BIOGRAFIA - LETTERE E SCRITTI 1841

Trenta albe e trenta crepuscoli bastano al compimento dell'opera: 20 gennaio - 20 febbraio 1841.
Così si apre, dopo l'anno del canto, l'anno dell'orchestra e della Sinfonia. Durante il mese di maggio compone l'Ouverture, lo Scherzo e Finale per orchestra, seguiti immediatamente dall'Allegro per pianoforte e orchestra.
Il 10 settembre nasce una bambina; la si battezza col nome di Maria e Mendelssohn ne è il padrino. Essa viene al mondo sotto il segno della "Sinfonia", poiché suo padre ne termina in quei giorni una seconda, in re minore, che tuttavia verrà classificata come quarta nel catalogo delle sue opere redatto dallo stesso autore.
Quindici mesi di matrimonio: i legami che stringono Robert e Clara sono diventati ancor più saldi.

***

La vita coniugale degli Schumann è serena, come ci testimoniano le sparse annotazioni riportate sul loro diario. Clara scrive:

Noi godiamo di una felicità domestica che non avrei mai potuto immaginare. Come compiango quelli che sempre la ignoreranno! Ogni giorno scopro il tesoro di poesia che è in lui e ogni giorno lo amo di più [...] La mia ammirazione per il suo genio cresce con ogni sua opera: e vorrei ricambiargli mille volte la gioia che egli mi ha donato....

Certo queste parole sono lontane da quelle, infelici, con cui Clara chiedeva a Robert di limitarsi all'attività di libraio. Comunque qualche lieve contrasto permane: Clara deve studiare, Robert deve comporre; la prima deve viaggiare, suonare in varie città, il secondo invece ha bisogno di calma e di concentrazione per creare; due carriere certo vicine, ma anche a tratti antitetiche e implicanti obblighi differenti. Nel '41 si sacrifica Clara; ha una figlia, Marie, che nasce in settembre, mentre il marito le fa scoprire la grande letteratura, Jean Paul, Byron, Shakespeare, e cerca di mutarne i gusti musicali troppo orientati verso quel genere di virtuosismo pianistico (Thalberg, Hummel, lo stesso Liszt) adatto a stupire il pubblico più sprovveduto ma povero di verità artistica. Schumann fa conoscere ed amare a Clara le fughe di Bach, il Clavicembalo ben temperato e le Sonate di Beethoven.
E soprattutto l'anno della scoperta della musica orchestrale; esaurita l'ispirazione liederistica che aveva portato alla composizione di molteplici, stupende raccolte, Schumann si accosta ora all'impegno più arduo: la sinfonia. Un giovanile isolato tentativo c'era stato nel '32, ma poi l'autore aveva capito di non essere ancora pronto. Dopo i capolavori di Beethoven non ci si poteva dedicare a tale genere senza avere qualcosa di veramente nuovo e meditato da esprimere. Schumann sente che ora il momento è venuto:

Ho la tentazione di distruggere il mio pianoforte: è diventato troppo angusto per contenere le mie idee. Ho davvero ben poca esperienza in fatto di musica orchestrale, ma non dispero di acquisirne.

Nasce di getto la Prima sinfonia (La primavera) diretta "con estrema cura e attenzione" dall'amico Mendelssohn al Gewandhaus ed accolta calorosamente. Compone allora una Fantasia sinfonica in re minore che invece non viene troppo apprezzata dal pubblico in un concerto nel dicembre del medesimo anno, sempre al Gewandhaus. Il musicista la mette da parte: verrà revisionata e pubblicata come quarta ed ultima sinfonia dieci anni dopo. Schumann scrive anche la Fantasia per pianoforte e orchestra che diverrà, quattro anni più tardi, il primo movimento del mirabile Concerto in la minore.
Robert e Clara tengono un diario domestico che compilano a turno; esso non solo registra e conserva fedelmente gli eventi significativi della vita familiare, ma anche ospita un silenzioso dialogo tra i due coniugi che, attraverso esso, si inviano messaggi. Sulla prima pagina si trova scritto: "Ciascuno ascolterà i desideri dell'altro, presenterà o approverà delle richieste, e soprattutto valuteremo con cura gli avvenimenti della settimana". Ed è in esso che possiamo cogliere le insoddisfazioni di Clara pianista:

Il mio pianoforte è di nuovo relegato in secondo piano, come sempre quando Robert deve comporre. In tutto il giorno egli non trova neppure un'oretta per me.

***

Tra il 23 e il 26 gennaio 1841 Schumann abbozzò, con grande gioia di Clara, la Sinfonia in Si bemolle op. 38, ispirata a una poesia di Adolph Böttger e originariamente intitolata "Frühlingssymphonie". L'orchestrazione lo impegnò dal 27 gennaio al 20 febbraio. Provata da Mendelssohn il 28 marzo ed eseguita sotto la sua direzione tre giorni dopo al Gewandhaus di Lipsia, la sinfonia fu accolta bene, anche se in effetti non così entusiasticamente come gli Schumann avevano sperato. Ma Schumann se ne sentì incoraggiato a procedere con «ogni sorta di altri progetti orchestrali», dei quali il primo fu un'Ouverture in Mi, iniziata il 12 aprile e completata in partitura cinque giorni più tardi. Fu poi la volta di uno «scherzo per l'ouverture» e di un finale in Mi; l'intera "Suite" (così venne inizialmente chiamata) fu conclusa l'8 maggio; Schumann la definì, qualche tempo dopo, «die Symphonette», ma alla sua prima esecuzione (insieme alla Sinfonia in Re minore), il 6 dicembre dello stesso anno, la composizione fu descritta come "Ouverture, Scherzo e Finale". Successivamente, in poco più di una settimana, fu composta una Fantasia in La minore per pianoforte e orchestra, completata il 20 maggio e collaudata da Clara, il 13 agosto, in una prova al Gewandhaus; il pezzo è oggi noto come primo movimento del Concerto per pianoforte e orchestra. Una quindicina di giorni dopo, il 1º settembre, Clara diede alla luce la prima degli otto figli, Marie. A dieci giorni dalla conclusione della Fantasia Schumann iniziò una seconda sinfonia in Re minore e, più o meno nello stesso periodo, apportò alcune modifiche alla prima. Questa Sinfonia in Re minore, conosciuta attualmente - in una forma differente - come "n. 4", fu completata, nella sua forma originaria, il 9 settembre. Entro una settimana Schumann aveva già dato inizio alla successiva; il primo movimento e lo Scherzo di una Sinfonia in Do minore ("Sinfonie III") furono abbozzati ii 23 settembre, l'Adagio e il Rondò il giorno dopo e, il 26, ii lavoro d'abbozzo era «praticamente terminato». Ma la cosa non ebbe seguito; solo lo Scherzo fu poi pubblicato nella versione per pianoforte, come op. 99 n. 13. L'ondata di attività sinfonica si era esaurita; la «Neue Zeitschrift» assorbiva ancora molto del suo tempo e i suoi pensieri si muovevano ora in una nuova direzione: l'opera teatrale. Prese in esame alcuni soggetti tratti da Calderón e rimase affascinato dal Paradise and the Peri di [Thomas] Moore.

Il 22 agosto lavorava su un «testo per la Peri»: in primo luogo, presumibilmente, un libretto d'opera; più avanti nel corso dell'anno chiese aiuto a Böttger e il 6 gennaio 1842 il "testo" era terminato, anche se è poco probabile che si trattasse di quello messo in musica due anni dopo. Come unico lavoro importante del 1841, musicò la Tragödie di Heine per coro e orchestra, portata a termine in una prima stesura l'8 novembre, ma abbandonata in questa forma e pubblicata infine per una e due voci con pianoforte come op. 64 n. 3.
Nel novembre 1841 gli Schumann erano stati invitati a Weimar, Clara per un concerto e Robert per assistere all'esecuzione della Sinfonia in Si bemolle e di alcuni Lieder.
[ABRAHAM]

A E. Kruger [95]
Lipsia, 26 settembre 1841

Da troppo tempo abuso della Sua indulgenza. Lo perdoni al compositore e al... padre [96], poichè sono padre dal 1º settembre, giorno in cui la mia cara moglie m'ha regalato una bimbetta, di cui Mendelssohn è padrino. La casa comincia ora a riprendere la sua tranquillità, e le prime righe che scrivo sono dirette a Lei, mio stimato amico.
Bisogna che Le racconti la scoperta ch'è stata fatta a proposito del Suo quarto pezzo «Oh! Haupt voll Blut!». Mendelssohn era da me quando ho ricevuto la musica da Lei inviatami e gliel'ho presentata come opera di Bach, ciò che ha dato luogo a una scena comica! In una parola, la composizione e tutto il pezzo erano di Mendelssohn stesso, opera scritta nella sua giovinezza! Egli non ha potuto comprendere come mai sia andata a finire in mani Sue.
Per il momento, sono del tutto immerso nella musica sinfonica. L'accoglienza incoraggiante fatta alla prima sinfonia ha infiammato il mio ardore. Quand'è che la mia nuova sinfonia giungerà sino a Lei?...


Dar uno sguardo alle prime battute di questa sonata e dubitare ancora di chi sia, sarebbe poco degno dell’occhio d’un buon conoscitore di Chopin. Così comincia, e così finisce: con dissonanze, attraverso dissonanze, nelle dissonanze. Eppure quanta bellezza nasconde anche questo pezzo! Si potrebbe definire un capriccio, se non una tracotanza, l’averla chiamata “Sonata”, poiché egli ha riunito quattro delle sue creature più bizzarre, per farle passare di contrabbando sotto questo nome in un luogo in cui altrimenti non sarebbero penetrate. Supponete, per esempio, che un organista di campagna venga in una città musicale “per farvi delle spese artistiche” - gli si presentan le novità - ma egli non ne vuol affatto sapere - infine, un commesso destro gli passa una “Sonata”. - "Ecco" dice entusiasta "questo è per me, ecco un pezzo del buon tempo antico" - e la compra, è sua. Giunto a casa si getta sul pezzo - ma, mi sbaglierei di molto, s’egli, ancor prima d’aver faticosamente decifrata la prima pagina, non scongiura tutti i santi spiriti della musica e non dice che non è vero stile di sonata, ma piuttosto un sacrilegio. Invece Chopin ha raggiunto ciò che voleva; la sua Sonata ha preso posto negli scaffali d’un organista e chissà che dopo molti anni non cresca un nipote più romantico che, scossa la polvere dalla Sonata, non pensi fra sé suonandola: “Ma non aveva poi mica così torto!”.
Con tutto questo, è già data anticipatamente una metà del giudizio. Chopin non scrive affatto quello che si potrebbe avere da altri; egli rimane fedele a se stesso e ne ha buona ragione.
È da rimpiangere che la maggior parte dei pianisti, anche quelli colti, non possan considerare e giudicare un’opera senza che prima se ne siano impadroniti colle proprie dita. Invece di abbracciar con lo sguardo pezzi così difficili, si torturano e si rompon la testa ad ogni battuta, e quando a mala pena riescono a mettere in chiaro le più rudi relazioni di forma, stanchi metton l’opera da parte e la chiaman “bizzarra, confusa”, ecc. Come press’a poco Jean Paul, Chopin ha appunto i suoi periodi ingarbugliati e per non perdere la traccia dello sviluppo non bisogna fermarsi troppo a lungo nelle sue parentesi a una prima lettura.
Nella Sonata si urta in passi di questo genere quasi ad ogni pagina e la maniera spesso selvaggia e arbitraria di Chopin di scrivere gli accordi, rende il raccapezzarsi ancora più difficile. A lui non piace, particolarmente, l’enarmonizzare, se così posso esprimermi, ed ha spesso delle battute e delle tonalità con dieci e più diesis, tonalità che preferiamo soltanto nei casi più salienti. Spesso ha ragione, ma spesso confonde anche senza ragione, e, come s’è detto, allontana da sé una buona parte del pubblico che non vuole essere continuamente corbellato e messo colle spalle al muro. Così, la Sonata ha cinque bemolli in chiave, una tonalità che certo non può vantare nessuna speciale popolarità. Eccone l’inizio:

Dopo quest’inizio sufficientemente chopiniano, segue una di quelle parti tempestose e appassionate che troviamo frequentemente in Chopin. Bisogna udire questo passo più volte e ben sonato. Questa prima parte dell’opera ci porta anche un bel canto; sembra che l’aria nazionale polacca, quale si sentiva nella maggior parte delle precedenti melodie chopiniane, scompaia a poco a poco col tempo, e che Chopin s’inchini, attraverso la Germania, talvolta all’Italia.
Si sa che Bellini e Chopin, essendo amici, spesso si comunicavano le loro composizioni e che perciò non rimasero senza un reciproco influsso. Come s’è detto, si nota soltanto una leggera tendenza verso il “modo meridionale” e al finire del canto, dall’armonia lampeggia nuovamente l’intero Sarmata nella sua ostinata originalità. Dopo la conclusione della prima frase del secondo tempo osserviamo un intreccio di accordi che Bellini non avrebbe mai osato, né potuto fare.
L’intero tempo finisce ben poco all’italiana - ed a questo proposito mi viene in mente un bel motto di Liszt, che una volta disse come Rossini e compagni terminassero sempre con un “votre très humble serviteur”; - ben diverso Chopin, le cui conclusioni esprimono piuttosto il contrario.
La seconda parte è la continuazione di questa disposizione di animo, ardita, spiritosa, fantastica; il Trio dolce, sognante, rispecchia completamente la maniera di Chopin. Dello scherzo il nome soltanto, come molti di Beethoven. Segue, ancora più cupa, una Marcia funebre, che ha persino qualcosa di repulsivo; al posto suo un adagio in re bemolle, per esempio, avrebbe fatto un effetto incomparabilmente più bello. Quello che appare nell’ultimo tempo sotto il nome di finale è simile ad un’ironia piuttosto che a una musica qualsiasi. Eppure, bisogna confessarlo, anche da questa parte senza melodia e senza gioia soffia uno strano, orribile spirito che annienterebbe con un pesantissimo pugno qualunque cosa volesse ribellarsi a lui, cosicché ascoltiamo come affascinati e senza protestare fino alla fine - ma anche però senza lodare: poiché questa non è musica. Così la Sonata finisce come ha cominciato, enigmaticamente, simile ad una sfinge dall’ironico sorriso.

FEDERICO CHOPIN
Due Notturni, op. 37.
Ballata, op. 38.
Valzer Per pf., op. 42.

Chopin potrebbe adesso pubblicare ogni cosa senza il suo nome, tanto, lo si riconoscerebbe subito egualmente. In ciò v’è lode e biasimo insieme, lode per il suo ingegno, biasimo per la sua aspirazione.
Profondissima è in lui quella mirabile forza originale che, appena si mostra, non lascia alcun dubbio sul nome del suo maestro; inoltre egli porta un’abbondanza di nuove forme che, nella loro delicatezza e audacia, meritano egualmente l’ammirazione. Sempre nuovo e inventivo nella forma esterna, nella fisionomia dei suoi pezzi e nei particolari effetti strumentali, egli rimane però nell’intimo eguale a se stesso, tanto che noi temiamo non produca più cose maggiori di quelle prodotte sinora.
Se quanto ha fatto è grande abbastanza per aggiungere il suo nome fra quelli imperituri della storia dell’arte moderna, osserviamo però che la sua attività si limita al piccolo cerchio della musica per pianoforte mentre invece avrebbe dovuto raggiungere colle sue forze altezze ancora maggiori, influendo sullo sviluppo dell’arte nostra in generale. In ogni modo accontentiamoci: egli ha già creato molte cose magni-fiche, ed anche ora ce ne dà tante che noi potremmo esser contenti e dovremmo ben felicitarci se altri artisti avessero composto soltanto la metà di ciò che ha prodotto lui.
Per esser chiamati poeti, non c’è bisogno di ponderosi volumi: per una o due vere poesie si può meritarne il nome e Chopin ne ha scritte ben più di una o due.
Appartengono a queste poesie anche i Notturni sopra citati; essi si differenziano dai suoi anteriori essenzialmente per un ornamento più semplice, per una grazia più discreta. Si sa come Chopin si sia sempre presentato tutto coperto di pagliuzze d’oro, di fronzoli e di perle. Ora è cambiato, egli si mostra più maturo; ama ancora l’ornamento, ma più pensoso, e sotto cui la nobiltà della poesia rifulge più amabilmente; bisogna inoltre concedergli un gusto finissimo, ma tutto questo non conta per i professori di basso fondamentale che cercano soltanto le quinte e si eccitano ad ogni “trovata difettosa”: invece potrebbero imparare molte cose da Chopin e specialmente a far delle quinte. Dobbiamo ancora segnalare la Ballata come un pezzo notevole. Chopin ci ha già dato un’altra composizione sotto tal nome (una delle sue opere più selvagge e caratteristiche): la nuova è tutt’altra cosa, inferiore alla prima come opera d’arte, ma però non meno fantastica e ricca di spirito. Le appassionate parti centrali sembrano esser state aggiunte soltanto più tardi; ricordo benissimo che quando Chopin la suonò qui finiva in fa maggiore, ora finisce in la minore. Egli disse ch’era stato ispirato per le sue ballate da alcune poesie di Mickievicz. Viceversa un poeta potrebbe trovare molto facilmente le parole dalla sua musica; essa commuove nel più profondo dell’anima. Il valzer infine è, come tutti i suoi anteriori, un pezzo da salon del genere più nobile; se l’autore lo suonasse per la danza, ha osservato Flo-restano, almeno una buona metà delle danzatrici dovrebbero essere contesse. Infatti, il valzer è aristocratico da capo a fondo.

SEI ROMANZE SENZA PAROLE
DI F. MENDELSSOHN BARTHOLDY
Quarto fascicolo, op. 53.

Un fascicolo, finalmente, di veri Lieder. Non differiscono dai precedenti di Mendelssohn se non per una maggiore semplicità e, dal punto di vista della melodia, per il loro carattere vocale più leggero, spesso popolare. Questo vale specialmente per quello che il compositore stesso ha designato col nome di Canto popolare; è uscito dalla stessa sorgente da cui Eichendorf ha attinto alcune delle sue più meravigliose poesie e Lessing il suo Paesaggio dell’Eifel. Non ci si può saziare di sentirli. Il tratto popolare, che comincia a mostrarsi in generale in molte delle composizioni degli artisti più giovani, induce a liete riflessioni per l’avvenire più vicino; e, cosa che a parecchi potrà sembrare abbastanza strana, per un occhio aperto questo tratto popolare è già manifesto negli ultimi lavori di Beethoven.
La terza romanza, in sol minore, ha pure un tono popolare, sebbene non quello d’un coro; suona piuttosto come un canto a quattro voci. Si osservi del resto, come nelle sue romanze senza parole Mendelssohn è proceduto dalla semplice canzone per il Duo fino al modo polivocale e ai cori. Così accade al vero artista creatore; dove si potrebbe spesso credere che egli non potesse andar più innanzi, ha già fatto all’improvviso un passo avanti, e ha guadagnato nuovo terreno. Altri passi nel quarto fascicolo ricordano veramente cose più vecchie dei fascicoli precedenti; certe tendenze riprese sembrano diventare persino una maniera. Questo però è un rimprovero che centinaia comprerebbero con sacrifici: quello specialmente di venir riconosciuto l’autore a certe andature, da giurarvi sopra. Attendiamo con gioia molte altre raccolte ancora!

SOPRA ALCUNI PASSI PRESUMIBILMENTE CORROTTI
DELLE OPERE DI BACH, MOZART E BEETHOVEN

Se si conoscessero tutti, forse ci sarebbero da scrivere dei volumi in-folio: ed io credo che, talvolta, i maestri dovrebbero ridere nell’altro mondo, se potessero udire qualcuna delle loro opere con tutti gli errori che il tempo, la consuetudine ed anche un rispetto timoroso han lasciato sussistere.
Da lungo tempo era mio disegno portare la discussione su questo argomento pregando gli artisti e gli amici dell’arte di voler esaminare le opere più conosciute dei maestri sopra citati e, ove fosse possibile, confrontarle col manoscritto originale. È vero che i manoscritti ingannano sovente, poiché nessun compositore può giurarvi che non gli siano sfuggiti degli errori. Ed è anche naturale che un musicista scrivendo in un tempo incredibilmente breve centomila puntini saltellanti, una dozzina di questi punti vada a finire o troppo in alto o troppo in basso, effettuando così le più folli armonie. Ad ogni modo, il manoscritto rimane sempre l’autorità che dev’essere interrogata per la prima. Tutti i possessori dei manoscritti dovrebbero confrontare con la copia a stampa il passo sospetto corrispondente e gentilmente comunicare il risultato. Tuttavia per l’accertamento di alcuni di questi passi non c’è nemmen bisogno di tirar fuori l’originale, talmente chiaro l’errore salta agli occhi.
La maggior parte degli errori si trova forse nelle edizioni delle opere di Bach e specialmente in quelle più antiche. Sarebbe un lavoro assai meritorio (ma altrettanto lungo) se qualche conoscitore di musica, pienamente familiarizzato con lo stile di Bach, intraprendesse a correggere tutto ciò che finora è stato stampato erroneamente. Un bell’inizio ci ha dato la casa editrice Peters di Lipsia; ma finora si limita alle composizioni per pianoforte. Una sola critica del Clavicembalo ben temperato con l’indicazione delle diverse lezioni (si dice che Bach stesso abbia fatto molte varianti) potrebbe riempire interamente un volume. Citiamo qui qualche caso.
Nella grande magnifica Toccata con fuga per organo, le due voci si muovono nel “manuale” sopra il pedale d’organo in una progressione strettamente canonica. È possibile credere che questo sia sfuggito al correttore? Egli ha lasciato sussistere una quantità di note che si manifestan false rispetto al canone. Nel seguito del pezzo, al passo parallelo (pagina 4 e 5) capitano sviste simili...
Un altro caso strano su cui il solo manoscritto di Bach potrebbe dare un chiarimento, si trova nell’Arte della fuga. L’intera fuga XVI lunga quattro pagine si trova già una volta nella X... Come avvenne ciò? Non è possibile che Bach abbia copiato nella stessa opera quattro pagine, nota per nota! Egualmente stampate sono nella partitura di Nägeli le due fughe e, soltanto per la somiglianza della tonalità e del tema che corre attraverso tutto il pezzo, si può spiegare che questa ripetizione sia rimasta così a lungo inosservata.
Ma chi, godendo delle armonie bachiane, pensa agli errori?
Tanto è vero che io stesso per un anno intero non osservai (in una delle fughe di Bach più note a me) questi errori, finché un maestro dall’occhio d’aquila me li fece notare. La fuga citata è quella in do minore con un tema meraviglioso, ed è la sesta nell’edizione Haslinger. S’inserisca fra la terza e la quarta battuta un’unica nota, un fa diesis (ottava centrale) e tutto sarà giusto. Su questo non vi può essere alcun dubbio.
Veniamo ora ad alcuni casi forse più interessanti pei lettori, esaminando opere ch’essi hanno inteso o suonato un numero infinito di volte senza osservare i tradimenti fatti all’originale. Io prego quindi i lettori di prender in mano le partiture, perché far stampare per intero i passi porterebbe via troppo spazio: inoltre non sarebbe possibile un giudizio senza l’esame più scrupoloso dei passaggi stessi.
Il primo passo sospetto è nella sinfonia in sol minore di Mozart, un’opera in cui ogni nota è d’oro puro, ogni parte un tesoro: e pure - si potrebbe crederlo? - nell’andante si sono inserite quattro intere battute, che secondo la mia ferma persuasione non vi appartengono. Dopo la 29a battuta (non contando la croma d’attacco) comincia una frase di quattro battute che conduce il periodo da re bemolle maggiore a si bemolle minore e che nelle quattro battute seguenti vien ripetuto tale e quale soltanto con una istrumentazione più semplificata; non si può credere che questo l’abbia proprio voluto Mozart.
Ciò appare a prima vista dalla legatura della 32a colla 33a battuta assolutamente antimozartiana; certo, questo particolare colpisce qualunque musicista ad un’audizione anche superficiale.
Ci domandiamo ora quale dei due periodi di quattro battute sarebbe da eliminare; il primo o il secondo? A uno sguardo fugace ci si potrebbe forse dichiarare per il primo; l’entrare graduale degli strumenti a fiato, che crescono sino al forte, non è senza un senso artistico. Ma molto più naturale nella condotta delle parti, più chiara e più semplice, e per-tanto anche senza crescendo, mi sembra l’altra lezio-ne, per cui son da eliminare le battute dalla 29a alla 32a, dove poi tutti gli strumenti s’uniscono in un chiaro crescendo nel forte.
Le stesse quattro battute di troppo si trovano nella ripresa della seconda parte e qui dovrebbero togliersi, allora le battute 48a-51a. Come quest’errore sia potuto passar di contrabbando, anche qui dovrebbe mostrarlo la partitura originale che pare si trovi nelle mani del consigliere André. La versione più verosimile è che Mozart ha prima scritto il passo come noi crediamo debba essere - poi, rifinito nella strumentazione, l’ha inserito nella partitura - ma più tardi, tornando nuovamente al suo primo pensiero, ha dimenticato di cancellare la seconda lezione... Del resto mi si dice che nel Conservatorio di Parigi l’andante vien suonato con l’omissione delle quattro battute nei due passi. Mendelssohn pure s’è da lungo tempo mostrato a ciò favorevole.
Ricordo infine ancora qualche passo nelle sinfonie di Beethoven, che quasi a prima vista si manifestano come errori del copista. Uno di questi ho già ricordato altra volta: è nel finale del primo tempo della sinfonia in si bemolle maggiore. Delle tre battute forte (8 prima del finale) una è manifestamente di troppo. La svista era facile da commettere a causa della completa somiglianza delle note in tutte le parti. Potrebbe averla fatta Beethoven stesso.
Ma che si sia potuto per tanti anni sentire nella sinfonia il passo seguente, come sta nella partitura, senza scattare ad alta voce, non si potrebbe spiegare se non perché l’incanto della musica beethoveniana ci avvince a tal punto da farci dimenticare il pensiero e l’udito.
Nel primo tempo (partitura pag. 35, battuta 3a) si trova precisamente:


Orbene, se invece delle pause improvvise nei primi violini, mettessimo il segno di simili (//) non suonerebbe meglio e in ben altro modo? Questo non risulta dall’inversione della battuta quinta, dove le viole hanno ciò che prima si trovava nei violini primi? Certo, è così. Il copista ha preso il segno di simili per delle pause o qualche coboldo birichino era entrato in gioco.
Ries racconta come una volta Beethoven si fosse arrabbiato per un passo della Sinfonia Eroica che lui, Ries, aveva variato colla migliore intenzione del mondo. Io credo che se oggi Beethoven sentisse il passo in questione della Sinfonia Pastorale, all’orche-stra o al direttore capiterebbe press’a poco quello che capitò a Ries.
Basta, per questa volta; potessero almeno i casi citati esser presi in considerazione da molti artisti! Come potremmo meglio provare la nostra venerazione per i nostri grandi maestri, se non sforzandoci d’allontanare dalle loro opere i danni che v’ha recato l’errore o il caso? Con questa sola intenzione sono state scritte queste righe.

UN’OUVERTURE DI CHERUBINI

All’esecuzione di questa ouverture ci è tornato di nuovo in mente come questo grande uomo e maestro sia ancor troppo poco conosciuto ed apprezzato, mentre sarebbe giusto lo fosse ora di più, giacché la comprensione delle sue composizioni è stata portata a noi più vicino dalla via che ha presa la nuova e migliore musica.
E poi perché non ricercare un artista che ai tempi di Beethoven era certo il secondo dei maestri della musica moderna e che dopo la morte di quello è ben da considerare il primo fra i viventi?