che è estatico timor di morte e, al tempo stesso, personalissima visione di eternità.
Anche della morte, infatti, Mozart ebbe un'idea tutta sua. Presago, assai più di quanto non si pensi, della sua fine prematura, avanzando negli anni considerò questo fondamentale problema con sempre maggiore e più lucida serenità. E negli ultimi tempi fu come invaso da una sottile euforia, da un'eterea tensione spirituale che si tradusse in accresciuta ansia di creare, in un approfondirsi quasi chiaroveggente dello sguardo interiore, in una silenziosa rassegnazione all'inevitabile. E fu allora che tutte le caratteristiche dell'ultima maniera affiorarono nelle sue opere, con talune inflessioni che paiono proiettarsi oltre Beethoven, nel cuore del romanticismo schubertiano.
Anche Schubert morì giovane. E nelle sue melodie palpita quel cupo accoramento comune a tanti altri grandi musicisti che tradussero l'intimo fervore in purezza di canto. Mozart e Schubert, pur preparati alla morte, vissero in perfetta letizia; ed è questa, forse, una delle più nobili espressioni dello spirito austriaco e della sua antichissima, già un po' stanca, civiltà. L'anelito d'una vita familiarizzata con la morte diventa bellezza. Letizia e piacere si trasfigurano nella beatitudine del trapasso. Da cosí lucida consapevolezza scaturisce la vera, la feconda luminosità del carattere e dell'arte loro.
La sublime fede nell'eternità cancellò a poco a poco dall'anima di Mozart i dogmi ecclesiastici della morte, del giudizio, delle pene infernali; una visione luminosa si sostitui al raccapricciante quadro del dissolvimento, lasciandogli nel cuore una mite rassegnazione al volere di Dio e la liberatrice speranza in un felice, eterno ricongiungimento in un mondo migliore. Questa fede semplice ed incrollabile gli diede conforto quando perse sua madre; ed egli la riaffermò ogniqualvolta dovette piangere la scomparsa di qualche caro amico. La riespresse nell'ultima lettera al padre mortalmente ammalato (4 aprile 1787), con queste elevate parole: «Poiché la morte, intesa nel suo giusto significato, è il vero ed ultimo scopo della vita, cosi, già da un paio d'anni, mi sono talmente familiarizzato con questa ottima amica nostra, che la sua immagine non solo non mi appare più terrificante ma mi infonde tranquillità e conforto! E ringrazio Iddio che mi ha concesso la gioia di riconoscere in lei la chiave della nostra vera beatitudine. Non mi corico mai senza pensare che, giovane come sono, potrei anche non vedere il giorno seguente. Eppure, nessuna delle persone che mi conoscono può dire ch'io mi comporti come un uomo triste e imbronciato. Di questa serenità, che auguro di gran cuore a tutti i miei fratelli, io ringrazio ogni giorno il Creatore».
Ai contemporanei e perfino ai posteri, egli parve esser passato accanto a molte cose e a molti eventi del mondo con singolare, infantile disinteresse. Eppure l'opera sua rispecchia alla perfezione non soltanto il fior fiore della produzione musicale ma anche il carattere generale del suo tempo; e lo sintetizza in un quadro ideale, proprio come fece poi l'opera di Goethe. La grandiosa percezione delle forze che agivano attorno a lui si tradusse immediatamente in opera d'arte, senza passare attraverso i giri viziosi del raziocinio. Esempio altissimo - forse il più alto che mai si sia avuto - di genio intuitivo, di artista giunto alla comprensione e alla creazione della forma soltanto attraverso i sensi. L'opera sua, insomma, fiorita dalla simpatia umana, non levò contro il mondo l'altezzosa immagine di un solitario: fluí organicamente dai fenomeni del mondo stesso e li trascese con la sua perfezione.
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