RICHARD WAGNER WEBSITE
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MASSIMO MILA

I MAESTRI CANTORI DI NORIMBERGA
[DIE MEISTERSINGER VON NÜRNBERG]

FONTE

Nell'estate del 1845, in riposo a Marienbad, dopo aver terminato il Tannhäuser, Wagner si occupava attivamente del Lohengrin, quando una casuale reminiscenza di notizie sui Maestri Cantori di Norimberga, lette nella Storia della letteratura poetica nazionale dei Tedeschi del Gervinus, gli suggeri, quasi intermezzo gaio fra tanti soggetti gravi, una scena comica, d'ispirazione essenzialmente visiva e scenica, sintetizzante il contrasto tra il calzolaio Hans Sachs, schietto poeta popolare, e un censore pedante, armato di gesso e lavagna. Di più, gli venne l'idea di ambientare e prolungare questo duetto comico, scandito dalle martellate di Sachs sulla forma da calzolaio, entro una rumorosa rissa notturna in una delle viuzze tortuose di Norimberga, quale Wagner aveva realmente vissuto nella sua giovinezza. Tanto viva fu quest'intuizione, ch'egli dovette stendere precipitosamente un progetto dell'opera, abbandonando per un momento gli studi sul Lohengrin. L'idea non fu più ripresa fino al 1861, quando era già stato ultimato il Tristano e Isotta e l'Anello dei Nibelunghi era stato condotto a metà del Sigfrido, quindi interrotto. Dopo il tremendo insuccesso parigino del Tannhäuser, Wagner a Vienna, dove intanto tentava di promuovere una rappresentazione del Tristano, attraversava un periodo d'immensa depressione, ma lo riscosse di colpo, durante un breve soggiorno a Venezia coi Wesendonck, l'impressione folgorante ricevuta dall'Assunzione del Tiziano.

Deciso a scrivere i Maestri Cantori, ritornò immediatamente a Vienna dove si procurò la documentazione bibliografica sull'argomento, e in particolare la vecchia Cronaca di Norimberga del Wagenseil. Il primo atto fu terminato nel giugno 1866, il secondo in ottobre e il terzo nel febbraio 1867 a Triebschen in Svizzera. Nel 1868 ci fu ancora una completa rielaborazione del libretto. Il carattere comico, l'argomento attinto dalla storia anziché dal mito, la larga coralità sono altrettanti elementi esterni che conferiscono ai Maestri Cantori la loro singolarità nell'insieme dell'opera di Wagner. La competizione poetica dei buoni borghesi di Norimberga gli apparve, per sua stessa dichiarazione, un contrapposto comico alla gara dei nobili cantori nel Tannhäuser; nel suo istintivo equilibrio interiore egli vedeva nell'allegro sfogo dei Maestri Cantori qualcosa di simile al dramma satiresco che nell'antico teatro greco sollevava gli animi degli spettatori dopo la trilogia tragica. Un altro motivo wagneriano, che nel Tannhäuser e nel Lohengrin era soltanto laterale, trova nei Maestri Cantori il suo monumento definitivo, ed è la pittura ambientale del costume alto-tedesco nei suoi due aspetti cavalleresco e borghesi. Infine un motivo polemico, vivacemente personale: rivendicazione della libertà dell'arte contro l'ottusa incomprensione dei pedanti attaccati alle regole e all'inerzia della consuetudine. Il giovane cavaliere Walther von Stolzing, che aspira alla mano di Eva, figlia del ricco orafo e maestro cantore Veit Pogner, rappresenta la libera ispirazione del «Minnegesang», aristocratico e cavalleresco, in lotta contro la testarda pedanteria borghese del «Meistergesang». Eva, infatti, è stata promessa dal padre, tutto infatuato d'orgoglio civico e magistrale, al maestro cantore che il domani, festa di San Giovanni, riporterà il premio nella gara di canto. Eva è innamorata dei cavaliere, ma questi non è maestro, non sa nulla di regole, di «tabulatura», di modi poetici tradizionali: canta spontaneamente come la natura gli ha insegnato, la natura e il libro dei versi dell'antico Minnesinger tedesco Walther von der Vogelweide. Che fare? La governante di Eva, Maddalena, fa impartire al cavaliere una superficiale infarinatura di dottrina poetica dal suo vago, Davide, garzone di Hans Sachs e suo allievo tanto nell'arte del canto quanto nel mestiere del calzolaio. E nel giorno stesso Walther tenterà la prova per essere ammesso tra i Maestri Cantori. Stupore di questi ultimi, sospetto e indignazione soprattutto dello scrivano comunale Beckmesser, personaggio col quale Wagner si vendicò amaramente dei critici ostili incontrati nel suo cammino, e in particolare del viennese Eduard Hanslick. Costui riveste la carica di marcatore: segna, cioè, con un frego sulla lavagna gli errori che i cantori commettono contro le regole. Vecchio e ridicolo, aspira anch'egli alla mano di Eva, e teme in Walther il rivale, prediletto dalla fanciulla e gradito anche dal padre di lei. Perciò, nelle sue funzioni di marcatore, stronca malignamente la prova di Walther, che viene clamorosamente respinto dall'assemblea dei maestri. Solo Hans Sachs, l'artigiano-poeta che è simbolo della genuina poesia popolare, rispettosa della tradizione ma liberamente aperta a ogni voce di nuova bellezza, è stato profondamente commosso dal canto di Walther, e ha tentato invano di difenderlo. Nel secondo atto Eva, appreso l'insuccesso di Walther, si reca da Sachs a cercare appoggio e consiglio: con deliziosa civetteria, solo in parte inconsapevole, ella lusinga la segreta passione - assai più che paterna - che il vedovo anziano nutre nel cuore per la cara giovinetta, e nello stesso tempo non sa nascondergli la verità dei propri sentimenti. Hans Sachs capisce, e pur trattandola con burbera durezza, decide in cuor suo d'aiutare la coppia dei giovani innamorati. È la saggia rinuncia all'amore («die Entsagung»), il motivo psicologico da cui Wagner sarà ormai sempre più pervaso dopo la sua grande rinuncia all'amore di Matilde Wesendonck: e Sachs è forse la creazione più artisticamente perfetta di quante incarnano tale motivo: Wotan (Anello dei Nibelunghi), Re Marco (Tristano e Isotta), Parsifal. Calata la sera, s'avanza nella via l'innamorato Beckmesser, a propiziarsi la fanciulla dei suoi sogni con una ridicola serenata. Dalla sua bottega Hans Sachs lo molesta in tutti i modi, cantando anch'egli ad alta voce e menando gran colpi di martello sulla forma. I due vengono a diverbio e poi a un accomodamento: Beckmesser canterà, Sachs farà lui, una volta tanto, da marcatore, segnando gli errori con un colpo di martello sulla forma. Intanto Eva ha fatto indossare a Maddalena le proprie vesti e l'ha mandata sul balcone a ricevere l'omaggio di Beckmesser; ella stessa è scesa in strada dove Walther l'attende per fuggire insieme. Ma la cosa non sfugge a Hans Sachs, che si propone d'impedire questa pazzia. L'infernale serenata di Beckmesser suscita le crescenti proteste dei vicini; anche Davide s'accorge che la sua Maddalena sta ricevendo al verone l'omaggio poetico dello scrivano comunale: piomba in strada furibondo e comincia a pestare di santa ragione il malcapitato Beckmesser. Ne nasce un immenso parapiglia notturno, cui partecipa tutta la popolazione: Walther ed Eva tentano di approfittarne per fuggire, ma Hans Sachs sbuca dalla sua bottega, sospinge Eva in casa e trascina con sé il cavaliere, cacciando a pedate l'infuriato Davide. Il ritorno del guardiano notturno, preannunciato dal lungo suono del corno, discioglie la fantasmagorica baraonda. Nel terzo atto Hans Sachs riflette sulla vanità e la follia degli uomini, che ha scatenato nella notte scorsa così sfrenato tumulto. Tratta con umana dolcezza Davide, tutto pauroso, indi, comparso Walther che ha riposato in casa sua, si accinge a far comprendere al giovane impaziente la necessità delle regole poetiche, quando siano ben intese e non costituiscano una cieca schiavitù. A poco a poco, recalcitrando, Walther si persuade, e si lascia indurre a cantare secondo le norme della tabulatura la descrizione dell'aureo sogno di amore che ha fatto nella notte. Hans Sachs scrive la canzone, quindi la lascia sul suo deschetto, uscendo insieme a Walther. Entra Beckmesser, tutto indolenzito, scopre il foglio di mano di Sachs e se ne impadronisce, costernato e irritato di avere un così temibile rivale. Sachs ritorna, lo assicura che non parteciperà alla gara per la mano di Eva, e in prova gli fa dono della canzone, autorizzandolo a servirsene, se sarà capace d'impararla. Difatti, nel torneo, che avviene con lieta e superba solennità in un prato sulle rive della Pegnitz, Beckmesser, incapace di comprendere, nonché di ritenere l'alata poesia del cavaliere, la storpia, s'impappina e fa la più ridicola delle figure, finendo per inveire contro Hans Sachs che l'ha rovinato col perfido dono. Spiegazione di Sachs: Walther viene chiamato a dire la sua canzone, ch'egli completa con una terza stanza, entusiasma popolo e maestri, viene acclamato maestro egli stesso e sposo di Eva. Tra l'esultanza generale, Hans Sachs innalza un ultimo canto in lode dell'arte tedesca, insidiata dal «latino fumo» e dalla «frivolità latina», e il popolo in coro fa eco alle sue parole esprimendo il proprio amore e la propria riconoscenza per il geniale artigiano, «il caro Sachs di Norimberga», gloria della sua città e decoro dell'arte tedesca.

L'immensa partitura passa giustamente per un trionfo d'architettura musicale, ché la distribuzione dell'azione nelle tre scene del primo atto, nelle sette del secondo e nelle cinque del terzo dà luogo veramente a una struttura maestosa di gotica magnificenza. Da un punto di vista più strettamente musicale, poi, l'opera si afferma architettonicamente per una ricchezza eccezionale di procedimenti contrappuntistici, richiesta dal suo stesso carattere: commedia, non dramma; una folla di personaggi, in mezzo ai quali i protagonisti emergono a stento; vita reale, non mito; quindi molte persone che parlano a un tempo, un'agilità dialogica sconosciuta a ogni altra opera wagneriana, un'indiavolata simultaneità di voci, che culmina nella strepitosa baruffa notturna, una fuga a dieci parti reali, la più straordinaria integrazione che si conosca d'una sfrenata vita drammatica entro l'unità d'una rigorosa forma musicale. Il linguaggio di Wagner, senza rinunciare ai vertiginosi approfondimenti armonici del Tristano e Isotta, tende la mano a quello di Bach, per realizzare un'ostinata e caparbia tessitura contrappuntistica, che richiama alla mente la vecchia Germania di Dürer e di Lutero. I Maestri Cantori restano il monumento prodigioso del «mestiere» di Wagner. Il sistema dei motivi conduttori vi è applicato su larghissima scala, eppure senza pedanteria: ben 90 motivi enumerano i commentatori, su alcuni dei quali è costruita la formidabile architettura dell'introduzione. L'orgoglio borghese dei Maestri Cantori, il fasto superbo della loro corporazione, un po' pedante e pesante, ma piena di rude energia, riboccante di salute e di vita gagliarda, è espresso in due temi fondamentali, di caratteristica diatonicità: quello dei Maestri Cantori e quello dello stendardo. Il primo

scandisce coi suoi accordi poderosi una marcia ostinata e metodica, una conquista di successive posizioni solidamente affermate, la cui massiccia compattezza si articola in seguito in un irresistibile movimento di piani contrappuntistici. Il tema dell'emblema o dello stendardo della corporazione

è una squillante fanfara di accordi che si spiegano in linea melodica vibrante e maestosa. Fra i temi strapotenti e fastosi l'introduzione inserisce, a contrasto, il tenero ed esitante tema del poeta o dell'offerta d'amore

cui si apparenta, nell'espressione delicata e sfuggente, il tema dell'ardore giovanile di Walther, chiamato anche il motivo primaverile

Il più vistoso, però, dei motivi che si riferiscono a Walther è quello che si suol chiamare della passione dichiarata, ma nel quale bisogna vedere soprattutto un'espressione di nobiltà cavalleresca, che Wagner aveva spesso tentato nelle sue opere giovanili, con melodie di stampo alfine a questa, di così grandiosa apertura:

Nel corso dell'opera, poi, Walther avrà ancora un suo tema cavalleresco, dal ritmo marziale,

che parodisticamente deformato darà luogo al motivo della gelosia di Bekmesser. Le parti drammatiche consistono generalmente del consueto declamato wagneriano, scaturito liberamente dal suono stesso della parola tedesca, infinitamente vario d'atteggiamenti e di movenze, ma, tuttavia, non autonomo musicalmente, senza l'integrazione orchestrale. Intere scene sono costruite con prodigiosa abilità sopra una breve cellula infinitamente variata in continue modulazioni; cellula in sé cosí semplice e rudimentale che è perfino eccessivo chiamarla un vero e proprio motivo. Così avviene, nel primo atto, per buona parte dell'assemblea dei Maestri Cantori, in cui il dialogo dei molti interlocutori, le varie procedure della seduta, l'appello, ecc., si svolgono a lungo su questo inciso orchestrale

detto il tema della corporazione, espressivo di calmo e ponderato equilibrio. Segue, non meno semplice, la cellula tematica della festa di San Giovanni

su cui si appoggia tutta la pomposa orazione di Pogner per mettere in palio la mano della figlia; infine i due brevi motivi si sovrappongono con meravigliosa opportunità. Anche il tema della bontà di Sachs

rivela una segreta parentela con il sereno accento di gioia del San Giovanni. La voce, per contro, si spiega con più ampio respiro nelle parti liriche, dove non incalza l'azione drammatica. Tali i quattro canti di Walther, due nel primo atto, scena terza (canto del focolare e canto della primavera), e due nel terzo atto, scena seconda (canzone del sogno, prolungata all'apparire di Eva nella quarta scena) e scena ultima (canzone del torneo poetico). Queste canzoni del tenore sono effusioni liriche di alto impegno melodico avvolte dall'orchestra in un'atmosfera soave di ritmi sfuggenti, spesso caratterizzata dall'elastico alternarsi di terzine con gruppi pari. Ricordano, per la «Stimmung» delicata e romantica, per ii traboccare impetuoso del sentimento, il canto dell'aprile di Siegmund nella Walchiria, e anch'esse si possono in certo modo designare come una nobile idealizzazione della romanza lirica. Anche a Hans Sachs spettano quattro canti solistici, due nel secondo atto, terza e sesta scena (Canto del gelsomino e Canto del calzolaio), e due nel terzo atto, prima e ultima scena. Sebbene di minor vaghezza melodica, esplorano ben altre profondità umane che i canti, un po' dolciastri, di Walther. Quest'ultimo, unico aristocratico in mezzo a ben piantati quarantenni esperti della vita, riesce drammaticamente insipido in confronto a questa operosa e virile umanità. Le grandi intuizioni psicologiche dell'opera avvengono tra Sachs ed Eva, nella saggia rinuncia del primo, nell'inconscia eppur maliziosa civetteria della fanciulla. Il Canto del gelsomino è una dolcissima rielaborazione dei motivi di Walther prevalenti in orchestra; contrasta con la loro soavità sentimentale il prosaico e quasi stizzoso tema del calzolaio

che par quasi imitare la percossa del martello sulla forma e dice tutta l'aridità e il peso del mestiere di Sachs. Il Canto del calzolaio è una rude e popolaresca melodia, dai rumorosi ritornelli, con cui Sachs impedisce a Beckmesser di attaccare la serenata e insieme ammonisce allegoricamente Eva e Walther a non far sciocchezze; i vari motivi di Sachs s'intrecciano in orchestra con quelli stizzosi e caricaturali di Beckmesser. Il motivo dei Maestri Cantori sotto le parole di Hans Sachs, perde tutto l'orgoglio fastoso e si piega in una cellula ricorrente, di intima e affettuosa bontà:

Nella prima scena del terzo atto, dopo un colloquio con Davide, musicalmente vivace, Sachs s'abbandona alla meditazione sullo scompiglio avvenuto nella notte: è il canto sulla follia che governa le cose del mondo, anche questo piuttosto un declamato che una canzone, ma meravigliosamente nutrito in orchestra dai motivi che il discorso viene via via rievocando. Il meditativo motivo della saggezza di Sachs

vi ha naturalmente gran parte; poi si passa a una glorificazione di Norimberga sul solenne e calmo motivo patronale della città, quindi a una rievocazione soavissima del fascino di notte primaverile che la s!ra innanzi ha tutti travolto nella sua magica follia: la baraonda notturna ripassa burlescamente nella memoria col tema saltellante e vertiginoso della bastonatura, e infine l'accento estroso del San Giovanni, il tema patronale di Norimberga

e il motivo del poeta si fondono nella chiusa della rasserenata meditazione. Naturalmente Sachs ha larghissima parte, e spesso solisticamente individuata, nei dialoghi delle scene che seguono, con Walther, al quale inculca il rispetto per le regole poetiche, con Beckmesser, con Eva e Walther, ma il suo ultimo canto vero e proprio è quello che precede la fine dell'opera, glorificazione dell'arte tedesca, in cui s'intrecciano, nella loro forma più pomposa, il tema cavalleresco della passione dichiarata, il motivo dei Maestri Cantori, quello dello stendardo e quello patronale della città di Norimberga. La protagonista femminile, Eva, si manifesta soltanto attraverso dialoghi coi diversi personaggi, in particolare con Sachs. Innamorata e scaltra nella prima scena dell'opera, con Maddalena e Walther, la troviamo inquieta, affannata, eppure deliziosamente civettuola nel colloquio con Sachs dell'atto secondo, quarta scena, tutto intessuto sopra la morbida, avviluppante circolarità dei due temi della leggiadria d'Eva e della domanda

Nella scena seguente Eva si mostra appassionata e vibrante nel duetto con Walther, dominato però musicalmente da quest'ultimo, fino all'intervento dell'incanto della notte estiva, il cui tema diventa, a un tempo, il languido tema dell'abbandono di Eva:

Durante le due scene seguenti Eva assiste, nascosta con Walther, alla serenata di Beckmesser, comicamente ostacolata da Hans Sachs, quindi alla gran baruffa, e inserisce brevi osservazioni ed esortazioni all'amato, a volta a volta savie, ardenti, garbate, maliziose. Infine, nel terzo atto, ha di nuovo una grande scena con Sachs, la quarta; al tema della leggiadria s'accompagna timido e triste quello del dolore di Eva,

Qui Eva ha la sua maggiore esibizione personale, sia pure inserita nello sviluppo drammatico d'una scena a più personaggi, col caldo e appassionato ringraziamento a Sachs, quindi rientra definitivamente nell'espressione collettiva, dando inizio al celebre quintetto in cui Hans, Walther, Davide, Eva e Maddalena tengono a battesimo il nuovo canto trovato da Walther. I puristi wagneriani, scandalizzati di quest'apparente ricaduta nelle forme melodrammatiche, hanno arzigogolato ogni sorta di giustificazioni per questa felice offesa alle leggi del «Wort-Ton-Drama», ma è stata fatica inutile, ché il quintetto si scusa molto bene da sé, con la sua armoniosa bellezza. Tutti i personaggi minori dell'opera (Beckmesser, Davide, Maddalena, il coro degli apprendisti) hanno non solo il loro tema e spesso assai più di uno (a Beckmesser se ne riferiscono cinque); ma hanno, ancor meglio, un loro linguaggio, una loro musica personale. La parte di Beckmesser, decisamente parodistica e caricaturale, sempre caratterizzata dalla stridente dissonanza di seconda, esplora nella strumentazione, nel ritmo e nell'armonia, un campo espressivo, il grottesco, nel quale mieterà largamente la musica moderna. Davide, il garzone calzolaio, parla un suo linguaggio musicale semplice e alla mano, dove la tonica è fortemente affermata e usata come punto di riferimento, a differenza del parlare dei personaggi elevati (Walther, Sachs ed Eva), le cui modulazioni si allontanano spesso dalla tonica nel modo più inquietante, secondo il cromatismo praticato nel Tristano e in certe parti della Tetralogia: felice equivalente musicale di quell'impronta popolaresca che Wagner ha saputo stampare nella veste letteraria dell'opera, col suo tradizionale verso rimato, che a furia di grovigli, di asprezze e d'inaudite licenze tende quasi sempre a cadere nella prosa parlata. Ognuno dei tre atti dell'opera termina con una scena immensa di proporzioni e di complessità musicale: l'assemblea dei Maestri Cantori con l'infelice prova di Walther, la baruffa, e infine la festa all'aperto dei Maestri Cantori. Ora, sebbene molti commentatori abbiano enumerato quelle parti dell'opera che dal punto di vista drammatico presentano stanchezza e ristagno dell'azione, bisogna invece riconoscere che nessuna opera di Wagner a eccezione del Tristano e Isotta, presenta una continuità così ininterrotta dell'interesse musicale. Pochissimi e brevi i recitativi banali sorretti da uno sbrigativo tremolo dell'orchestra, che deludano per un attimo l'attenzione. L'unico grande fallimento dell'opera è l'enorme finale, dove la volontà coreografica e decorativa non è sorretta da un congruo effetto drammatico. I cori e le danze degli apprendisti, la sfilata dei maestri, lo spiegamento degli stendardi, le cerimonie solenni si succedono con la più pittoresca varietà, eppure schiacciano sotto il peso d'una decorazione eccessiva e, in sostanza, fine a se stessa, che si potrebbe dire, malignamente, meyerbeenana. La volontà celebrativa ha preso la mano all'artista e gli ha fatto intonare le trombe della retorica per cantare le lodi della vita e dell'arte tedesche.