I dizionari Baldini&Castoldi

Dreigroschenoper, Die di Kurt Weill (1900-1950)
libretto di Bertolt Brecht

(L’opera da tre soldi) Dramma in un prologo e tre atti

Prima:
Berlino, Theater am Schiffbauerdamm, 13 ottobre 1928

Personaggi:
Jonathan Jeremiah Peachum, capo di una banda di accattoni (Bar); la signora Peachum (A); Polly, loro figlia (S); Macheath, detto Mackie Messer, capo di una banda di rapinatori da strada (T); Brown, capo della polizia di Londra (Bar); Lucy, sua figlia (S); Jenny, prostituta (S); Trauenweidenwalter, Hakenfingerjakob, Münzmatthias, Sägerobert, Ede, Jimmy, uomini di Macheath (T, B); Filch, accattone di Peachum (rec); Smith, agente di polizia (rec); il cantore (Bar)



Nel 1728 John Gay, poeta e drammaturgo inglese, presentava al pubblico londinese un nuovo lavoro scritto in collaborazione con il musicista John Pepusch: la ? Beggar’s Opera , ossia ‘L’opera del mendicante’, destinata a mietere un successo senza precedenti e mai più uguagliato da posteriori imitazioni; si può intuire la regalità degli incassi dal fatto che essi costituirono una parte cospicua dei finanziamenti grazie ai quali poté venire edificato il Covent Garden. The Beggar’s Opera rappresenta il più fortunato esperimento compiuto nel genere della cosiddetta ballad opera , molto in voga nel primo Settecento londinese e condannato a precoce decadenza dal Licensing Act, con cui il primo ministro Walpole ne proibiva le rappresentazioni. Motivo di tanto livore era il carattere satirico intrinseco non solo alla ballad opera , ma anche ai consanguinei burlesque e pantomime , spettacoli presentati da teatri minori a cui non era permesso inscenare tragedie, commedie d’autore né tantomeno opere liriche. In particolare, prerogativa della ballad opera era l’alternanza di canto e recitazione, a differenza per esempio del burlesque che veniva interamente recitato; questo requisito consentiva alla ballad opera di costituirsi non solo come strumento di parodia sociale, ma anche come mordace caricatura delle opere ‘istituzionalizzate’, che trionfavano sui palcoscenici ufficiali. Le parti cantate, quelle composte appunto da Pepusch, non erano solo ispirate allo stile ‘popolare’, a un’orecchiabilità di sicura presa sul pubblico, ma riecheggiavano a bella posta, storpiandole, le arie più famose di alcuni melodrammi in voga nella Londra contemporanea; la parodia era massiccia e generalizzata, se si pensa che i numeri cantati erano in origine 96.

Divenuta ormai autentico simbolo di quella ballad opera cui aveva attinto il Singspiel tedesco ai suoi primordi, The Beggar’s Opera riempiva ancora i teatri inglesi all’inizio degli anni Venti del nostro secolo; su questo fortunato fenomeno si appuntò l’interesse di Kurt Weill, alla ricerca di un nuovo soggetto su cui lavorare con Bertolt Brecht. L’obiettivo che i due artisti si prefiggevano era la realizzazione di una Zeitoper : con questo termine Weill intendeva designare le creazioni drammaturgico-musicali basate su vicende di matrice contemporanea e imperniate soprattutto su analisi sociali impietose e provocatorie. Weill spiegò, in un suo breve scritto redatto proprio ai tempi della stesura dell’ Opera da tre soldi , che il suo concetto di Zeitoper non coincideva più con la ‘volgarizzazione’ che se ne era fatta negli ultimi tempi, in cui il soggetto contemporaneo era diventato mero pretesto per lo sfoggio registico di effetti all’avanguardia; raggiunto il perfezionamento delle potenzialità meccaniche del palcoscenico, sostiene Weill, è necessario che su questa premessa tecnica venga innestato uno scandaglio morale avente come oggetto l’uomo del ventesimo secolo e il milieu che lo circonda. La scelta della Beggar’s Opera illumina in maniera evidente questo intento: la finalità corrosiva e sardonica dell’originale settecentesco viene rivisitata in chiave moderna, rinvigorendone gli strali con una trasposizione della vicenda in tempi moderni. Fece discutere, all’epoca, la decisione di Weill e di Brecht, che non vollero riadattare le canzoni di Pepusch (con l’eccezione del cosiddetto Morgenchoral cantato da Peachum nel primo atto), ma preferirono impiegare al loro posto melodie popolari contemporanee e un buon numero di songs ; la soluzione, però, si fondava su ben ponderate motivazioni e lasciava al compositore mano più libera nell’organizzare il proprio compito. Gay e Pepusch avevano parodiato, nei numeri cantati della Beggar’s Opera , una nutrita serie di arie alla moda: arie, s’intende, estrapolate da opere celeberrime e dal repertorio abituale degli astri canori più osannati. Il pubblico trovava il suo divertimento nell’immediata riconoscibilità di questi brani, la cui spiritosa contraffazione sortiva l’effetto burlesco desiderato proprio perché veniva esercitata sulle pièces favories dell’epoca; nel nostro secolo quest’allusività dissacratrice e sorniona sarebbe andata persa e il vero modo per ripristinarne lo spirito era proprio quello di farla rinascere, anziché dalle ceneri del passato, dai fermenti della modernità. Così Weill rinnova l’obiettivo di Gay e Pepusch attingendo di preferenza al jazz, proprio negli anni in cui in America esso dilaga nella musica colta e in Europa, dopo aver sorretto gli sperimentalismi del Gruppo dei Sei, va riscuotendo trionfali allori nel popolarissimo Jonny spielt auf di Ernst Krenek.

Si potrebbe essere tentati di ricollegare Die Dreigroschenoper alla corrente neoclassica, in virtù dei suoi superficiali agganci con il mondo settecentesco; ma un simile punto di vista è quanto mai fuorviante e indurrebbe a travisare in toto l’operazione culturale compiuta dai due artisti. Meta di Brecht e di Weill è la realizzazione di un lavoro immacolato sì da astruserie intellettuali, ma non certo limitato a un innocente svecchiamento del fortunato plot di John Gay; di fronte a una vicenda arcinota come quella della Beggar’s Opera lo spettatore sperimentava, al contrario, una condizione di perfetta Verfremdung (straniamento), essendo già anticipatamente edotto sugli sviluppi ultimi della trama. In questo modo chi assisteva a una rappresentazione della Dreigroschenoper era posto in uno stato d’animo distaccato, alieno da coinvolgimenti emotivi e propenso a esercitare sulla pièce una lucida critica; e inoltre l’implicito confronto con la versione originale del lavoro lo guidava a cogliere i momenti che Weill e Brecht, attraverso le modificazioni operate, intendevano mettere in rilievo.

Die Dreigroschenoper racchiudeva, al suo apparire, una carica provocatoria dirompente, ben avvertibile proprio attraverso il suo rapporto con l’originale, mantenuto su termini che smentivano la benché minima intenzione ‘neoclassica’; la cantabilità apparentemente corriva maschera un’aggressività neanche troppo latente e l’abbordabilità dei temi ridipinge con la vernice illusoria della rispettabilità le infami malizie dei protagonisti, inquietanti proprio per la loro scaltrita arte di dissimulazione.

Prologo . Un cantore (aggiornamento novecentesco del menestrello) intona a mo’ di presentazione la Ballata di Macheath.

Atto primo . Peachum, organizzatore di una vasta rete di finti accattoni londinesi, viene a scoprire la relazione che lega la figlia Polly a Macheath (detto Mackie Messer) e monta su tutte le furie; ciò non impedisce ai due di sposarsi ugualmente e di meditare sul futuro della banda, di cui Mackie non pare molto soddisfatto. Tra gli invitati giunti a congratularsi c’è anche Brown, il capo della polizia, impegnato nei preparativi per la festa imminente dell’incoronazione; la scena termina con il Liebeslied (canto d’amore) di Polly e Mackie rimasti soli mentre cala la notte (“Siehst du den Mond über Soho?”).

Atto secondo . Intanto Peachum è deciso a eliminare l’indesiderato genero con mezzi legali, ossia denunciandolo; sua moglie sospetta che se ne stia nascosto e protetto presso alcune prostitute di antica conoscenza; Polly avvisa Macheath del pericolo e lo esorta a fuggire, impegnandosi a guidare personalmente la banda (qui si colloca il celebre ‘Polly’s Lied’ “Er kommt nicht wieder”); tradito da Jenny, Macheath finisce ugualmente in cella, dove non si perde d’animo, sicuro com’è che qualche donna certamente lo aiuterà a tornare libero. Si presentano davanti alla prigione Polly e Lucy, quest’ultima (figlia di Brown) a sua volta segretamente sposata al fedifrago recluso, che ispira alle due donne un invettivale sfogo di gelosia (Eifersuchtsduett, duetto della gelosia). Polly viene poi allontanata a viva forza dalla prigione per intervento della madre, inopinatamente ricomparsa; rimasta sola, Lucy riesce a far evadere Macheath.

Atto terzo . Peachum passa al contrattacco e predispone un piano con cui sabotare il regolare svolgimento della festa dell’incoronazione intrecciandovi una controproducente sfilata di (finti) accattoni; arrestato da Brown, lo minaccia di rivelare i loschi legami che lo vincolano al bandito; messo in tal modo con le spalle al muro, Brown fa ricercare Macheath (è Peachum stesso a fornirgli tutte le indicazioni necessarie) e lo fa arrestare. Il malvivente aspetta ormai l’esecuzione della condanna capitale; suonano le campane di Westminster e Macheath viene portato via; ma invece della notizia della sua morte arriva quella della sopravvenuta grazia, corredata per graziosa intercessione della regina dalla donazione di un castello e di un titolo nobiliare; ma l’ultima parola spetta a Peachum, che invita a non prestar fede al lieto fine, perché nella realtà le grazie arrivano molto raramente, soprattutto se a ribellarsi sono i deboli.

Theodor Wiesengrund Adorno ebbe a mettere in guardia contro un’interpretazione in chiave ‘operettistica’ della Dreigroschenoper ; infatti per Weill la canzonetta ha un valore puramente funzionale, che non basta in alcun modo a relegare il lavoro nei ranghi del teatro leggero. Abbandonare il consueto pathos operistico in favore del ‘banale’, oppure abdicare alle arie canoniche per confezionare perfette imitazioni di musichette da cabaret , comportava essenzialmente una liberazione dal coinvolgimento psicologico tipico del teatro tradizionale, per l’artista come per l’ascoltatore. Ma il fine di questo anomalo Songspiel (così era stato battezzato il precedente ? Mahagonny , concepito anch’esso, nella versione originale, come sequenza di canzoni) non era certo solo quello di sconcertare il pubblico; il fatto è che sotto la dolcezza accattivante delle ariette si celano i malefici tranelli di Macheath e di Peachum, sotto l’apparente stupidità vengono occultate le malizie più proditorie. Le canzoni, che obbediscono a un calco stilistico magistralmente ‘reinventato’ da Weill e non sono quindi basate su temi preesistenti, assolvono a una funzione di ‘schermo’, celando dietro la loro benevola superficie l’ipocrisia reale dei protagonisti e della società che in esse viene adombrata.

Va forse notato che Weill e Brecht, nel loro zelo analitico e requisitorio, intridono un po’ troppo l’opera nel fiele della condanna e finiscono per negare alla società ogni residua via di riscatto, con un’amarezza senza riserve; Die Dreigroschenoper è sarcastica ma pochissimo ironica, sempre sferzante; d’altra parte la traccia-madre della Beggar’s Opera incoraggiava questo atteggiamento, visto che la satira inglese a cavallo fra Seicento e Settecento offre una delle più spietate disamine sociali che si conoscano. Anche gli elementi jazzistici e in stile da cabaret , giocati tra cinismo e fredda nonchalance , contribuiscono a dare all’insieme un carattere sfacciatamente spregiudicato, una grossolanità così ottusa e prepotente da risvegliare nello spettatore, per immediata reazione, un sentimento deciso di ostilità e di condanna. Già ‘vaccinato’ dalla ‘terapia d’urto’ di Mahagonny , che aveva fatto gridare allo scandalo, il pubblico delle prime rappresentazioni della Dreigroschenoper non si stupì più né per la presenza dei ballabili né per quella dei songs e questa volta non rivolse contro l’autore gli strali di quella critica inferocita che andava invece esercitata contro le storture sociali; e così il nuovo frutto della collaborazione di Brecht e Weill si tramutò in un colossale e duraturo successo; anzi, paradossalmente proprio la popolarità acquisita dall’opera (se così la si può definire) finì per eroderne la carica sovversiva originaria, trasformandola addirittura in gradevolezza, proprio il contrario di quanto supponevano settant’anni or sono i due autori, scagliando al pubblico l’intenzionale provocazione del loro nuovo frutto creativo. Non è facile, per le opere teatrali di Weill come per i musical di Blitzstein o di Bernstein, trovare un cast ideale, perché il sapore canzonettistico, che esclude un vero cantante d’opera come interprete adatto, viene pur sempre combinato con un taglio formale squisito e con pennellate armoniche che solo un’esecuzione molto accorta e curata nei particolari può mettere nel giusto risalto: la splendida Ballata di Polly nel primo atto (e che è consuetudine far ripetere da Jenny nel secondo) è appunto un esempio di questa duplicità stilistica e illustra il tono tagliente ma doloroso dello stile di Weill. La prima rappresentazione si avvalse di interpreti provenienti dal teatro di prosa, come Lotte Lenya ed Erich Ponto, dal cabaret e dall’operetta (tra questi ultimi il tenore Herold Paulsen, nei panni di Macheath); Lotte Lenya, moglie di Weill e sua abituale collaboratrice, sostenne la parte di Jenny anche nel film girato qualche anno più tardi (1931) da Georg Pabst sullo stesso soggetto.

e.f.

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