BIOGRAFIA - LETTERE E SCRITTI 1839


Egli non osa dissuaderla; tanto coraggio, tanta forza d'animo lo confondono. La lascia partire, l'8 gennaio 1839:

Quando lasciai Lipsia, credevo, o mia adorata, di aver preso una decisione eroica. Ma tu, giovane come sei, te ne vai, sola, per colpa mia, in un mondo lontano e pericoloso. Ciò che tu fai in questo momento, è il gesto pia nobile che tu abbia mai compiuto per me. Sei una donna straordinaria e meriti un rispetto infinito; non so come io possa esser degno di tanto amore. Clara mia, tu mi comunichi un po' della tua forza e mitrasformi in una sorta di eroe.

Vienna attira e delude nello stesso tempo il poeta Schumann. Le colline che formano intorno alla città una cintura di sogno e d'ombra gli piacciono molto, ma la leggerezza e l'incoscienza della gente lo indignano. Egli ammira la perfezione degli artisti dell'Opera, ma si irrita a sentirli cantare delle insulsaggini; sopporta la fragorosa gaiezza dei sobborghi e si inebria di silenzio, lungo i viali del cimitero di Waehring.
Il suo cuore è pieno di una desolazione incredibile, che non può né esprimersi né spiegarsi. Quando, poi, finalmente, scopre la tomba di Beethoven, scoppia in lagrime.
La visita a Ferdinand Schubert, il fratello di Franz che abita ancora a Vienna, è per Schumann la conseguenza logica di quel pellegrinaggio nel cimitero di Waehring. Franz e lui si sono appoggiati insieme alla finestra di quella casa, per guardare la stessa via, lo stesso cielo; Franz ha parlato e la voce di Ferdinand gli ha risposto con le stesse parole che pronuncia oggi. Dai cassetti di uno stipo Schubert toglie un mucchio di manoscritti. Schumann vi si immerge fino al calar della sera, affascinato dalla visione di tanti tesori: quattro grandi Messe, parecchie opere, quattro o cinque Sinfonie fra cui quel puro capolavoro che è la Sinfonia in do maggiore
[quella detta "La Grande", ultima delle nove Sinfonie terminate da Schubert (una andò perduta), considerando completa anche la cosiddetta Incompiuta. Schumann ne lodò la "divina lunghezza"].
Subito, tutto fremente per la felicità che gli deriva dal suo grande amore, scrive agli editori Breitkopf e Härtel di Lipsia, per invitarli ad acquistare quella musica d'oltre tomba.
"Vienna, - egli pensa - molte cose ti verranno perdonate in virtù di tale scoperta. Nella Sinfonia in do maggiore sono racchiusi tutto il tuo splendore, la tua luce, i tuoi giardini, il tuo Prater, ornato di quelle belle ragazze che mi piace tanto guardare".
Cose da perdonare a Vienna ne ha molte. L'insuccesso del progetto relativo alla rivista ormai è sicuro. Se il governo ha concesso l'autorizzazione a stampare, la censura, da parte sua, mette ostacoli, sicché sarebbe vano il lottare contro di essa. Schumann, già sicuro della benevolenza di Sedlinsky, adesso comprende come costui, fin dal primo giorno, abbia deciso di non lasciarlo giungere in porto. E la signora De Cibbini? "Può tutto", dicevano, e invece non può nulla. La partita è perduta. Da Lipsia, Oswald Lorenz scrive che la rivista, privata del suo animatore, è in declino. Che fare?
Schumann è troppo fiero per ostinarsi a rimanere in una città dove è stato sconfitto; d'altra parte, non prova alcun desiderio di tornare a Lipsia. E se andasse a Parigi, come aveva pensato in un primo tempo, e raggiungesse Clara sulle rive della Senna? Soluzione arrischiata, perché la fanciulla, nonostante l'appoggio di Berlioz, non sembra riportare molto successo. E se invece puntasse su Londra, dove lo chiama la sua amicizia per Sterndale Bennett?
In attesa di una decisione, il giovane maestro frequenta il poeta Grillparzer, Thalberg, von Sonnleithner. Thalberg si mostra assai gentile con lui e non sembra nutrire alcun rancore per le stroncature ricevute dalla Neue Zeitschrift für Musik. Nel pomeriggio accompagna Robert in lunghe passeggiate; la sera lo incontra in casa del barone Pasqualati. Questo barone Pasqualati è uno fra quegli innumerevoli dilettanti come il Romanticismo solo ne ha creati
[Fu padrone di casa (una delle trenta case abitate a Vienna dall'irrequieto maestro) di Beethoven, e suo buon amico]. Nel suo salotto si mescolano compositori e belle donne, virtuosi e diplomatici; si suonano i Quartetti di Beethoven, si cantano i Lieder di Schubert.
Allora Schumann ritorna alla musica e al suo pianoforte che aveva abbandonato per cercar di aprirsi una strada nel mondo. La fedele tastiera è sempre lì. Schumann ha l'impressione che i motivi, composti in questo periodo di ritorno all'arte, abbiano la freschezza, lo splendore dei fiori; li raggruppa sotto il titolo di Blumenstücke e li offre a quella che egli chiama "l'amica in la maggiore", ad Henriette Voigt. Dai Blumenstücke salta allo Scherzo, Giga e Romanza; dall'Arabesca al Carnevale a Vienna e al finale della Sonata in sol minore. Lo slancio è preso e culmina con l'Umoresca (op. 20).
Per una settimana Schumann, incatenato al suo piano, compone, scrive, ride, piange. I fogli palpitano per la stanza come ali recise; s'ammucchiano, vengono raccolti da una mano febbrile e mandati in stamperia.

Ecco come va adesso per me: al galoppo. Creato, scritto, stampato; ecco ciò che mi piace.

Ma le ultime giornate di Vienna sono malinconiche. Prima di partire, Schumann vuol mettere insieme un'ultima raccolta di composizioni. Non trova da cantare che cose tristi. Dai 24 al 27 marzo un motivo io ossessiona e nel più profondo del suo cuore qualcuno sembra ripetere: "Mio Dio!". Strano presentimento. Dal pianoforte non sorgono che sepolcri, che ombre e visi disperati. Il titolo: Fantasia funebre viene a iscriversi quasi spontaneamente in fronte allo spartito. Egli lo respinge e sceglie Nachtstücke (Notturni) perché la sua anima è avvolta dalle tenebre.

Arrivando a Lipsia, dove ha deciso, colmo di angoscia, di far ritorno, Schumann apprende la morte del fratello Eduard. Durante il viaggio da Praga a Lipsia ha udito suonare, se lo ricorda, in lontananza un coro di trombe: in quel minuto moriva Eduard. Una nuova tomba si scava accanto a quella di Rosalie, di Julius, di Johanna Schumann. Non gli restano più che Therese, Carl, e la sua Clara.
Con coraggio si rimette al lavoro. Non è in grado di comporre, in questo momento, ma bisogna riprendere la rivista che pesa tutta sulle spalle di Lorenz. Riallaccia i rapporti interrotti con certi collaboratori, scrive lunghi articoli, dà al giornale una vita che attinge nella sua mortale tristezza.
Clara, a Parigi, ha ritrovato un'amica carissima: Emilie List. Subito Robert se ne rallegra: ella si sentirà meno sola, potrà appoggiarsi a una mano leale, crearsi un'intimità, sentirsi più forte. Invece accade il contrario. Wieck influenza Emilie, che agisce su Clara che si lascia andare e perde il suo atteggiamento sicuro. Le amiche si interrogano a vicenda; una corrente di incertezze le penetra e, da quelle due ragazzine che sono, finiscono per commettere sciocchezze. Chi ne soffre allora, se non Robert? Ancora una volta vengono sollevate odiose questioni di interesse, perché il denaro fa parte dell'orgoglio, delle aspirazioni profonde del Vecchio e perché egli sa che Schumann non è in grado di modificare la sua situazione. Clara, accampando una di quelle ragioni di cui si era servito Robert per rompere con Ernestine von Fricke, invoca le esigenze dell'arte: se sarà costretta a lavorare per assicurare l'esistenza alla famiglia, dovrà rinunciare alla carriera di concertista ed ella si rifiuta di farlo. Codesti argomenti vengon tutti confutati da Schumann: le rendite del capitale di lui e di quello di Clara, più gli onorari di redattore e di compositore permetteranno loro di vivere semplicemente ma decorosamente. Duro, cupo, straziato di doversi mostrare sotto tale aspetto, si scaglia contro il comportamento di Clara. Vuole o non vuole che essi congiungano il loro destino?
Niente gli fa male quanto queste discussioni in cui la bassezza e l'avidità di Wieck risaltano in modo evidente. Egli è inabile ad affrontare questo genere di cose. È urgente, indispensabile mettere fine a una situazione che rischia, se si bada al Vecchio, di durare indefinitamente. Poiché Clara si mostra sottomessa, pentita, e promette ancora una volta di essere accanto a Robert per la prossima Pasqua, il momento di agire è arrivato. Due mesi dopo il suo ritorno a Lipsia, cioè nel maggio 1839, Schumann scrive una lettera a Wieck e gli domanda per la terza volta la mano della figlia. Il Vecchio non risponde neppure. Robert rivolge allora una domanda alla Corte d'Appello per pregarla di accordare il consenso che Wieck rifiuta. L'avvocato Einert di Berlino è incaricato di seguire la causa. Il 15 giugno Clara, a sua volta, firma la domanda:

In vero, mia cara, credo che tu mi ami profondamente. Come avrei desiderato vederti mentre mettevi la tua firma! Tutto il tuo essere ha dovuto tremare; soltanto la mano che teneva la penna era ferma e non tremava. Lascia che io ti stringa al mio cuore, o mia adorata, mio tutto, che hai fatto tanto per me, che non potrò mai tentar di uguagliare. Bacio la tua fronte e i tuoi occhi, bimba mia: che quanto fai ti porti fortuna su questa terra.

Luglio, arroventato, con l'incessante ronzii dei suoi insetti, porta a Robert e a Clara una parvenza di calma.

Troppo affranto dalle recenti scosse per riuscire a comporre, Schumann studia e corregge le ultime composizioni della fidanzata
[Anche Clara fu autrice di musiche, tra cui Lieder, un Concerto per pianoforte e orchestra, un Trio e altro. Per la sua competenza, Brahms si consiglierà con lei nel corso del proprio lavoro di compositore], ossia gli Idilli per canto e pianoforte. Mentre suona e risuona senza stancarsi quelle piccole pagine, Robert accarezza la speranza di pubblicare un giorno molte cose sotto i loro due nomi uniti insieme. Ma gli Idilli decisamente non gli piacciono. Mancano di forza, di compiutezza, anche se, qua e là, ci sono motivi teneri e appassionati:

Voi altre, fanciulle innamorate, restate spesso a mezza strada, arrestate dall'abbondanza delle vostre idee, dal cumulo delle vostre speranze. Mandami anche la Romanza, hai capito, Clara Wieck?

La Romanza lo soddisfa. Se fosse toccato a lui scriverla, l'avrebbe scritta così. Questa constatazione gli dà il senso di avvicinarsi a Clara più che una parola d'amore:

La tua Romanza mi ha annunciato qualcosa di nuovo: che noi saremo marito e moglie. Ognuno dei tuoi pensieri esce dalla mia anima e sei tu che ispiri tutta la mia musica. Alla Romanza non bisogna cambiar nulla.

Altra gioia: la madre di Clara, la moglie divorziata di Wieck, risposata al professore di canto Bargiel di Berlino, manifesta il desiderio di conoscerlo. Clara le assomiglia, quindi non c'è dubbio che si piaceranno reciprocamente. Verso gli ultimi giorni di luglio, Robert giunge nella capitale prussiana, munito di un proprio ritratto, di un altro di Clara, di alcune composizioni e della collezione della rivista. Subito Schumann e Frau Bargiel provano uno scambievole affetto. Da un anno Robert è lontano Clara.
Ritorna però a Lipsia con gioia, perché lascia la madre di Clara per rivedere Clara stessa. Il procedimento giudiziario iniziato esige che la fanciulla si presenti in tribunale per un tentativo di conciliazione. Il 13 agosto essa dice addio a Parigi, a Emilie List, a Berlioz, e si mette in viaggio per Altenburg dove Robert le ha dato appuntamento.
Wieck, che desidera ritardare l'azione legale, non si reca all'udienza della Corte e rende così necessaria una nuova convocazione. Clara, allora, va ad abitare presso la sorella di sua madre, e può vedere Schumann ogni giorno, attingendo dal contatto quotidiano la pazienza richiesta dalla situazione. Ii 3 settembre la fanciulla parte per Berlino e Robert la raggiunge il 13. Insieme, essi tornano a Lipsia il 3 ottobre.
È a questo punto che, minata a poco a poco dal male, Henriette Voigt si spegne. Schumann perde in lei una delle creature che, dopo Clara, ha amato più in questo mondo; una creatura che occupa nel suo cuore il posto di una Rosalie, di un Mendelssohn. Dal giorno in cui Schunke l'ha presentato a quella donna sensibile e generosa, egli non ha cessato di circondarla di rispetto, di devozione, mentre essa è stata per lui l'Amica in tutta la forza del termine.
Che tristezza, che doloroso pudore traspaiono allora dai Ricordi di un'Amica, pagine che Schumann consacra alla memoria di questa "Compagna di Davide".
Il 3 ottobre 1839 ha luogo la seconda udienza davanti al giudice conciliatore. Robert e Clara attendono invano che Wieck compaia. Il Vecchio non si presenta, ma interpone appello col pretesto che non sono stati osservati i termini di legge. Clara parte quella sera stessa per Berlino, dove il suo impresario l'attende. Schumann si ritrova ancora una volta solo e demoralizzato. La bassezza di Wieck lo disgusta, nello stesso tempo in cui la morte di Henriette lo colma di malinconia. Le mattine sono insopportabili, ma i pomeriggi non finiscono mai, anche se l'inverno si sta avvicinando. Da quando è partito da Vienna, non ha più composto nulla; ma non se ne rammarica, non sente desiderio di tornare al lavoro; la sua anima è vuota di musica.
Per rianimarlo occorre il soffio possente di Schubert: ai primi di dicembre cominciano le prove della Sinfonia in do maggiore che Schumann ha scoperto a Vienna e che adesso è di proprietà di Breitkopf e Härtel. Sentir cantare l'orchestra cui egli ha procurato quella divina partitura lo riempie di gioia e di orgoglio.

Clara, hanno provato oggi una Sinfonia di Franz Schubert. Perché non eri qui? Io ero al colmo della felicità e non desideravo più altro che di averti in moglie e poter scrivere Sinfonie come questa.

Clara appare quattro giorni dopo. La sua presenza esercita su Robert un'azione estremamente calmante. Ripete alla fidanzata la soddisfazione che gli ha procurato la Sinfonia di Schubert, poi si reca fiducioso alla terza udienza di conciliazione. Wieck è presente; ogni accomodamento appare subito impossibile. Il tribunale, constatato il fatto, rinvia le parti, non senza aver lasciato intravvedere a Clara e a Robert un risultato favorevole come contropartita alle violenze cui il Vecchio si è lasciato andare innanzi ai giudici.
I due giovani, inebriati di speranza, si dirigono a Berlino, per festeggiarvi il Natale.
Non appena Robert torna a Lipsia, ecco apprende che Wieck lo accusa di ubriachezza e che la Corte si riserva la sentenza, fintanto che non sia fatta luce intorno a questa imputazione. Tutta la neve della notte di Natale si trasforma in fango. Una viscida tristezza s'impadronisce di Schumann e paralizza la sua volontà. Egli non è alcolizzato e gli è facile provarlo. Ciò nonostante, tanto livore lo uccide.
Mendelssohn offre di testimoniare per lui. Schumann vuole una testimonianza ancora più alta, una prova ancor più sfolgorante della sua onorabilità. Dopo matura riflessione, il 31 gennaio 1840 scrive al dottor Keferstein:

Mi permetta di chiederle se è difficile addottorarsi a Jena. La mia attività quale redattore di un giornale che esiste ormai da sette anni, la mia posizione quale compositore e il modo retto e coraggioso con cui cerco di raggiungere il mio scopo, tutto ciò non potrebbe giovarmi per ottenere tale titolo?

Se riuscirà, potrà opporre la sua distinzione alle calunnie del Vecchio e mettersi su un piano di uguaglianza nei confronti di Clara, concertista da camera dell'Imperatore.
Per quanto grande sia il suo disgusto, Schumann non può restar passivo eternamente sotto l'affronto. Forte del grido di Goethe: "Che cosa esige l'onore? Che ci si difenda", lotterà finché Wieck abbandonerà il campo.

***

A parte il lavoro creativo, il 1839 si aprì sotto buoni auspici: con una visita al fratello di Schubert, Schumann scoprì molti manoscritti del maestro, compreso quello della Sinfonia in Do maggiore "la Grande". Ma le speranze viennesi di Schumann andarono deluse una a una; si rese conto che era impossibile pubblicarvi la «Neue Zeitschrift» e il 30 marzo ebbe la notizia di una grave malattia del fratello Eduard. Tornò in tutta fretta a Lipsia e, dopo la morte del fratello, avvenuta il 6 aprile, si trovò a dover affrontare una crisi finanziaria negli affari di famiglia; per un momento prese persino in considerazione la possibilità di abbandonare temporaneamente la carriera compositiva per assumere la direzione dell'azienda familiare di editoria e vendita di libri. Aveva appena appreso che ciò non era necessario, quando fu messo in allarme dall'atteggiamento di Clara, che in gennaio era stata mandata a Parigi e ora riprendeva a insistere sulla sicurezza economica come condizione preliminare al matrimonio. L'armonia tra gli innamorati si ristabilì verso la metà di maggio e, dopo un altro tentativo di Wieck di far rompere il fidanzamento, il 15 giugno Clara firmò la dichiarazione formale che doveva condurre al procedimento legale per eliminare il necessario consenso del padre. Il 30 giugno Schumann mise il caso nelle mani di un legale; il 15 o il 16 luglio la causa fu portata dinanzi alla corte che ordinò il 19 un tentativo di arbitrato. In questo periodo Schumann considerò la possibilità di un matrimonio a Parigi e, alla fine di luglio, si recò a Berlino per avere l'appoggio della madre di Clara, ora sposata ad Adolf Bargiel.
Il procedimento legale obbligò Clara a fare ritorno da Parigi. Schumann la incontrò ad Altenburg il 19 agosto e trascorsero insieme qualche giorno felice a Schneeberg, con i parenti di lui; Clara ne passò ancora qualche altro da sola a Zwickau e il 30 lo raggiunse a Lipsia, dove fu ospite di Friese. La madre arrivò il giorno successivo e, secondo l'ordinanza della corte, l'arcidiacono Fischer fece due tentativi di mettere in atto un arbitrato; la prima volta però Wieck non si presentò e la seconda giunse in ritardo. Il 3 settembre la madre condusse Clara con sé a Berlino. Schumann la raggiunse dieci giorni dopo e il 17, in seguito a un nuovo approccio da parte di Wieck, la riportò a Lipsia, dove fu ospitata dai parenti della madre. I colloqui di Clara col padre risultarono inutili, avendo egli imposto, come clausola per il suo consenso al matrimonio, condizioni finanziarie impossibili: da un lato che Clara rinunciasse in suo favore a tutti i guadagni degli ultimi sette anni, dall'altro l'assegnazione legale a Clara di due terzi del patrimonio di Schumann. Il 2 ottobre il caso giunse dinanzi alla corte d'appello, ma Wieck non si presentò, giustificandosi col fatto che la precedente ingiunzione di arbitrato non era ancora stata eseguita! Risultato di questa manovra fu un ulteriore rinvio alla metà di dicembre, e il giorno seguente Clara fece ritorno a Berlino.
Fu questo per i fidanzati il periodo più penoso; le calunnie e le provocazioni di Wieck -dirette ora anche contro Clara, oltre che contro Schumann - giunsero di nuovo al culmine. La salute psichica di Schumann cominciò a risentirne in settembre e le cose peggiorarono nei due mesi successivi; la morte della vecchia amica Henriette Voigt,

avvenuta il 15 ottobre, fu causa di nuova depressione. Se è vero che in una lettera a Clara parla di «circa cinquanta nuove composizioni iniziate», sono però molto più numerosi gli accenni a «una totale mancanza di idee» e a un'«incapacità di continuare a comporre». In effetti, la seconda metà del 1839 fu quasi completamente improduttiva, quanto a lavoro creativo. In giugno Schumann aveva iniziato due quartetti per archi, e un terzo il 23 luglio, ma non vi fu alcun seguito; la piccola Fughette in Sol minore op. 32 n. 4 risale allo stesso periodo. In ottobre confessò a Clara che aveva passato «otto giorni rimasticando un insulso preludio e fuga», condensato poi nel Präludium op. 99 n. 10. Solo l'imminenza del ritorno di Clara per la prossima udienza della corte sembrò produrre una nuova esplosione di attività, di cui il frutto principale fu la serie delle tre Romanze op. 28.
Il 18 dicembre le parti comparvero di fronte alla corte d'appello e Wieck perse il controllo, tanto che fu fatto tacere dal presidente. La corte si riservò il giudizio fino al 4 gennaio e durante l'attesa i fidanzati trascorsero il Natale insieme a Berlino.
[ABRAHAM]

***

15 gennaio 1839

Mia amatissima fanciulla,
non è possibile che ti descriva come la tua lettera mi ha sollevato lo spirito! Che cosa sono io in paragone a te? Quando lasciai Lipsia, credetti d'aver eseguito un'azione eroica! E tu, mia fanciulla, una tenera bimba, te ne vai sola per me nel vasto mondo pieno di pericoli. Ciò che hai fatto questa volta è il più grande atto che tu abbia compiuto per amor mio. Da allora sembra anche a me che non ci possano essere per noi altri ostacoli. Mi sento rinvigorito in ogni fibra. La tua fiducia, la tua indipendenza verranno un giorno ricompensate. Tu sei una fanciulla straordinaria e meriti il più profondo rispetto. La notte, quando mi risveglio ed odo il vento e la pioggia battere sulla mia finestra, penso a te, chiusa nella diligenza, senz'altra compagnia che la tua arte, così totalmente sola e tutt'al più circondata da soavi pensieri per l'avvenire. Allora mi sento debole e commosso, e non so come ho meritato tanto amore! Io stesso come ti dissi - sono da allora totalmente mutato. Tutti se ne devono accorgere. Ah! Come solleva il morale d'un uomo la vista di tanta forza nella fanciulla amata!
Negli ultimi giorni ho prodotto tanto, quanto prima non facevo in settimane intere! Come nell'agosto 1837, quando ci siamo legati l'uno all'altra, la musica fluisce e tutto ciò che intraprendo mi riesce. Sei tu, mia Clara, che m'hai comunicato tanta forza, ed è così che una fanciulla eroica può trasformare il suo amato in un eroe... Ah, se mi fosse dato di seguirti sempre, invisibile (o anche visibile), vorrei, come un buon genio, custodirti sotto le mie ali, perchè nessun dolore potesse toccarti. Ah, Clara, come si ama diversamente quando si deve, l'uno per l'altra, lavorare e sacrificarsi...

A Clara
Lipsia, 10 aprile 1839

Mia amata fidanzata,
il nostro buon Edoardo è morto [87]! Sabato, verso le due e mezzo del mattino, mentr'ero in viaggio, udii perfettamente un suono di trombe. Per l'appunto in quel momento egli è morto. Io non so proprio cosa dirti, cosa pensare, e sono tutto intontito da tanti strapazzi. Mi rallegravo talmente al pensiero di rivedere qui i miei fratelli, Teresa e i miei amici! Ed ora tutto è tristezza, e mi chiedo con terrore che cosa ancora mi riserva la sorte. Non ci voglio neppur pensare! Forse, attraverso tante prove, essa mi condurrà alla felicità e farà di me un uomo indipendente.
Edoardo era il solo ch'io ancora potessi considerare come un protettore. Egli manteneva così fedelmente le sue promesse! Noi non abbiamo mai scambiato una parola amara. Le sue ultime frasi, quando presi congedo da lui, furono: «Tutto ti andrà bene; tu sei fin troppo buono!» Lessi allora nei suoi occhi come un presentimento di morte. Egli non mi aveva mai rivolto un addio così tenero. Mi sorprese pure che fosse venuto senza alcuna necessità a Lipsia. Il Cielo voleva certamente che ti vedesse una volta al mio braccio! Ti ricordi quel giorno, alla passeggiata? E quando gli dissi: «Ebbene, Edoardo, come ti sembriamo?» - vidi quant'era fiero del tuo amore per me e del fatto che avresti portato il nome della nostra famiglia.
Tante cose dolorose mi vengono in mente, ma ho la bella coscienza d'aver sempre agito fedelmente e fraternamente verso di lui, com'egli fece verso di me.
Non c'è nulla che valga quanto due fratelli uniti, ed ora ho perduto anche questo. Ma non per ciò mi lascerò accasciare.

A Clara 18 maggio 1839

Fuori piove e il vento mugghia; ma nel mio interno splende il più bel sole. Vorrei abbracciare il mondo intero. Cara Claretta, vorrei averti vicina, vorrei che tu potessi vedere entro il mio cuore! È vero che pochi giorni fa desideravo sparire dal mondo nel modo più celere [88]; ma prima attesi le lettere. Esse mi rammentarono assai una fanciulla che credo d'aver amato una volta. Mi sembrò pure ch'ella mi amasse ancora, che non m'avesse mai amato più profondamente e fedelmente, quantunque il suo carattere fosse impetuoso e in pari tempo sommamente buono. In breve, cominciai di nuovo a stringere amicizia con qualcuno: prima di tutto con la fanciulla stessa, che presi ad accarezzare sulla fronte e sulle guance soavi; poi anche coil me, poichè ero adirato contro me stesso di dover essere così cattivo. Ebbi anche dei pensieri secondari... Pensai alle Pentecoste future: mi vidi quale padre di famiglia e prima quale fidanzato, e meditai su varie cose...
Così è giunta la giornata d'oggi, il giorno di Pentecoste, in cui ho sempre in mente la colomba col ramoscello d'ulivo, la bella festa della primavera e della pace. Perciò lasciati baciare, mia eterna amata. Che io ti abbia! Che io ti sappia di nuovo sicura e decisa! Che non ti debba più parlare così duramente come nella mia ultima lettera! Potevi tu attenderti una risposta diversa? Intérrogati, mettili al mio posto. Soprattutto la tua seconda lettera m'ha ferito. Se la leggerai un'altra volta più tardi. non ti capaciterai d'averla scritta.
Inoltre tutto capitò assieme. Tuo padre s'era di nuovo dichiarato contro di me, nel più provocante dei modi...
Dai miei amici, da Teresa, che è stata qui alcuni giorni, da tutti senza eccezione ho dovuto sentirne tante, che la mia suscettibilità ne fu terribilmente ferita. Tutti mi dissero che venivo sempre trattato indegnamente in questa faccenda, e che è impossibile che tu m'ami profondamente se sopporti tutto ciò. E inoltre mi giunse la tua seconda lettera, così mortalmente fredda, così malcontenta, così restia. La mia lettera ad Emilia [88a] ne fu la conseguenza. Non potevo fare diversamente, dovevo mostrarmi così, quantunque lo facessi con cuore annientato. Trascorsi giornate spaventose. Tali agitazioni dello spirito mi penetrano attraverso tutto il corpo, sino alla più intima fibra... Quando si tratta di te, tutte le mie energie vitali sono raddoppiate, mi sento scosso sino al midollo. Non è perciò naturale che abbia scritto e agito in modo da addolorarti? Che questo ti sia un ammonimento, mia cara Clara; cerca di trattarmi in futuro con ogni riguardo. Molto dipende dalla forma con cui ci esprimiamo. Avresti potuto dirmi le stesse cose, scegliendo le parole con maggior calma e riflessione. Ma tu lo facesti nella massima agitazione, all'improvviso, senza che io lo sospettassi menomamente, in modo così breve e deciso, ehe ho dubitato dei tuoi sentimenti ed ho temuto che fossero mutati. Aprii la tua lettera tremando, la lessi via via, e fu come se una dopo l'altra le porte del paradiso si spalancassero davanti a me. Eri di nuovo mia... Ah, mia cara Clara, è dunque vero che vuoi raggiungermi la prossima primavera e divenire la mia amata consorte?
Ma non ti verranno più in mente paure per il nostro avvenire, non è vero? Promettimi che non ti creerai più inutili preoccupazioni, che avrai fiducia in me e mi ubbidirai. Le donne devono sottostare agli uomini.
E voi due, mie care fanciulle, vorrete perdonarmi se vi ho sgridate un po' aspramente? Oh, se potessi essere ora tra voi... festeggeremmo un giorno di gioia e di pace, e pioverebbero baci. Ma non siate adirate se vi ho mostrato che sono il padrone in casa e non tollero certe cose. Mi si può attaccare al carro come un fanciullo, ma non mi lascio assolutamente battere...
Ascolta, Claretta mia, non è possibile che ci atteniamo al nostro progetto di scrivere a tuo padre appena a Natale. Dobbiamo farlo prima. Ti accludo perciò due lettere, una per tuo padre che gli invio alcuni giorni prima del tuo compleanno, e l'altra per la Corte d'appello. Se egli ricusa il consenso, la spediremo subito al giudice, ancora durante il suo soggiorno qui...
Non è possibile agire diversamente per arrivare ad una soluzione. Non te lo ripeterò, mia cara Clara, mai abbastanza...
Ancora una cosa, Clara mia, affinchè tu sia completamente in chiaro sul mio carattere. Mi chiedi talvolta se saprei sopportare preoccupazioni per il pane quotidiano. Non abbiamo da temerne; ma anche se ciò accadesse e avessimo la metà di quanto possediamo, non ne sarei turbato. Sarei turbato soltanto se avessi debiti e non potessi pagarli; altrimenti no. Sono troppo poeta per ciò, ma vedrai lo stesso che non sono sventato. T'ho già dato prova di quanto sono esatto in tutto per te ....

A Federico Wieck

Ancora una volta mi presento a Lei, in unione a Clara, per pregarLa d'accordarci il Suo consenso alle nostre nozze, che vorremmo celebrare la Pasqua ventura. Sono trascorsi due anni dalla mia prima domanda. Lei dubitava che saremmo rimasti reciprocamente fedeli. Lo siamo rimasti; nulla potrà far vacillare la nostra fede nella nostra felicità futura.
Ciò che Le scrissi sulle mie condizioni economiche era fedelmente esatto; e adesso esse sono ancora migliorate e consolidate. Possiamo affrontare fiduciosi l'avvenire. Ascolti la voce della natura; non ci costringa ad un passo estremo. Tra pochi giorni Clara compirà vent'anni. Faccia che quel compleanno sia un giorno di pace. Ci dica di sì. Abbiamo bisogno di requie dopo tante terribili lotte. Lo deve a sè stesso, a Clara e a me. Attendo con ansia una Sua decisa risposta.
Mi creda il Suo pur sempre affezionato e fiducioso

R. Schumann

A Clara

Cara Clara! La lettera è fredda; sembra una massa di ghiaccio rivestita di buone parole. Non posso far diversamente. Scrivimi la tua opinione su di essa. La seguente è dovuta quasi per intero a Hermann [89]:

Alla Corte d'Appello.
Noi sottoscritti nutriamo da lunghi anni il comune e profondo desiderio di unirci in matrimonio. Ma per il momento, all'attuazione della nostra decisione s'oppone un ostacolo, che dobbiamo rimuovere per raggiungere la nostra meta, quantunque il dover agire in questo modo ci riempia di dolore. Il padre della sottoscritta Clara Wieck rifiuta il suo consenso, malgrado le ripetute preghiere amichevoli che gli abbiamo rivolte. Non sappiamo spiegarci le ragioni del suo diniego. Non siamo consci d'avere alcun torto; le nostre condizioni finanziarie sono tali, da permetterci di affrontare senza preoccupazioni l'avvenire. Ciò che trattiene il signor Wieck dal dare il consenso a quest'unione, è forse unicamente un sentimento personale d'astio contro il sottoscritto, il quale, da parte sua, crede d'aver adempiuto a tutti i suoi doveri verso il padre della sua prescelta futura compagna. Comunque sia, noi non siamo disposti per questo a rinunciare alla nostra ben ponderata decisione, e ci rivolgiamo perciò alla Spett. Corte con la seguente preghiera: Voglia la Spett. Corte indurre il signor Wieck a conferire il suo paterno consenso al nostro matrimonio, oppure, secondo le circostanze, Essa ci conceda, invece di quello, il Suo permesso.
Soltanto la convinzione dell'inevitabile necessità di questo passo ci induce a perdonarcelo, e noi siamo inoltre animati dalla ferma speranza che anche qui il tempo, come già altre volte, appianerà questo penoso dissidio.

Lipsia, settembre 1839
Roberto Schumann
Clara Wieck, attualmente a Parigi

Per la prima volta, fanciulla mia, devi unire il tuo nome al mio. È quasi dolorosamente bello! Esamina lo scritto in ogni sua parola. Del tuo certificato di battesimo avrai bisogno soltanto per le nozze. Cara Claretta, è pure una gran bella cosa che tu sia a questo mondo! Salutami Emilia e Enrichetta; che mi vogliano tanto bene quanto io a loro. Enrichetta dovrebbe sussurrarti spesso le sue belle, forti parole: «Velocemente verso la meta!»
Ma fra breve sarà deciso. Confido di nuovo in te. Scrivi presto, amor mio.

A Clara
Lipsia, 3 giugno 1839

Mia buona e cara fidanzata,
riceverai questa lettera il giorno del mio ventinovesimo compleanno. Possa essa trovarti fiorente di corpo e d'anima, e farti apparire la mia immagine più vicina che mai... Possiamo guardare in faccia l'anno trascorso senza farci rimproveri. Ci siamo mantenuti fedeli l'uno all'altra, abbiamo camminato ininterrottamente verso la nostra meta. Il peggio, io credo, è superato; ma anche vicino al porto bisogna essere prudenti. Il destino ha voluto che noi guadagnassimo palmo a palmo, lottando, la vittoria. Quando, però, saremo innanzi all'altare, allora, credimi, il nostro «sì» verrà pronunciato con tanta convinzione, con tanta sicura fede in un avvenire felice, quanto nessun altro mai. Che cosa vorrei sino allora? Diventare sempre più degno di te. Non riteiierlo un modo di dire. In faccia all'orgoglio che si basa sul nulla, io sono superbo; ma in faccia alla modestia quale l'hai tu, io confesso volentieri le mie debolezze e cerco di migliorarmi. Negli anni futuri ti cruccerai qualche volta per causa mia; mi manca ancora parecchio per essere un vero uomo; sono troppo inquieto, spesso troppo bambinesco, troppo debole. Mi perdo anche sovente dietro a ciò che mi procura piacere, senza riguardo agli altri. In breve, anch'io ho le mie cattive giornate, in cui non c'è da ricavare nulla da me. La pazienza e l'amore che m'hai dimostrato tante volte, mi formeranno sempre più. Soltanto l'averti sempre vicina deve nobilitare. Ma queste non sono che parole. Una cosa è sicura: che ci amiamo di tutto cuore. Immagino che nel tuo petto dimora un grande, generoso amore, e tu potrai render a lungo felice tuo marito. Sei una meravigliosa creatura, Clara. Nel tuo essere sono riunite una quantità di bellissime e varie qualità, e non so dove tu le abbia trovate nella tua breve esistenza, e soprattutto nell'ambiente dove ti sei sviluppata. Una cosa so, e cioè che con le mie timide manifestazioni ho fatto sin dapprincipio un'impressione su di te, e suppongo che saresti diventata un'altra ragazza se non m'avessi mai veduto e conosciuto. Lasciami questa credenza che mi rende felice. Io t'ho insegnato l'amore e tuo padre l'odio (intendo in senso buono, poichè bisogna anche saper odiare) e t'ho educata ad essere una fidanzata quale il mio sogno l'ideava. Sei stata un'alunna piena di talento e, per ricompensa dell'insegnamento, m'hai detto: «Ora prendi anche me!»...

A Clara
22 giugno 1839

Se in questa stagione in cui fioriscono le rose e le acace, un uomo ha, per di più, una fidanzata nel pieno splendore dell'amore, allora egli si sente addirittura troppo felice di tanta fortuna e quasi schiacciato da tutta questa fioritura. Tale è il mio caso.
Mia cara, ora credo davvero che tu m'ami profondamente. Oh, se avessi potuto vederti mentre firmavi. Dovevi esser come la Devrient in Fidelio, credo. Tremavi in tutto il tuo essere; soltanto la mano che teneva la penna era ferma e non tremava. Non è vero? Lasciati stringere strettamente al mio cuore, tu, mia adorata, tu, mio tutto, tu, che hai fatto per me tante cose ehe non ti potrò mai ricambiare. Bacio la tua fronte ed i tuoi occhi, mia bambina, e che tutto possa sempre arriderti sulla terra!
Il mio animo è divenuto così lieto e sereno, che per il momento ho scordato tutte le pene e tutti i dolori che abbiamo dovuto superare. Pochi hanno fatto una scuola dura come la nostra, e le prove che abbiamo subito ci hanno fatto conoscere noi stessi. Sei tu altrettanto soddisfatta di me, come io di te?... Vorrei poter dire ancora una volta al mondo ciò che tu sei, affinchè esso ti conosca! Sì, Clara mia, credo talvolta che si potrebbero trovare forse altre artiste come te, ma ben poche fanciulle dall'animo così profondo, forte...
Ora hai apertamente dichiarato che sei la mia fidanzata, hai salvato il mio onore, ed io te ne ringrazio mille volte. Vorrei porre una corona sul tuo capo, e non posso fare altro che cadere ai tuoi piedi e guardarti con occhi riconoscenti. Venero in te l'animo più nobile che esista al mondo, e se non fossi così legato a te, potrei dire ben altro ancora sui tuo conto! Lascia che una stretta di mano ti esprima il mio amore e ti ringrazi per la tua fedele perseveranza, la tua assoluta fiducia il più bel regalo che possa offrire l'amore! Con infinito, eterno amore, il tuo devoto
Roberto

A Clara
Lipsia, 22 giugno 1839

Ah, come vorrei che tu mi udissi suonare i tuoi «Idilli»! Li eseguisco in un movimento lento, che li trasforma. Ma non conservare le quinte del principio: esse posson venir tollerate soltanto quando la musica che le segue è meravigliosa, come nella IX sinfonia di Beethoven...
Ora non riesco a comporre. Ho cominciati due quartetti e, a te posso dirlo, essi valgono quanto quelli di Haydn; soltanto per terminarli avrei bisogno di tempo e di riposo - e non avrò tanto presto nè l'uno nè l'altro. Ma ho te, e tu udrai spesso qualche cosa di nuovo di mia composizione. So che mi spingerai al lavoro; sarò così felice di udirti suonare le nile opere! Pubblicheremo pure parecchie cose sotto i nostri due nomi riuniti. I posteri penseranno che non avevamo che un solo cuore e una sola anima, e non distingueranno le creazioni mie dalle tue!... Ah, quanto sono felice!...

All'avvocato Einert (Lipsia)
Lipsia, 30 giugno 1839

Il sottoscritto desidera parlare possibilmente oggi stesso con la S. V. I. per un affare della più grande importanza. Siccome però non saprei forse spiegarmi a voce così chiaramente e tranquillamente, mi permetto di esporre in precedenza per iscritto quanto segue, attenendomi alla più stretta verità. Nel settembre 1837, chiesi al signor Federico Wieck, negoziante d'istrumenti musicali in questa città, la mano di sua figlia, la signorina Clara Wieck, alla quale ero legato da lunga conoscenza e una reciproca promessa di matrimonio. Il padre non ci rispose nè sì nè no, ma mi inviò, alla metà d'ottobre dello stesso anno, una cortese lettera in cui si pronunciava sfavorevolmente su quest'unione e ne dava quale motivo le limitate risorse finanziarie di sua figlia e mie. Su quest'ultime, io gli stesi per iscritto una fedele esposizione, secondo la quale le mie entrate annue ammontavauo a circa 1300 talleri.
Il signor Wieck e sua figlia partirono nell'inverno seguente per Vienna, da dove Clara mi scrisse nella primavera del 1838 che suo padre aveva infine dato il consenso, ma sotto alcune condizioni. Quando, poco tempo dopo, entrambi ritornarono a Lipsia, il signor Wieck venne a trovarmi a casa mia, senza però menzionare la questione. Questo comportamento m'offese, e da allora lo evitai ove potei. Provocato da ciò, egli cominciò ben presto ad esprimersi ostilmente contro la nostra progettata unione, ed a cercare di diminuire in tutti i modi il mio prestigio presso sua figlia e altre persone. Per portare un mutamento a questa triste situazione, mi recai in settembre a Vienna; in parte perchè, allontanandomi da qui, credevo di calmare il signor Wieck, in parte perchè pensavo di creare a Vienna una nuova esistenza per Clara e per me. Da Vienna, dove potei fare poche cose utili e corrispondenti alle mie aspirazioni ed ai miei intenti, ritornai qui nell'aprile di quest'anno. Nel frattempo Clara non aveva cessato di cercar di convincere suo padre a dare il consenso, ma senza alcun resultato; anzi il suo comportamento ostile aumento a tal punto, ch'egli cominciò a calunniarmi nel modo più sfrontato. Colpita da questo inumano e crudele atteggiamento quasi sino ad aminalarsene, prima del mio ritorno a Lipsia, Clara intraprese un viaggio senza suo padre, ma ad ogni modo non senza il suo consenso. In questo momento ella è a Parigi. Cominciavamo a comprendere che con le buone non avremmo ottenuto nulla dal signor W. e pensavamo di fare dei passi più seri, quando, con nostra sorpresa, egli inviò per iscritto qualche settimana fa a Clara il suo consenso, sottoponendolo, però, ad alcune condizioni. Lei, egregio Signore, non deve venir indotto da esse a pensare male di me. Le condizioni erano: 1) noi non dovremmo abitare in Sassonia finche egli vive; ma ciò nonostante io dovrei guadagnare altrove tanto quanto mi frutta un giornale musicale che dirigo qui; 2) egli vorrebbe trattenere la sostanza di Clara, darcene il 4% d'interesse e sborsarla appena tra cinque anni; 3) io dovrei confermargli giudizialmente e rimettere ad un avvocato da lui scelto il calcolo delle mie entrate, quale gli ho esposto nel settembre 1837; 4) io non dovrei cercare d'avere alcun colloquio nè alcun rapporto epistolare con lui, sino a che egli non lo desidera; 5) Clara non dovrebbe avanzar mai alcuna pretesa di ereditare qualche cosa da lui dopo la sua morte; 6) noi dovremmo sposarci già a S. Michele.
A queste condizioni (eccettuata l'ultima) non potevamo sottostare e perciò ci siamo decisi a impugnare la legge contro di lui.
Per non lasciar nulla d'intentato, mi piegai alla preghiera di Clara di scrivergli ancora una volta in tono conciliativo, al che egli mi fece rispondere da sua moglie che non voleva avere alcun rapporto con me.
Infine ieri giunse da Parigi una procura scritta nelle dovute forme, firmata da Clara e già vidimata dalla legazione sassone. Mi permetterò di sottoporla alla S. V. I. con la preghiera di voler assistere con le migliori forze questa fidanzata così fedele.
Noi desidereremmo di terminare la faccenda al più presto possibile in via amichevole, se Ella ce lo consiglia e spera di raggiungere qualche cosa da un colloquio col signor Wieck; o altrimenti a mezzo di una petizione alla Corte d'appello, che non può rifiutarci il suo consenso, poichè le nostre rendite sono assicurate sufficientemente.
Su tutto ciò Le parlerò a voce. Abbia la bontà di farmi sapere a mezzo del latore della presente, a che ora Le potrò parlare ancor oggi. Ella ha, egregio Signore, da raggiungere un nobile scopo, e cioè riunire due persone separate da due lunghi anni. i prenda a cuore il caso nostro. Nutriamo fiducia in Lei, e non abbiamo bisogno di pregarLa di serbare su tutto ciò il più rigoroso silenzio.
Con la preghiera d'un amichevole interessamento e con perfetta stima, Le invio gli ossequi della mia fidanzata ed i miei.

Suo dev.mo Roberto Schumann
Redattore del Nuovo Giornale Musicale

A Clara Lipsia,
3 luglio 1839

I tuoi «Idilli» non mi sono piaciuti?! Tuttavia me li suono abbastanza spesso. Trovi motivi così dolci, e sai essere anche appassionata, eh? Voialtre ragazze innamorate, vi fermate talvolta a mezza strada, trattenute dall'abbondanza dei vostri pensieri e delle vostre speranze! Mandami pure la romanza; hai capito, Clara Wieck?

All'avvocato Einert
3 luglio 1839

Voglia la S. V. I. perdonarmi se mi rivolgo di nuovo a Lei. Ma è in giuoco l'onore e tutta la felicità di due persone, che se la meritano per ciò che hanno offerto. Vorrei perciò parlare con Lei dell'argomento in tutti i più minuti dettagli. Stabilisca, quindi, per favore, un'ora, che sia disposto a regalarmi. Se prevale ancora in Lei il minimo dubbio sulla nostra riuscita, La prego di non nascondermelo. Clara si dispererebbe se non si ottenesse nulla in questo modo, e che cosa dovrei dirLe di me? Inoltre se Ella dubitasse, cercheremmo un'altra via per raggiungere lo scopo; via, che io però non vedo chiaramente. Ma se Ella è sicuro del successo, mi tranquillizzi e s'occupi della questione con quell'interesse che la straordinaria fanciulla ben si merita.
Le posso all'incirca predire i motivi che il signor Wieck addurrà contro di me. Forse egli accennerà ad una mia antica relazione con una fanciulla, che visse tempo fa in casa sua, che mi amò e alla quale io pure m'affezionai. Contro una mia unione con lei si eressero difficoltà ch'io non riuscii ad eliminare, tanto che già nel gennaio del 1836 ci rendemmo reciprocamente la libertà. Del resto ora essa è già sposata. Ciò, dunque, non ha nessun rapporto con la relazione che mi lega ora a Clara. In quanto a ciò che forse il signor Wieck Le dirà contro di me in riguardo alla mia vita privata, mi creda ch'egli è diffamatore e maligno.
L'unica cosa che mi posso rimproverare sono alcune allegre notti di baldoria, che trascorsi prima di conoscere Clara. Forse Ella mi potrà conoscere ancora più a fondo. Non saprei quale altra obiezione potrebbe muovermi la parte avversaria. Si tratta, dunque, principalmente delle condizioni finanziarie, di cui ho rimesso in mani Sue i documenti, e a proposito delle quali osserverò ancora soltanto che non ho nessun debito, eccetto, forse, quei piccoli conti domestici, che si pagano alla fine del mese, e che potrò regolare con venti talleri.
Ciò che dispone così ostilmente il signor Wieck, mi creda, è il fallimento di alcune speculazioni, specialmente finanziarie, che gli sfuggono causa questo matrimonio. Certamente egli richiederà anche una somma di risarcimento per le lezioni di piano impartite a sua figlia...
Ella non può credere, egregio Signore, quanto tutto ciò mi addolori; ma spero che vorrà benevolmente scusare le ripetute noie.
Il mio messo attenderà ch'Ella gli dica quand'è che posso trovarLa per una mezz'ora in casa.
Conceda la Sua simpatia al Suo devoto

Roberto Schumann

A Clara Lipsia,
10 luglio 1839

Dalla tua «Romanza» ho appreso qualche cosa di nuovo: che noi saremo marito e moglie! Ognuno dei tuoi pensieri esce dalla mia anima, e sei tu che ispiri tutta la mia musica! Non devi aggiungere nulla alla «Romanza» ; lasciala com'è...

A Clara
Berlino,
30 luglio 1839,
martedì

Mia carissima Clara,
da qui, ove tutto mi parla di te così vivamente, voglio mandarti un saluto di cuore, nel tuo solitario villaggetto. Ti ritrovo talmente guardando tua madre! [90] Amo infinitamente i suoi occhi, che sono i tuoi; e non posso separarmi da lei. Ieri ho trascorso quasi tutta la giornata con lei, e l'ho anche baciata augurandole la buona notte. Ciò mi ha reso profondamente felice. Non abbiamo parlato che di te... Ella m'accolse bene e cordialmente; sembra che le vada a genio. Ah, se tu fossi stata ieri sera con noi, quando passeggiavamo nel «Tiergarten», ed io pensavo con tanta tristezza alla mia fanciulla lontana e sola e ignara che sua madre e il suo fidanzato, riuniti, parlavano di lei. Tua madre ti scriverà pure oggi stesso...
Tu temi che tuo padre ti sequestri; ma, Claretta, mia fanciulla, non hai tu, dunque, due braccia per difenderti? Anzitutto, io non credo che lo farà; ed in secondo luogo, s'egli volesse tenerti a casa sua, non hai che da dire semplicemente: «Non voglio; voglio andare da mia madre!» A ciò egli non potrebbe farti nessuna opposizione.
Ho preso con me il tuo ritratto, come t'ho già scritto.
Avrei voluto che tu vedessi tua madre, quando gliel'ho mostrato! Subito le sgorgarono le lagrime dagli occhi, ed era fuori di sè... Quando i figli di Bargiel lo videro, esclamarono: «Quest'è Clara!
Fu per me una gioia profonda...

A Clara Lipsia,
11 dicembre 1839

Clara, sono stato felice. Alla prova hanno suonato una Sinfonia di Schubert. Ah! Se tu fossi stata con me! Non è possibile fartene una descrizione! Ci sono voci umane, tutti gli strumenti, e l'insieme è superlativamente geniale. E quell'istrunientazione, malgrado Beethoven... E quella lunghezza. quella celestiale lunghezza, come un romanzo in quattro volumi. Più lunga della Nona Sinfonia!
Ero al colmo della felicità, e non desideravo nulla, fuorchè d'averti in moglie e di saper io pure comporre simili sinfonie...

La musica per pianoforte forma un’importante sezione nella storia moderna della musica; in essa si è mostrata per la prima volta l’aurora d’un nuovo genio musicale. I più importanti ingegni del presente sono pianisti; osservazione che si è fatta anche in epoche più antiche. Bach ed Haendel, Mozart e Beethoven s’educarono al pianoforte e, similmente agli scultori che da principio modellano le loro statue in piccolo ed in materia più morbida, fecero spesso al pianoforte dei bozzetti di ciò che poi elaborarono in grande colla massa orchestrale. Lo strumento stesso si è poi perfezionato ad un alto grado. Con il progresso della tecnica pianistica, e per il più ardito slancio che la composizione prese con Beethoven, lo strumento crebbe di diffusione e d’importanza: e se si arriverà (come io credo) ad aggiungergli l’uso d’un pedale come nell’organo, s’apriranno al compositore nuove vedute, e, liberandosi poi dall’appoggio dell’orchestra, potrà muoversi ancor più riccamente, più armoniosamente e più liberamente. Noi vediamo questa separazione del pianoforte dall’orchestra, preparata da molto tempo: il nuovo gioco pianistico, a dispetto dell’effetto sinfonico, vuol dominare solo coi propri mezzi e in ciò si dovrà cercare la ragione del perché negli ultimi anni si siano prodotti così pochi concerti per pianoforte e così poche composizioni originali con accompagnamento... Ciò che una volta era considerato come un arricchimento delle forme strumentali e come un’importante creazione, oggi si respinge senz’altro. Tanto sono mutati i tempi!
Certamente sarebbe una perdita per l’arte, se andasse fuor d’uso il concerto per pianoforte e orchestra; d’altra parte non possiamo contraddire i pianisti quando dicono: "Noi non abbiamo bisogno d’altri aiuti, il nostro strumento raggiunge da solo l’effetto più completo". Così dobbiamo aspettare di buon animo il genio che ci mostri in modo brillante come si possa unire l’orchestra al pianoforte, tanto da lasciare al virtuoso la possibilità di sviluppare la ricchezza della sua arte e del suo strumento, mentre l’orchestra, intrecciando più artisticamente l’insieme nei suoi svariati caratteri, avrebbe una parte più importante che quella del semplice “spettatore”. Noi vorremmo giustamente richiedere dai nostri giovani compositori, come risarcimento di quella seria e degna forma del concerto, pezzi “solistici” ugualmente seri e degni, e cioè dei “tempi d’allegro” ben finiti e pieni di carattere che si potessero eventualmente suonare come apertura d’un concerto, e non dei Capricci o delle variazioni. Fino ad allora dovremo ricorrere ancor molto sovente a quelle vecchie composizioni, che sono atte ad aprire degnamente un concerto ed a provare nel modo più sicuro la purezza dell’artista: per esempio, quelle eccellenti di Mozart e di Beethoven; oppure (se in un ambiente più scelto si vuoi mostrare il volto d’un grand’uomo ancor troppo poco apprezzato) quelle di J. Sebastian Bach; o, se si vuole infine far sentire qualcosa di nuovo, quelle in cui l’antica traccia, specialmente di Beethoven, fu seguita felicemente ed amabilmente. Fra queste ultime annoveriamo, fatte le debite riserve, i concerti già da tempo apparsi di F. Moscheles e di Felix Mendelssohn...
Uno speciale ringraziamento noi votiamo ai nuovi compositori di concerti perché essi finalmente non ci annoiano più con trilli e, specialmente, con salti d’ottava, alla fine del pezzo. La vecchia cadenza nella quale i vecchi virtuosi sfoggiavano tutta la bravura possibile, anche ora (fondata su di un’idea molto più solida) si potrebbe utilizzare con fortuna.
Anche lo scherzo, come ci è reso familiare dalla sinfonia e dalla sonata, non potrebbe esser introdotto con effetto nel concerto? Sarebbe una bella lotta con le singole voci dell’orchestra, però la forma dell’intero concerto dovrebbe subire un piccolo cambiamento. Mendelssohn vi potrebbe riuscire meglio d’ogni altro.
Infatti egli è sempre lo stesso, ancora e sempre muove col suo solito passo giocondo; nessuno ha il sorriso sulle labbra più bello del suo. Difficilmente i virtuosi potranno in questo concerto far pompa delle loro prodigiose abilità.
Egli non richiede da loro cose che non abbiano già fatto e suonato centinaia di volte. Spesso difatti li abbiamo uditi lamentarsene. Essi hanno un po’ di ragione: l’occasione di mostrare la bravura mediante la novità e il fulgore dei passaggi non deve rimanere esclusa dal concerto. Ma la musica sta sopra ogni cosa e a chi ce la dona sempre e più ricca spetta di diritto la nostra lode più alta. La musica è l’effusione di un’anima bella; non importa se sgorga davanti a centinaia di persone, o per sé nel silenzio; purché sia sempre l’espressione di un’anima bella. È per questo che le composizioni di Mendelssohn fanno un effetto così irresistibile, quando le suona egli stesso; dell’esecuzione tecnica non vogliamo far caso; le dita hanno soltanto una funzione mediata e potrebbero benissimo stare nascoste; l’orecchio soltanto deve accogliere la musica ed il cuore poi decidere. Io penso spesso che Mozart doveva suonare così. Se dunque a Mendelssohn spetta la lode, ch’egli ci dà sempre da ascoltare della vera musica, non vogliamo però affermare che questa musicalità risulti più leggermente in un’opera che in un’altra.
Così anche questo concerto appartiene alle sue creazioni più leggere. M’inganno di molto, s’egli non l’ha scritto in pochi giorni, forse in poche ore. Avviene come quando si scuote un albero: i frutti maturi e dolci cadono al primo colpo. Si chiederà in che rapporto stia col suo primo concerto. È e non è il medesimo: è lo stesso perché è d’un maestro fatto, non è lo stesso perché è scritto dieci anni più tardi. J. Sebastian Bach appare qua e là nell’armonizzazione. Melodia, forma, strumentazione del resto sono proprietà di Mendelssohn. Ci si rallegri del dono leggero e sereno; quest’opera è simile a quelle che ci davano i nostri vecchi maestri, quando si riposavano delle loro grandi creazioni. Il nostro più giovane compositore non avrà dimenticato come quei vecchi maestri (dopo essersi riposati con un’opera leggera) comparissero poi all’improvviso con qualcosa di poderoso, e il concerto in re minore di Mozart e quello in sol maggiore di Beethoven son per noi la prova di questo.

I ROMANTICI DEL DIAVOLO

Ma dove si nascondono questi romantici del diavolo? Il vecchio buon direttore di musica di Breslavia, Mosevius, si dichiara improvvisamente loro fierissimo nemico; anche la Gazzetta universale di musica li fiuta sempre da lontano. Ma dove si nascondono costoro? Son forse Mendelssohn, Chopin e gli altri? Che cosa hanno da dire contro costoro, quei vecchi signori? Valgon più di loro Vanhal e Pleyel, o Herz e Hunten? Se invece non pensate né a quelli né agli altri, esprimetevi chiaramente. Se voi parlate di un “tormento e dei martiri di questo periodo musicale di transizione”, vi dirò che invece molti chiaroveggenti sono di tutt’altra opinione. Smettetela una buona volta di metter tutti in un fascio e di guardare con sospetto agli sforzi dei nostri giovani musicisti per quello che di biasimevole può apparire nelle composizioni della scuola franco-germanica, cioè in Berlioz, Liszt, ecc. E se questo non vi garba, datevi voi stessi delle opere, voi, cari signori! - Opere! Opere!

FEDERICO CHOPIN
Quattro Mazurke, op. 33.
Tre Valzer, op. 34.
Preludi, op. 28.

Delle nuove composizioni di Chopin, oltre ad un fascicolo di mazurke e di valzer, dobbiamo ricordare una strana raccolta di preludi. Egli si manifesta sempre più luminoso e più facile - è forse l’abitudine alla sua maniera? - Così le mazurke, che ci appaiono più popolari delle precedenti, attireranno subito; i valzer, di ben altra tempra che i soliti, dovranno soprattutto piacere, e sono tali che solo a un Chopin potevano venire in mente; sembra ch’egli, da grande artista, guardi la folla danzante trasportata appunto dal suo gioco pianistico e pensi a tutt’altro che a quello che lì si danza. Una tal vita ondeggiante si muove là dentro, che le mazurke sembrano davvero improvvisate in un salone da ballo. Ho designato i preludi come strani. Confesso che li immaginavo ben diversi, e condotti come i suoi studi, cioè più grandiosamente.
È invece il contrario: sono schizzi, principi di studi o, se si vuole, rovine, penne d’aquila, tutto disposto selvaggiamente e alla rinfusa. Ma in ciascuno dei pezzi sta scritto con delicata miniatura perlacea: “Lo scrisse Chopin”; lo si riconosce dalle pause e dal respiro impetuoso. Egli è e rimane il genio poetico più ardito e più fiero del tempo. Il fascicolo contiene pure qualcosa di ammalato, di febbrile, e di repulsivo; cerchi ciascuno ciò che lo può allietare, e soltanto il filisteo rimanga lontano. Che cos’è un filisteo?

Ein hohler Darm
Von Furcht und Hoffnung ausgefüllt
Dass Gott erbarm!

[“Un intestino vuoto - pieno di timore e di speranza; - che Dio n’abbia pietà!”]

Ma terminiamo più dolcemente col bel distico di Schiller:

Jenes Gesetz, das mit ehernem Stab den Sträuben den lenket,
Dir nicht gilt’s. Was du thust, was dir gefällt, ist Gesetz.

[“Quella legge che con una bacchetta di rame guida chi le resiste, - non vale per te. È tua legge ciò che fai, ciò che ti piace.”]


GRANDE OUVERTURE DE WAVERLEY
Op. 2 di E. Berlioz


Ma eccoci a Berlioz, a questo furioso baccante, al terrore dei Filistei, pei quali vale come un mostro villoso dagli occhi divoranti. Ma dove lo vediamo oggi? Al camino scoppiettante d’una signorile casa scozzese, fra cacciatori, cani e ridenti damigelle di campagna.
Mi sta innanzi un’ouverture per... Waverley, per quel romanzo di W. Scott che nella sua noia graziosa, nella sua freschezza romantica, nella sua impronta schiettamente inglese, m’è ancor sempre il più caro fra tutti i moderni romanzieri stranieri. Per questo dunque Berlioz ha scritto la musica. Si domanderà: per quale capitolo, per quale scena, e infine, per quale scopo? Poiché i critici volentieri vogliono sempre sapere ciò che i compositori stessi non sanno dir loro e per di più spesso non capiscono nemmeno la decima parte di ciò che discutono. Cielo! quando verrà finalmente il tempo in cui non si chiederà più che cosa abbiam voluto significare colle nostre divine composizioni? cercate le quinte e lasciateci in pace! Questa volta, intanto, il motto sul frontespizio dell’ouverture dà qualche schiarimento:

Dreams of love and Lady’s charms
Give place to honour and to arms.

[“I sogni d’amore e i vezzi delle dame
Faccian posto all’onore ed alle armi.”]


Questo ci conduce più vicino alla traccia: soltanto, desidererei che in questo momento un’orchestra intonasse l’ouverture e che tutti i miei lettori sedessero intorno per esaminare coi loro occhi. Mi sarebbe molto facile di descrivere l’ouverture sia in modo pratico attraverso l’impronta delle immagini ch’essa ha eccitato variamente in me, sia mediante l’analisi della struttura dell’opera. Questi due modi di spiegare la musica hanno il loro valore; il primo, se non altro manca di aridità, dove il secondo invece, bene o male, finisce per cadere. In una parola, la musica di Berlioz dev’esser udita; lo sguardo stesso alla partitura è insufficiente: egualmente ci si affaticherebbe invano a farsene un’idea sul pianoforte. Spesso infatti vi sono soltanto effetti di suono e di risonanza, ammassi d’accordi stranamente buttati e che danno il tracollo, spesso strani inviluppi d’accordi che anche un orecchio esercitato non riesce a rappresentarsi chiaramente se non udendoli. Se si va al fon-do d’ogni pensiero particolare essi appaiono, considerati in sè stessi, sovente comuni e persino triviali. Ma l’insieme esercita su di me un fascino irresistibile, nonostante le molte cose inconsuete che offendono un orecchio tedesco. In ciascuna sua opera Berlioz si è mostrato diverso, in ognuna ha tentato un campo diverso; non si sa se debba esser definito un genio o un avventuriero musicale: egli splende come un lampo, ma però lascia dietro di sé una puzza di zolfo; traccia grandi frasi e verità e tosto cade in un balbettamento da scolaro. A chi non abbia oltrepassato i primi inizi della cultura e del sentimento musicale (e i più si trovano in questa condizione), Berlioz deve sembrare addirittura un pazzo, e specialmente ai musicisti di professione che passano i nove decimi della loro vita a suonare le cose più comuni [Spesso ho dovuto constatare che fra i musicisti di mestiere s’incontra la maggior ristrettezza di spirito; d’altra parte non manca loro una certa abilità (Sch.)], apparirà doppiamente pazzo perché egli esige da loro ciò che nessuno aveva richiesto prima di lui. Da ciò la lotta contro le sue composizioni, da ciò il passare degli anni, prima che una di esse si faccia strada fino alla chiarezza d’una esecuzione perfetta. Però l’ouverture per Waverley si farà strada più facilmente. Waverley e la figura dell’eroe sono conosciuti; il motto in particolare parla dei “sogni d’amore a cui la gloria delle armi ha fatto posto”. Che cosa può esserci di più chiaro? C’è da desiderare che l’ouverture venga stampata ed eseguita in Germania; la sua musica potrebbe danneggiare soltanto un ingegno debole, che nemmeno con musica migliore potrebbe essere spinto avanti. Ancora ricorderò che, cosa assai strana, l’ouverture ha qualche lontana rassomiglianza con La calma del mare di Mendelssohn. E nemmeno è da trascurare un’altra osservazione: Berlioz ha designato l’ouverture con “opera 1”, perché egli ha annul-lata la sua opera 1, precedentemente stampata (Otto scene del Faust) e desidera sia invece considerata l’ouverture per Waverley come opera prima. Ma chi ci garantisce che anche la seconda “op. 1” più tardi non gli piaccia più? Ci si affretti dunque a conoscere quest’opera che, nonostante tutte le debolezze della gioventù, per grandezza ed originalità d’invenzione è la più notevole che recentemente ci abbia dato la Francia.

FRANZ LISZT
Studi, op. 1
Grandi Studi, fasc. 1 e 2

…Possiamo partecipare subito al lettore una scoperta, che farà aumentare l’interesse per questi studi. Noi abbiamo citato una raccolta pubblicata da Hofmeister col titolo di “op. 1”, designata come “travail de jeunesse” e un’altra pubblicata da Haslinger sotto il titolo Grandes Etudes. Da un esame più attento risulta che la maggior parte dei pezzi di quest’ultima raccolta non è che un rimaneggiamento di quell’opera giovanile, già da molto (forse vent’anni fa) pubblicata in Lione e scomparsa presto a causa dell’editore poco conosciuto; poi fu nuovamente ricercata dall’editore tedesco e ristampata. Se per ciò la nuova raccolta, pubblicata del resto dallo Haslinger in modo veramente magnifico, non si può dire una vera e propria opera originale, appunto per questa circostanza deve procurare un doppio interesse al pianista di professione che ha l’occasione di confrontarla con la prima edizione. Da questo confronto vien fuori in primo luogo la differenza del modo di suonare il pianoforte di allora e di adesso; nella nuova edizione rileviamo quanto sia aumentata la ricchezza dei mezzi che cerca di superare l’antica in pienezza e splendore, però dobbiamo osservare che la primitiva inge-nuità, anima della prima effusione giovanile, appare quasi completamente soffocata nell’attuale forma dell’opera. Il nuovo lavoro, dandoci poi una misura del modo attuale di sentire e di pensare dell’artista ora più elevato, ci permette di gettare uno sguardo nella sua più segreta vita spirituale, dove spesso rimaniamo indecisi se invidiare il fanciullo o l’uomo che sembra non poter giungere ad alcuna pace.
Sull’attitudine di Liszt alla composizione, i giudizi s’allontanano talmente l’uno dall’altro, che una analisi approfondita dei momenti più importanti in cui s’è manifestato il suo ingegno, non si trova qui fuori di posto. Cosa difficile questa, per la ragione che nelle composizioni di Liszt regna una vera confusione circa la numerazione delle opere, e inoltre la maggior parte di esse non è addirittura numerata, dimodoché si possono far soltanto delle congetture intorno al tempo in cui esse apparvero. Che si tratti di uno spirito inconsueto moventesi in modo molteplice, risulta da tutte le sue opere. La sua vita sta nella sua musica. Allontanatosi presto dalla patria, gettato in mezzo alle eccitazioni d’una grande città, già ammirato come fanciullo e ragazzo, si mostra spesso, anche nelle sue più antiche composizioni, pieno di nostalgia, andante verso la patria tedesca, o frivolo, spumeggiante nei leggeri modi francesi. Per degli studi continui e seri di composizione, sembra non abbia avuto né la tranquillità, né un maestro degno del suo ingegno e perciò, a maggior ragione, studiò come virtuoso, come accade a tutte le vivaci nature musicali che preferiscono il suono rapidamente eloquente all’arido lavoro sulla carta. Se egli come virtuoso è giunto ad un’altezza stupefacente, come compositore è rimasto indietro e così nascerà sempre una sproporzione che s’è chiaramente fatta sentire finanche nelle sue ultime opere. Altri avvenimenti hanno poi incitato diversamente il giovane artista. Dapprima egli voleva trasportare nella musica le idee del Romanticismo letterario francese, fra i cui corifei viveva; ma all’improvviso arrivo di Paganini venne incitato a spingere la tecnica del suo strumento al massimo possibile. Alle volte lo vediamo indifferente sino al blasement, sottilizzare le più tristi fantasie (per esempio nelle sue Apparitions) mentre altre volte si diffonde nei più sfrenati artifici virtuosistici, ironico e temerario sino alla semi-pazzia. Dapprima parve che l’arte di Chopin lo facesse tornare di nuovo in sé. Chopin infatti mantiene nelle sue composizioni una “forma” e le meravigliose figurazioni della sua musica sono sempre attraversate dal roseo filo d’una melodia. Ma ormai era troppo tardi per lo straordinario virtuoso riprendere ciò che aveva trascurato come compositore, e forse, non soddisfatto di sé come tale, cominciò a rifugiarsi presso altri compositori abbellendoli con l’arte sua. Così egli sapeva trasportare da maestro sul suo strumento le opere piene di fuoco di Beethoven e Schubert; oppure, nel desiderio di dare anche qualcosa di proprio, riprendeva le sue vecchie cose per adornarle e circondarle colla pompa della virtuosità nuovamente acquistata. Queste mie osservazioni sono da considerarsi come un tentativo per spiegarci che la carriera intrapresa da Liszt come compositore, non fu né chiara né continua a causa del suo preponderante genio di virtuoso.
Ma io sono ben sicuro che Liszt, data la sua eminente natura musicale, sarebbe divenuto un notevole compositore, se avesse dedicato alla composizione ed a se stesso il medesimo tempo che consacrò allo strumento e agli altri maestri. Ciò che abbiamo ancora da aspettarci da lui, si può soltanto supporre. Per acquistare il favore della sua patria, egli dovrebbe soprattutto ritornare alla chiarezza ed alla semplicità, qualità che si manifestano così gradevolmente nei suoi studi più vecchi; ora mi pare ch’egli dovrebbe proce-dere in modo diverso da quello presente, e cioè alleggerire invece che appesantire. Non dimentichiamo però ch’egli ha voluto darci degli studi e perciò la difficoltà nuovamente complicata della composizione si giustifica con lo scopo che mira precisamente al superamento delle maggiori difficoltà... Voler applicare loro la critica nella guisa consueta per cercare e correggere delle quinte e dei movimenti paralleli, sarebbe una fatica inutile. Composizioni simili, bisogna sentirle: esse sono strappate violentemente allo strumento con la foga delle mani che direttamente devono rendere l’effetto su questo. E anche si deve vedere il compositore, perché se lo spettacolo di qualunque forma di virtuosismo solleva l’ammirazione, tanto più fa effetto quello immediato del compositore quando lotta col suo strumento, quando lo doma e lo fa obbedire in ognuno dei suoi suoni e piegare alla sua volontà. Sono veri studi di tempesta e di orrore, studi per dieci o dodici persone al massimo; virtuosi più deboli alle prese con loro, ecciterebbero soltanto le risa.
Insomma hanno molta affinità con qualcuno degli studi per violino di Paganini, per alcuni dei quali Liszt ha manifestato recentemente l’intenzione di trascrivere per il pianoforte... Come dicevamo, si deve udir tutto ciò da un maestro, possibilmente da Liszt stesso. Qualcosa invero ci urterebbe anche allora: sia là dov’egli esce da ogni limite, sia dove l’effetto raggiunto non ricompensa abbastanza la bellezza sacrificata. Attendiamo con desiderio la sua venuta che ci è promessa pel prossimo inverno. Appunto con questi studi, egli ha avuto un grande successo nell’ultimo soggiorno a Vienna. Grandi effetti presuppongono sempre grandi cause, altrimenti un pubblico non si lascia entusiasmare per nulla. Ci si prepari intanto coll’esame delle due raccolte all’audizione dell’artista: egli darà allora la miglior critica, al pianoforte.