I dizionari Baldini&Castoldi

Ariane et Barbe-Bleue di Paul Dukas (1865-1935)
libretto di Maurice Maeterlinck, dal dramma omonimo e da Barbe-Bleue di Charles Perrault

Conte lyrique in tre atti

Prima:
Parigi, Opéra-Comique, 10 maggio 1907

Personaggi:
Ariane, sesta sposa di Barbe-Bleue (Ms); Barbe-Bleue (Bar); Ygraine, Mélisande, Bellangère, Sélisette, Alladine, prime cinque spose di Barbe-Bleue (S, S, S, Ms, m); la nutrice (Ms); un vecchio paesano (B); due paesani (T, B); uomini del paese



La leggenda di Barbablù, questo ‘antenato’ di Landru le cui origini si confondono con le dicerie sulla figura storica del sadico barone bretone di Retz, che nel Medioevo si macchiò dell’assassinio di numerosi fanciulli e delle sue sette mogli (la più illustre delle quali, santa Trofima, è ricordata sulle vetrate istoriate delle chiese di Bretagna), ha stimolato nella letteratura e nella musica francesi le più variegate rivisitazioni. Nel racconto di Perrault le tinte fosche della leggenda si ingentiliscono; i personaggi si muovono tra sfarzi da reggia di Versailles, la sposa di Barbablù è una dama dell’alta società tratta in salvo dai due fratelli «l’uno dei dragoni, l’altro moschettiere». Un intreccio a metà strada tra la fantasia fiabesca e la pièce à sauvetage che ritroviamo pari pari nel Raoul Barbe-Bleue (1789) di André Grétry. Questa frivola irriverenza fornirà un diretto precedente al Barbe-Bleue (1866) di Jacques Offenbach, dove trionfa lo stravolgimento comico vero e proprio. Le mogli prigioniere sono odalische di un harem che si beffano del loro marito – un grottesco e inoffensivo Don Giovanni – tra ameni lazzi e giochi di parole degni della coeva Belle Hélène. Ma senza dubbio l’indole introversa e il severo spirito autocritico non avrebbero permesso a Paul Dukas di gradire simili approcci al tema. Nel 1899, quando il compositore assistette all’omonima pièce teatrale di Maeterlinck, incontrò un Barbablù rivisitato in chiave mitologico-simbolista.

Arianna si presenta al castello del suo Barbablù-Minotauro animata da pie e coraggiose intenzioni redentrici verso le consorti che l’hanno preceduta, ma i suoi slanci non verranno ricambiati: già Maeterlinck aveva sottotitolato il suo dramma ‘La delivrance inutile’. Quale dono di nozze di Barbablù, l’eroina riceve sei chiavi d’argento e una d’oro, che danno accesso a splendidi gioielli. Con le prime sei apre altrettante porte-scrigno ma si entusiasma solo alla vista di quella che contiene diamanti, affascinata dalla loro solare lucentezza (“O mes clairs diamants!”). Disobbedendo all’ordine di Barbablù, si serve anche della settima e scopre che le sue cinque precedenti spose, delle quali non si aveva più alcuna notizia certa, sono prigioniere nelle segrete del castello. Invano Arianna le conduce all’aria aperta e fa riassaporare loro le gioie della natura in fiore e del sole; nelle parole del compositore, la sesta sposa rappresenta «la giovinezza e la speranza». Sottratte alla prigionia con l’aiuto degli uomini del villaggio, le cinque spose rifiutano la libertà e scelgono di restare nella loro dolente dimora, mentre Arianna si allontana seguita dalla sola nutrice.

Per l’atmosfera generale, la centralità del conflitto tra la luce e le tenebre e l’enigmatica, malinconica passività che ammanta il comportamento di alcuni dei suoi personaggi, Ariane rivela innegabili assonanze con Pélleas di Debussy, opera della quale Dukas era stato tra i più accesi sostenitori sin dalla ‘prima’ del 1902. Anche in Ariane troviamo una Mélisande dalla lunghissima e meravigliosa chioma, né manca il tema della più nota Mélisande, che riceve l’omaggio di una citazione all’inizio del secondo atto. D’altra parte a Dukas va riconosciuto di aver concepito un lavoro originale e attraente tanto nella drammaturgia che nella musica. L’opera è intessuta da cima a fondo attorno ad Arianna con un esito di insolita suggestione che, al tempo stesso, ne rappresenta il limite: il rilievo espressivo conferito alla sua parte – che esige la tessitura di un soprano drammatico a dispetto dell’indicazione della partitura – è assoluto (si segnala l’appassionato ‘air des diamants’), e lascia a Barbablù uno spazio irrisorio. Quanto all’orchestra, il suo peso è soverchiante; gli impasti sono densi e brillanti, assai lontani dalla tavolozza coloristica di Debussy. Il risultato è eccentrico ma equilibrato nella sua eccentricità; Ariane ha la fisionomia di un ‘poema sinfonico con voce obbligata’ in cui la scrittura vocale e l’architettura dei rapporti tonali vengono accuratamente pianificati. Lo strumentale domina, anche per supplire a quella scarsa incisività dei profili melodici che è forse il punto debole della partitura, ma è trattato con una finezza e una varietà di colori e di effetti – ricordiamo in specie la magistrale scena delle sei porte-scrigno nel primo atto – per i quali non è eccessivo scomodare, assieme ai nomi più prossimi di Vincent d’Indy e di Albéric Magnard, quelli di Rimskij-Korsakov e di Strauss.

m.p.

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