I dizionari Baldini&Castoldi

Glückliche Hand, Die di Arnold Schönberg (1874-1951)
libretto proprio

(La mano felice) Dramma con musica in un atto e quattro quadri

Prima:
Vienna, Volksoper, 14 ottobre 1924

Personaggi:
l’Uomo (Bar), la Donna (m), il Gentiluomo (m), sei uomini (T, Bar), sei donne (S, A)



Composta nel periodo compreso tra il 9 settembre 1910 e il 18 settembre 1913, Die glückliche Hand fu rappresentata la prima volta soltanto nel 1924, che è anche l’anno del tardivo battesimo sulle scene di Erwartung (1909), l’altra grande opera del teatro espressionista schönbergiano. E con quest’ultima, Die glückliche Hand condivide la brevità, la struttura in un atto unico suddiviso in quattro quadri, l’ampiezza dell’organico, l’uso cameristico degli strumenti, la densità del contrappunto, la natura atonale dell’armonia, la presenza, infine, di un solo personaggio cantante in scena, sebbene attorniato da due mimi e da un coro di sei voci maschili e sei femminili. È inedito invece nel teatro schönbergiano il tentativo di organizzare unitariamente la musica e libretto (di cui Schönberg stesso è autore) nonché ogni minimo dettaglio della messa in scena, essendo prescritte in partitura tutte le indicazioni riguardanti le scenografie, le luci, i movimenti registici e coreografici dei personaggi e del coro: una sorta di ‘teatro totale’ che è specchio non tanto di un esasperato individualismo creatore in un’accezione wagneriana, quanto piuttosto della coscienza della necessità di un compiuto equilibrio, di un saldo integrarsi reciproco di tutti gli elementi dello spettacolo. Gli anni in cui l’opera vede la luce sono del resto gli stessi in cui numerosi poeti, pittori e drammaturghi dell’orbita espressionista, con molti dei quali il musicista è in stretto contatto, si rivolgono ad analoghe ricerche sul rapporto tra le arti.

Nell’azione del libretto sono state invece riscontrate, in primo luogo dal suo allievo Alban Berg, non poche assonanze con il teatro di Strindberg, e particolarmente con i drammi Verso Damasco e Ich-Drama : nonostante il musicista rivendicasse l’originalità del libretto («nel mio testo tanto l’idea principale quanto le molte idee secondarie, espresse direttamente o per simboli, costituiscono un tutto unico con la mia persona, così che è da escludersi che possa esserci anche soltanto una somiglianza esteriore con quanto ha espresso Strindberg»), questi lavori strindbergiani e la Glückliche Hand condividono, come afferma Alan Philip Lessem, «il raggiungimento non tanto di un maggiore realismo, quanto piuttosto di una maggiore veridicità di esposizione, in una sorta di ‘teatro dell’anima’ in cui alla legge della realtà quotidiana subentrano quelle delle rivelazioni dell’inconscio». Entrambi i lavori sono intesi dai rispettivi autori come «una confessione e un’autobiografia spirituale»; entrambi prevedono un solo personaggio protagonista, che si trova «in mezzo al conflitto generato dalla polarizzazione della sensualità e della spiritualità»; entrambe sopprimono le unità di tempo, luogo e azione «per trasformare il palcoscenico in un campo di forze irradiate dalla mente»; in entrambe la parola riveste un ruolo minimo, i monologhi consistendo perlopiù di brevi e saltuarie esclamazioni, ed è sostituita dalla gestualità e dall’inclinazione pantomimica: «si ha così un ritorno all’antica tradizione del teatro come intrattenimento magico, con la conseguente liberazione del ‘rappresentato’ dai vincoli della verosimiglianza».

Quadro primo . Su un palcoscenico avvolto nella semi-oscurità, l’uomo ha la faccia rivolta a terra ed è sovrastato da un mostro che si presenta nelle fattezze di una iena con le ali da pipistrello. Il coro, quasi nascosto, è formato da uomini e donne di cui si vedono distintamente soltanto gli occhi, e ammonisce l’uomo a non cedere alle lusinghe dei sensi. Si ode una musica volgare e una risata beffarda. Quadro secondo . La luce gialla del finale del quadro precedente si muta in una azzurra al comparire della donna, esile, bellissima, adornata di fiori gialli e rossi tra i lunghi capelli sciolti. L’uomo non riesce a vederla ma ne sente la presenza; beve un filtro luminoso e cade in uno stato di rapimento estatico. La donna sembra ora ostile; giunge l’elegante gentiluomo che la trascina con sé. Ella, riapparendo, si inginocchia presso l’uomo, che allungando la mano sfiora appena quella di lei. La donna scompare, mentre l’uomo è ormai convinto di possederla. Quadro terzo . Luci che lasciano il palcoscenico nella semi-oscurità. Da un dirupo situato tra due grotte appare l’uomo, che brandisce una spada insanguinata. Egli entra nella prima grotta, nella quale alcuni operai cercano l’oro; indifferente all’aggressività degli operai, prende un pezzo d’oro e lo pone su un’incudine, alza al cielo la mano sinistra da cui si irradia una luce azzurro-argentea e colpisce con forza. L’incudine si spezza e l’oro sprofonda, rivelando un diadema pieno di gemme, che l’uomo scaglia addosso agli operai. La scena ora si trasforma di nuovo. Ritorna a dominare la luce gialla e si illumina la seconda grotta, nella quale la donna appare con le vesti lacerate; con lei è il gentiluomo, che lancia contro l’uomo brandelli della veste di lei. La donna si avvicina per recuperare le vesti, mentre l’uomo tenta disperatamente, ma invano, di raggiungerla. Sopra il capo di lui vi è una roccia verdastra che, spinta dalla donna, lo travolge nel buio. Quadro quarto . Situazione speculare a quella del primo quadro: stessa musica ‘volgare’, stessa risata beffarda e stesse luci. Il coro ammonisce l’uomo, sul quale si accanisce ancora il mostro a forma di iena: si rassegni, cerchi la sua pace in cose durature, se non vuole che gli restino solo tormento e infelicità: sulla scena scende frattanto la più completa oscurità.

Attorniato dai due mimi, il gentiluomo che funge da emblema della vacua mondanità, e la donna che simboleggia l’ eros ma è al contempo un’incarnazione del sublime, l’uomo protagonista della Glückliche Hand schönbergiana figura come un Sigfrido ‘rovesciato’, un eroe dominato dall’attrazione carnale e lusingato dal potere dell’oro: un eroe toccato dalla grazia di una ‘mano felice’ solo per due brevi istanti – nel momento in cui sfiora la mano della donna e allorché forgia il diadema. L’opera racconta la sua miseria e il suo fallimento: maschera, a sua volta, di colui che il compositore identifica con il declino storico e sociale della figura dell’eroe individualista di stampo romantico. La struttura musicale e drammaturgica è ricca di simmetrie, come spesso in Schönberg: la scena degli operai nell’officina, nella prima parte del terzo quadro, è preceduta e seguita dalle scene in cui l’uomo prova l’illusione della felicità, nel secondo quadro e nella seconda parte del terzo, a loro volta incorniciate dai quadri estremi, speculari l’uno all’altro. A una sorta di peculiare ‘trama motivica’ obbedisce la complessa rete di simbologie, connesse ai diversi colori, approntata da Schonberg, codificabile tuttavia solo nelle sue linee generali (giallo/sensualità; alienazione mondana/grigio; aspirazione alla felicità/azzurro – il colore dell’ineffabile per la cultura romantica tedesca; introspezione/verde). A livello più specificamente musicale, è da sottolineare che Schönberg adotta qui per la prima volta, ma solo per la parte del coro, la celebre tecnica vocale dello Sprechgesang , il ‘canto parlato’ definito nelle sue durate con precisione, e solo approssimativamente nelle altezze. La natura del tutto atonale del lavoro non impedisce comunque di stabilire una preordinata, precisa e rigorosa trama motivica, che funge da fattore di coesione sinfonico dell’intero lavoro.

e.g.

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